Credevo di farmi passare tutto sopra, ma gli effetti collaterali di questa malattia si fanno sentire, uno di questi è il bruxismo.
A denti (troppo) stretti
Bruxismo: la parola può suonare estranea, ma il concetto
no. Si tratta infatti della tendenza a serrare e digrignare i denti
inconsapevolmente. Fenomeno che, ovviamente, è più frequente durante il
sonno, quando è impossibile esercitare un controllo cosciente sui
movimenti. In particolare sono le prime fasi del sonno quelle in cui si
presenta il digrignare dei denti, mentre con l’arrivo del sonno
profondo cessano i movimenti. In effetti il bruxismo è il terzo più
diffuso disturbo del sonno dopo il sonniloquio e il russamento; è
difficile dare dati precisi ma si ritiene che colpisca l’ 8-10% della
popolazione generale.
Tecnicamente viene definito una parafunzione, in quanto è un movimento
che non ha alcuno scopo, a differenza della masticazione o della
deglutizione. Digrignare i denti, serrare le mascelle, può anche essere
una reazione spontanea a un’emozione, le cose cambiano quando diventa
costante o molto intensa.
Non è un tic innocuo
Apparentemente un tic innocuo, il bruxismo ha parecchie conseguenze sia
sull’apparato dentario sia su quello muscolo-scheletrico. Di solito chi
ne soffre si sveglia con indolenzimento dei muscoli del volto e del
collo, non riesce ad aprire al massimo la bocca e ha i denti più
sensibili al caldo, al freddo e al contatto con le setole dello
spazzolino.
In effetti il continuo sfregamento delle superfici dei denti
dell’arcata inferiore e superiore comporta un logoramento dello smalto,
a volte addirittura fratture, che si manifesta con la formazione delle
cosiddette faccette di usura, superfici piatte dovute all’erosione
dello smalto. I denti più colpiti sono i canini e gli incisivi
laterali. Con il passare del tempo, infine, si verifica un vero e
proprio accorciamento del dente.
Anche il parodonto (gengive, legamenti del dente) risente di questo
trauma prolungato, così come l’articolazione della mandibola
(articolazione temporo-mandibolare) e, come già detto, le fasce
muscolari del collo, costantemente tenute sotto tensione.
Non si conosce la causa esatta del bruxismo, piuttosto una serie di
fattori che possono indurre questo comportamento. Alcuni sono
meccanici, per esempio il non perfetto allineamento delle due arcate
dentarie oppure la presenza di precontatti, cioè la situazione in cui
un singolo dente va a toccare il corrispondente dell’altra arcata prima
degli altri. I precontatti sono abbastanza frequenti in caso di
applicazione di corone (capsule) che possono essere troppo lunghe
rispetto al dente che vanno a sostituire. L’altro tipo di fattori è
invece psicologico, in quanto è stato provato che il bruxismo insorge
spesso nelle persone sottoposte a stress prolungati. Infine, è stato
provato che se il disturbo si presenta già nell’infanzia tende a
permanere in età adulta.
Prevenire si può
Gli interventi sul bruxismo sono preventivi e curativi. Tra i primi vi
è l’applicazione del cosiddetto byte. Si tratta di una specie di morso,
realizzato in base all’impronta delle due arcate dentarie, simile ai
paradenti dei pugili, che va indossato la notte. Il suo scopo è
duplice: da una parte proteggere lo smalto dall’erosione, dall’altro
ristabilire il corretto allineamento delle due arcate, così da
eliminare le tensioni muscolari sia della mandibola sia del collo. Non
a caso byte di questo tipo sono impiegati anche in alcune categorie di
sportivi, come i piloti di auto e moto, per alleviare le tensioni
muscolari che si creano durante la gara. Il byte deve, quindi, essere
realizzato “su misura” per il paziente non solo per dimensioni e forma,
ma anche per quanto riguarda la maggiore o minore durezza del materiale
(di norma si tratta di polimeri). Gli interventi curativi consistono,
nei casi più gravi, nell’applicazione di corone dentarie o di intarsi
allo scopo di salvare l’integrità residua del dente. Non si ricorre,
invece, all’impianto endosseo, in quanto il bruxismo, se non cessa, può
avere conseguenze negative sulla riuscita dell’applicazione dei perni.
Non sono disponibili trattamenti farmacologici di alcun tipo: è vero
che sono stati segnalati casi in cui antidepressivi hanno interrotto, o
al contrario scatenato, la tendenza a digrignare i denti, ma si tratta
di casi isolati o di numeri talmente piccoli da impedire di trarre
conclusioni.
Maurizio Lucchinelli