Creato da dalail il 10/06/2007
cronache sparse dal piccolo osservatorio di una provincia difficile

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Il romanzo delle stragi

Io so.Ma non ho le prove.Non ho nemmeno indizi.Io so perchè sono un intellettuale,uno scrittore che cerca di seguire tutto ciò che succede ,di conoscere tutto ciò che se ne scrive ,di immaginare tutto ciò che non si sa o che si tace ;che coordina fatti anche lontani ,che mette insieme i pezzi disorganizzati e frammentari di un intero coerente quadro politico ,che ristabilisce la logica là dove sembrano regnare l'arbitrarietà,la foliia e il mistero.

PierPaolo Pasolini

 

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perduto tempo

 
 

 

Erba di casa mia….

Post n°82 pubblicato il 28 Giugno 2008 da dalail
 
Foto di dalail

Ecco lo stato in cui versano i marciapiedi di una delle vie principali del nostro paese ,via Nazionale. Ovunque erbacce alte a invadere i lati della carreggiata ,che quasi impediscono il passaggio pedonale ,oltre ad offrire un triste spettacolo di incuria e degrado.

Ovviamente stesso discorso ,se non addirittura peggiore ,per quasi tutte le altre strade di Boscotrecase.

Sappiamo tutti benissimo che questo può sembrare un intervento di importanza secondaria e che le priorità sono ben altre .

Ma pulire le strade estirpando le erbacce e restituirgli finalmente un’immagine decorosa e civile ,può rappresentare un forte segnale positivo per la cittadinanza ,un esempio da seguire e uno stimolo a sviluppare quel senso civico così spesso vanamente invocato.

 

 
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Bob Dylan: la vita è un tour infinito

Post n°81 pubblicato il 21 Giugno 2008 da dalail

da un articolo di ANDREA SCANZI apparso su la stampa
A 67 anni si esibisce in luoghi defilati. "Sul palco per non diventare un mito"
AOSTA
Chatillon se ne è rimasta placida, ai piedi del Monte Cervino. Non ha percepito l'evento, che infatti non c'era. Bob Dylan ha scelto il parco del Castello Baron Gamba come ultima tappa del suo minitour italiano (dopo Trento e Bergamo), e anteprima del festival Aosta Classica. Da 20 anni, Dylan vive on the road, come scriveva Jack Kerouac. Per certi aspetti è più beat oggi di ieri. Era il 7 giugno 1988, uno dei momenti più bassi della sua carriera. Da allora, più o meno, non si è mai fermato. Il 16 ottobre 2007, in Ohio, ha festeggiato il duemillesimo concerto del tour. La media annuale è scesa da 150 serate a 90-100: sempre molte, per un uomo di 67 anni che non si è fatto mancare nulla e che nel 1997 è scampato a una grave malattia cardiaca.

Lo chiamano Never-Ending Tour, tour senza fine. «Ciò che faccio è qualcosa di molto immediato», ha detto in una delle poche interviste andate al di là di stizziti monosillabi: «Salgo sul palco, canto e ho una risposta. Il mio suonare è talmente immediato da cambiare la natura stessa dell'arte. Non voglio diventare il mito di me stesso». Sembra paradossale, ma questa sovraesposizione ha anzitutto a che fare con l'aspirazione all'assenza. Se Lucio Battisti aveva tentato di emanciparsi dal proprio mito scomparendo e riapparendo saltuariamente sotto mentite spoglie, da musicista nazional-popolare a cantante futurista folgorato sulla via di Panella, la negazione di sé di Dylan è pirandellianamente legata a questa ciclicità dimessa, fatta di concerti minori e luoghi periferici. I Pink Floyd, se si riunissero, sceglierebbero di nuovo Venezia o Pompei. Per Dylan il luogo meno battuto è una sorta di ulteriore "punizione" al proprio ruolo di mito. Bob Dylan si mostra - di continuo - per non mostrarsi, per allontanarsi dall'idea cristallizzata che gli altri hanno di lui, quella del Profeta che predisse la pioggia acida. Quel Dylan è morto a Woodstock il 29 luglio 1966, quando un banale incidente motociclistico coincise con una decisiva pausa sabbatica. Disse di avere rischiato la vita, non aveva nemmeno chiamato l'ambulanza. Per un po' si nascose negli scantinati a suonare con The Band. Poi, nel '68, l'anno della protesta, tornò con un disco biblico, John Wesley Harding.

Dylan non è mai venuto a patti con la propria identità. Si è cancellato il vecchio nome all'anagrafe, se trova un opuscolo con scritto «Robert Allen Zimmerman» è capace di cancellare il concerto. In Pat Garrett e Billy The Kid, per cui scrisse Knockin' on Heaven's Door, interpretava un bandito dal nome emblematico, Alias. E la fine dei Settanta l'ha vissuta da «rinato cristiano»: lui era l'apostolo, i concerti «un lungo calvario». Ora il calvario è diventato altro: sovraesposizione minimale, anelito alla normalità. Sul palco sale con un cappello che ne nasconde il volto, ormai centrifugato dalle rughe. La voce, un tempo di sabbia e catrame, è ormai carta vetrata. I concerti quando va bene sono piacevoli, quando va male orribili. I set acustici li lascia per i brani che conosce solo lui, quelli elettrici per punire i successi lontani (ieri ha letteralmente devastato All along the watchtower). Garantisce che «quella attuale è la mia migliore band»: due chitarre, basso, batteria, violino, e lui che passa dall'armonica alla tastiera. Ha abbattuto anche il rituale delle prove, nessuno tranne lui conosce la scaletta: «Provare una canzone vuol dire semplicemente saperne titolo e tonalità».

