Post n°31 pubblicato il 31 Agosto 2007 da tnndnt
Allora... procediamo con ordine e vediamo di fare un po' di chiarezza a proposito (l'appello nel mio blog rimane finchè non sarò certa dell'infondatezza della notizia, che vi piaccia o meno): | | 20 agosto 2007 (Corriere della sera) | di Magdi Allam | | Il giovane chiede il riconoscimento del cambio di fede sui documenti. E rompe un tabu' in un Paese dove i copti sono milioni | | "Mi sono convertito e lo rivendico". L' egiziano Hegazi rischia la morte | Cristiano da nove anni, una fatwa ora lo condanna come apostata | | | | Adottiamo Mohamed Hegazi come simbolo della libertà religiosa in Medio Oriente. Venticinque anni, nato musulmano, convertito al cristianesimo nove anni fa e sposato con una convertita, ha chiesto alle autorità egiziane di vedere registrata la loro nuova religione sulla carta d' identità per assicurare che il loro figliolo, che sta per nascere, veda la luce come cristiano. Ma si è scatenata l' ira degli estremisti islamici che l' hanno tacciato di apostasia e ingiunto allo Stato di attuare la condanna a morte avallata da una fatwa, un responso giuridico, dell' Università islamica di Al Azhar. Ciò avviene in un Paese sostenuto massicciamente dall' Occidente perché considerato moderato e in cui i cristiani sono circa 10 milioni. E non si tratta di ripetere l' operazione che nella primavera del 2006 portò al rilascio e all' espatrio del convertito afghano Abdul Rahman, che ha ottenuto asilo in Italia. I cristiani in Medio Oriente sono la popolazione autoctona e deve essere garantito loro e a tutti, compresi i convertiti, il diritto alla piena libertà religiosa a casa loro. Il caso è esploso dopo che Suad Saleh, preside della Facoltà di studi islamici e arabi dell' Università islamica di Al Azhar, ha legittimato con una fatwa la condanna a morte di Hegazi perché non si è limitato a convertirsi ma «ha detto pubblicamente di essersi convertito al cristianesimo e si è perfino fatto fotografare insieme alla moglie con in mano il Vangelo». La logica è la seguente: se ti converti e ti nascondi nelle catacombe potresti avere salva la vita, ma se hai la «sfrontatezza» di annunciarlo pubblicamente e magari con il sorriso in bocca, a testimonianza della profondità della tua fede e della gioia con cui la vivi, allora devi essere ucciso. Il quotidiano governativo Al Messa riferisce di un sondaggio secondo cui tutti gli ulema, i giureconsulti islamici, d' Egitto sono unanimi nella «necessità di condannare a morte l' apostata». Il caso è stato proposto anche al Grande Mufti Ali Gomaa che, in un' intervista al Washington Post, ha risposto in modo assai ambiguo: «La scelta significa la libertà e la libertà include la libertà di commettere dei gravi peccati fintantoché non arrechino un danno agli altri». A suo avviso chi si converte dall' islam a un' altra religione non commette un «grave peccato», tranne nel caso in cui la conversione costituisce una minaccia per la società. E sembra proprio che per gli estremisti islamici manifestare pubblicamente la gioia della fede in Cristo sia un pericolo da sanzionare con la morte. «Ricevo delle minacce di morte sul mio cellulare. Ogni volta che cambio il numero dei fanatici riescono a ottenerlo, mi chiamano e mi preannunciano che