la bradipessa

LA CASA DEI NONNI


Questo racconto è stato scritto per il nn-gioco letterario indetto da Elliy. Premetto che nn è un racconto allegro da leggere sotto l'ombrellone un po' perchè nn è che in questo momento io sia molto allegra, nonostante faccia di tutto per sforzarmi, ma spt perchè chi me l'ha ispirato è il figlio di una mia conoscente che ha 4 anni e l'anemia emolitica autoimmune. Quel bambino così pallido mi ha colpito la fantasia tanto che ho deciso che si meritava un racconto, se nn altro perchè mi aiuta a ridemensionare le cose. Mi dispiace solo che questo nn è tra le cose migliori che ho scritto.Era luglio, faceva caldo e Gabriele si annoiava. Se vi state chiedendo come è possibile avere 12 anni, essere al mare coi nonni ed annoiarsi a luglio, bene questa cosa ha un nome e si chiama anemia emolitica autoimmune. Era iniziata l'inverno precedente, in seguito a un mal di gola. Poi era stato un pellegrinaggio continuo dentro e fuori dagli ospedali, a fare iniezioni di cortisone a dosaggi sempre più alti. E lui aveva sempre fame e si sentiva sempre stanco. La sua pelle era diventata bianchissima e sottile. Sembrava un elfo. Alla fine i medici avevano deciso per una chemioterapia e lui una sera aveva sentito sua mamma piangere e dire che i bambini non dovevano nemmeno conoscerla quella parola. Perciò si era ripromesso che sarebbe stato forte. Che quella sera sarebbe stato il suo segreto. Aveva sopportato la nausea e gli interminabili pomeriggi in casa per non rischiare di prendere qualche infezione. Oggi però non ne poteva proprio più. Sua sorella era in spiaggia con il nonno, la nonna era a fare la spesa, alla tv non passavano proprio niente e lui aveva finito l'ultimo libro preso in prestito in biblioteca. Decise di spingersi in cantina. Di solito non ci andava mai, quel luogo in penombra e un po’ umido gli incuteva un certo timore, ma un paio di giorni prima aveva visto un grosso forziere chiuso da un grande lucchetto che aveva solleticato la sua fantasia. Chissà cosa c’era dentro. Così lentamente scese le scale. Nel locale semibuio la sua pelle diafana sembrava luminescente. Si tenne al corrimano per far sì che i suoi occhi si abituassero all’oscurità e che la testa gli smettesse di girare. Ormai succedeva così spesso che non ci faceva nemmeno più caso. Si schiacciò tra l’auto del nonno e il muro ruvido per avvicinarsi al grosso baule. Era di legno con delle doghe di ferro. Una volta la mamma gli aveva detto che era la valigia che usavano per andare in vacanza. Si chiese come facessero a caricarlo sull’auto. Sembrava molto pesante e in effetti nemmeno appoggiandocisi sopra con tutto il suo peso riusciva a spostarlo. Ci posò sopra un orecchio e gli sembrò di sentire un brusio. NN il ronzio che spesso sentiva nelle orecchie, proprio un chiacchiericcio. Erano due vocine che litigavano:- Smettila di tirarmi le trecce! – Diceva una- Ma nn sono trecce! Sembra la stoppa per i lavandini! Da quant’è che nn ti pettini?- Rispondeva l’altra- NN è colpa mia se qui dentro nn c’è un pettine. E neanche uno specchio!-  Meglio. Se ci fosse e ti ci specchiassi si romperebbe di sicuro. E sai che rompere gli specchi porta male.-  Sei cattivo. NN è vero che sono brutta. E’ solo che nn prendo aria da tanto. E poi nn è che tu abbia un gran bell’aspetto: hai il pelo tutto infeltrito e i pantaloni tutti strappati.Gabriele era perplesso: chi c’era dentro al baule? Bussò piano.- Aspetta, aspetta. Fai silenzio. – Disse una delle due vocine – Forse qualcuno si è finalmente ricordato di noi. Forse ci tirerà fuori.-  Silenzio lo faccio di sicuro – Rispose l’altra – Ma nn è detto che sia una buona cosa: ti ricordi Matilde? Le hanno staccato la testa e l’hanno messa nell’orto a far paura agli uccelli.-  Ma va là, fifone. Scommetto che te l’ha raccontato quella vecchia carretta là fuori. Possibile che credi a tutto quello che ti dice?Gabriele nn stava più nella pelle dalla curiosità. Ma come fare ad aprire quel forziere? Il lucchetto era tutto arrugginito, di sicuro nessuno lo apriva più da anni e chissà dove erano finite le chiavi. Si guardò intorno e il suo sguardo si fermò su un piccone che il nonno usava per dissodare l’orto. Ci si avvicinò: aveva un aspetto estremamente pesante. Sarebbe stato in grado di sollevarlo? Sputò sulle mani come aveva visto fare al nonno e provò. Al primo tentativo quasi si rovesciò indietro sotto al peso dell’attrezzo ma nn si diede per vinto e ci riprovò. Riuscì a sollevarlo sopra la testa e ad abbassarlo con forza sul lucchetto che fortunatamente saltò via al primo colpo: lo sforzo l’aveva lasciato senza fiato e nn sarebbe riuscito a farlo un’altra volta. Lo lasciò cadere a terra e corse ad alzare il coperchio polveroso. La delusione fu grande: dentro c’erano i giocattoli di quando era piccolo, la bambola di pezza di sua sorella e il suo orso di pezza, insieme a tutti i vestiti che avevano smesso negli anni. Di sicuro si era sognato le vocine. Sarà stato uno dei soliti scherzi della testa che era sempre così leggera. Li osservò meglio. Nn avevano un gran bell’aspetto: la bambola aveva tutti i capelli arruffati e l’orso perdeva l’imbotittura da un paio di punti dove le cuciture avevano ceduto. Però sembrava che gli sorridessero e decise di portarli in casa. Forse la nonna avrebbe potuto porci rimedio. E lui forse si sarebbe sentito meno solo. Mentre risaliva faticosamente le scale con il fiatone ad ogni passo, gli sembrò di sentirli sussurrare un grazie appena udibile.