Sul palco non concede nulla. Due ore scarse di blues e r'n'r quasi scolastico, col pubblico che spera nel grande classico e alla fine ci rimane male. Colleziona ancora paranoie. A Bergamo si è imbufalito quando ha visto la sua immagine su una mongolfiera che pubblicizzava un festival con i Pankreas in cartellone. Ha alloggiato nell'hotel più lussuoso di Saint Vincent (il Grand Hotel Billia, a due passi dal Casinò) e chiesto un Suv con vetri oscurati. Ha l'incubo delle riprese, odia i videofonini, dice che le macchine fotografiche «immortalano spettri». Ha mandato il suo staff a comprare pesce fresco ad Aosta, chiedendo 100 chili di ghiaccio per mantenere inalterato il cibo a colazione, pranzo e cena.

La cosa più semplice sarebbe liquidare Dylan al ruolo di postumo di se stesso, ma la sua arte ha costantemente dato segno di sé ben oltre i Sessanta, da Blood on the tracks a Oh Mercy. «Provate a immaginare un posto dall'aria calda e sicura», cantava in Shelter from the storm (Riparo dalla tempesta). Qualcosa che protegga dalla «morte che ha occhi d'acciaio», «dalle corone di spine», «dalle informi creature». Questo è per lui il palco: riparo dalla tempesta. Più ancora, da se stessi.

 
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Pubblicità con canzone di Rino Gaetano

Post n°80 pubblicato il 14 Giugno 2008 da dalail
 

Che orrore mi ha fatto sentire un “pezzo” di canzone del grande Rino Gaetano “manipolato” così malamente per fini esclusivamente commerciali .Non c’è offesa più grande che si possa fare alla sua memoria e alla sua poesia  : operare un taglia e incolla della sua canzone “ E Berta filava”, per prendersi solo il “pezzo buono “,buttando via tutto il resto e associarlo alle prestazioni di un oggetto così materiale , quale è di fatto un automobile .

E’ come prendere una tela di Leonardo a forbiciate per ritagliarsi solo il particolare desiderato , arredare il salotto di casa e poi buttare via nel cestino quello che avanza.

E Berta filava è una delle più belle canzoni di Rino .Lo vorrei gridareee.

Ogni volta che la ascolto scopro delle energie e dei messaggi sempre nuovi. Rime secche ,dirette ,che ti entrano subito nell’anima .E’ ovvio che la Berta che filava la lana d’amianto non può interessare i Signori pubblicitari .

Interessa quella che fila dritto ,quella che fila dritto nella mente della gente ,quella che fila dritto fino all’ossessione per vendere più auto ,sempre di più auto ,auto tutte uguali e che filano dritto nella mente della gente !

A proposito di auto e Fiat ,ecco la canzone di Rino che dedico ai creativi Signori pubblicitari :

L’operaio della Fiat (la 1100)

 

Hai finito il tuo lavoro
hai tolto trucioli dalla scocca
è il tuo lavoro di catena
che curva a poco a poco la tua schiena
neanche un minuto per ogni auto
la catena è assai veloce
e il lavoro ti ha condotto
a odiare la 128
Ma alla fine settimana
il riposo ci fa bene
noi andremo senza pensieri
dagli amici a Moncalieri
. . . la millecento,la millecento . . .
Hai lasciato la catena
un bicchiere di vino buono
ti ridà tutto il calore
trovi la tua donna e fai l'amore
sei già pronto per partire
spegni tutte le luci di casa
metti il tuo abito migliore e pulito
lasci al gatto la carne per tre giorni
e insieme a una Torino abbandonata
trovi la tua macchina bruciata
. . . la millecento,la millecento,la millecento . . .

 

 
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Alla mia nazione

Post n°79 pubblicato il 07 Giugno 2008 da dalail
 
Tag: poesie

 
Non popolo arabo, non popolo balcanico, non popolo antico
ma nazione vivente, ma nazione europea:
e cosa sei? Terra di infanti, affamati, corrotti,
governanti impiegati di agrari, prefetti codini,
avvocatucci unti di brillantina e i piedi sporchi,
funzionari liberali carogne come gli zii bigotti,
una caserma, un seminario, una spiaggia libera, un casino!
Milioni di piccoli borghesi come milioni di porci
pascolano sospingendosi sotto gli illesi palazzotti,
tra case coloniali scrostate ormai come chiese.
Proprio perché tu sei esistita, ora non esisti,
proprio perché fosti cosciente, sei incosciente.
E solo perché sei cattolica, non puoi pensare
che il tuo male è tutto male: colpa di ogni male.

Sprofonda in questo tuo bel mare, libera il mondo.

                                Pier Paolo Pasolini

 
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Quando hai la sensazione che il tuo futuro qui sia una....

Post n°78 pubblicato il 20 Aprile 2008 da dalail
 
Foto di dalail

strada fantasma ,traversa di via nazionale (nei pressi della stazione fantasma)

 
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