mi faranno fuori», ha raccontato Hegazi a Le Figaro. «Il pericolo non viene solo dagli estremisti, un qualsiasi cittadino potrebbe uccidermi agendo di sua testa, nella convinzione di servire l' islam». Hegazi, che è stato il rappresentante del movimento di opposizione «Kifaya» (Basta!) a Port Said, vive ora in clandestinità insieme alla famiglia. Il suocero ha auspicato che la giustizia obblighi la moglie a divorziare e che «mi venga restituita anche morta». Contemporaneamente due esponenti dell' Organizzazione dei cristiani del Medio Oriente, Adel Fawzi e Peter Ezzat, considerati gli ispiratori della conversione di Hegazi, sono stati arrestati per «attentato all' islam» e «sedizione religiosa». Il tutto avviene in un contesto dove regna la paura. Il Centro Al Kadima per i diritti dell' uomo, ha ritirato la denuncia che era stata depositata la scorsa settimana per sostenere la causa di Hegazi, motivandola con «l' assenza del certificato di conversione della Chiesa». E la Chiesa locale? Tace. Un silenzio assordante per il timore di inasprire il conflitto con un regime che ha di fatto abdicato al clero islamico radicale rimettendo nelle sue mani il controllo degli affari sociali che s' intrecciano con una religione sempre più invasiva. Proprio perché l' Egitto è il nostro dirimpettaio che ostenta fama di tolleranza e di moderazione, mi auguro che l' Italia non resti a guardare. Auspico che il capo dello Stato Napolitano lanci un vibrante appello al presidente egiziano Mubarak affinché assuma un gesto significativo, ricevendo Hegazi e riconoscendogli pubblicamente pari dignità come cittadino e testimoniando il rispetto della libertà religiosa. Auspico che il presidente del Consiglio Prodi chieda garanzie al governo egiziano sulla tutela della vita di Hegazi, chiarendo che per l' Italia il rispetto della libertà religiosa è un parametro fondamentale per definire la realtà e lo sviluppo dei rapporti bilaterali e multilaterali. Auspico che le università italiane (La Sapienza di Roma, il Pontificio Istituto Orientale di Roma, l' Orientale di Napoli, la Bocconi di Milano, l' Iuav di Venezia) che il 15 giugno 2005 hanno sottoscritto un accordo di cooperazione con l' Università islamica di Al Azhar, con la benedizione del nostro ministero degli Esteri, recedano dall' iniziativa dopo aver avuto l' ennesima conferma che i suoi più alti vertici hanno legittimato il terrorismo suicida palestinese e il massacro anche delle donne e dei bambini israeliani, nonché l' uccisione dei musulmani convertiti al cristianesimo. Auspico tutto ciò per i cristiani d' Egitto ma anche per noi. Perché se volteremo le spalle a chi, alle porte di casa nostra, viola la sacralità della vita, la dignità della persona e la libertà di scelta, significa che abbiamo abdicato ai valori che corrispondono al fulcro della comune civiltà dell' uomo. www.corriere.it/allam |
Mercoledi' 22 Agosto 2007 di Paola Caridi, Il Riformista Al Cairo cadono dalle nuvole. Studiosi d’islamismo e persone della maggioranza silenziosa che segue l’islam politico moderato. Nessuno sa nulla della fatwa di Al Azhar contro Mohammed Hegazy, il 25enne egiziano convertitosi al cristianesimo nove anni fa, che ha richiesto la modifica della sua appartenenza religiosa sui documenti d’identità.
Perché, finora, nessuna fatwa è stata emessa. E cadono dalle nuvole anche quando si spiega che sui giornali italiani, invece, il caso sta montando come panna. Sulla stampa egiziana, anche su quella indipendente – invece – poco si legge. E quello che si legge, a dire il vero, è decisamente moderato. Molto più moderato di quanto successo per casi analoghi, negli anni recenti. Tra la gente, poi, sembra che in pochi si straccino le vesti. Nessun furor di popolo aleggia attorno al caso Hegazy, che anzi tutti, a cominciare dalle autorità copte, vogliono tenere basso. Interrogandosi anche se Mohammed Hegazy, che si sarebbe convertito a 16 anni, in piena adolescenza, non sia in cerca di pubblicità. C’è stato addirittura dieci giorni fa un incontro ad altissimo livello, nella chiesa copta egiziana, tra tre vescovi (compreso il segretario del capo dei copti, Pope Shenhouda III) sul dossier Hegazy. Risultato: altissime fonti copte hanno dichiarato al primo giornale indipendente egiziano, Al Masri el Youm, che la chiesa prende le distanze dagli estremisti e da quelli che chiama “missionari”, dichiara di non aver niente a che fare con la questione, e afferma anzi di aver chiesto al primo avvocato di Hegazy di rinunciare al suo mandato. Non si vogliono urtare i sentimenti dei “fratelli” di altra fede. Difficile, poi, riuscire a trovare la fatwa che sarebbe stata emessa da Soad Saleh, la preside del collegio islamico femminile dell’università di Al Azhar al Cairo. Della fatwa si è avuta notizia dai giornali italiani, a cavallo di Ferragosto. E a dire il vero, le imprecisioni erano lampanti. La prima, anzitutto. Soad Saleh non è un uomo, non è un rettore, come ha scritto Repubblica. Perché il rettore di Al Azhar è un uomo, peraltro indicato dalla presidenza egiziana. Soad Saleh è una signora con tanto di velo, una delle poche studiose donne di Al Azhar, con un curriculum di tutto rispetto, una delle telepredicatrici più famose d’Egitto, conservatrice ma fino a un certo punto. Tanto da essersi beccata le minacce degli integralisti radicali per aver detto che il niqab, il velo integrale, non è prescritto dal Corano. Ebbene, Soad Saleh – sentita al telefono ieri sera dal Riformista – ha detto di non aver emesso nessuna fatwa. Ma di aver solo espresso una opinione sul caso Hegazy di carattere giuridico, chiarendo cosa dice la sharia riguardo all’apostasia, in risposta a una domanda su di una tv egiziana. Sui giornali italiani, invece, erano state riportate frasi di seconda mano, riportate da un settimanale d’assalto come Al Dustour, ri-riportate dall’agenzia di stampa spagnola, e poi non si era saputo più niente. L’unica cosa che salta agli occhi, dal dibattito egiziano, è semmai la moderazione. In un paese dove le frizioni tra musulmani e copti non datano dall’11 settembre, e in cui le tensioni sulle reciproche conversioni tengono banco a intervalli regolari. I copti, insomma, accusano i musulmani per le conversioni forzate. I musulmani fanno altrettanto Il mufti Ali Gomaa, la più alta autorità musulmana a livello nazionale, ha, anzi, destato scalpore alla fine di luglio per aver scritto la seguente frase non sul sito ufficiale delle fatwe. Bensì sul forum dedicato alla fede dal Washington Post. “La domanda fondamentale per noi è se una persona che è musulmana possa scegliere un’altra religione che non sia l’islam. La risposta è sì, può farlo, perché il Corano dice “a te la tua religione, a me la mia” (109:6) e “chi vuole, lascia che creda, e chi vuole, lascia che non creda” (18:29)”. Solo a Dio, nel giorno del giudizio, spetta la punizione, ha scritto ancora Ali Gomaa. Questo sì, e non il caso Hegazy, ha suscitato parecchia sorpresa. E a dargli man forte sono stati altri studiosi, interpellati qui e là. Per i quali non si dovrebbe semmai porre la questione di indicare il proprio credo religioso sui documenti d’identità. Ma – a proposito - la fatwa, dov’è? Prima di far rompere i rapporti tra Al Azhar e le università italiana, forse bisognerebbe sincerarsi che ci sia. A ognuno il suo, a quanto pare.... ma la verità? La verità è uno spazio tra i silenzi... proviamo a guardare oltre le parole e le accuse, la strumentalizzazione e gli interessi politici... per una volta parliamo meno ed agiamo di più, ne va dei diritti civili di uno, dieci, cento "Hegazi", e non solo in Egitto...
|
Inviato da: skywalker1977
il 17/10/2007 alle 15:48
Inviato da: pomodoro81
il 10/10/2007 alle 07:35
Inviato da: jawas.reloaded
il 05/10/2007 alle 18:41
Inviato da: Robynefer84
il 05/10/2007 alle 11:49
Inviato da: tnndnt
il 04/10/2007 alle 15:33