Invidio il vento

Teneva stretta nella mano una mela


La mela. è una sorietta che ho scritto dopo una sulle  Albicocche, tempo fà. Mi piacerebbe farne una serie sui frutti . Ripescata da un mio vecchio postLA MELA Era un tardo pomeriggio d’estate, le strade sonnolente del pomeriggio si sbracavano per l’ora dello spritz, evitavo il circuito, passavo sotto i portici di via Roggia pensando al declino con leggerezza, un poco inclinato declivio. L’avevo già vista sulla piazzetta che in realta deve essere stato a suo tempo solo un cortile, stretto tra le vecchie case a tre piani post rinascimentali. E’ seduta su quel gradino di pietra fuori di una vecchia bottega artigiana chiusa da tempo. E’ sola, come altre volte. Un paio di volte ho girato prendendo la strada per la piazzetta passandogli vicino. Entrambe le volte piangeva. Ero tentato di fermarmi, era bella.. Mi fermai un po piu avanti, dietro ad una colonna, a guardarla. Stava scrivendo qualcosa su un cartoncino e le lacrime le scivolavano sul viso senza inconvenienti, così, a fiotti lasciando le righe. Pensai pure che stese recitando ma la sua espressione era cosi costernata che non pensai lo facesse per vedere cosa faceva la gente davanti a tanto dolore. Lo dissi a Silvia, la sera. Abitava da quelle bande, da poco, nell’appartamento di un’altra. L’aveva vista anche lei una volta. Non passava di la ma il giorno dopo c’era andata. Lo spettacolo del dolore suscita sgomento ma anche curiosità. Si fermò dietro una colonna e si accorse che erano in due a guardarla, lei e un cane. Si avvicinò, si fermò davanti, in piedi. La ragazza non si muoveva, la testa un po china, piangeva. Silvia si sedette a fianco sul gradino di pietra. Non disse niente, si sedette e basta e stette la, in silenzio. Aveva un sacchetto di mele in mano, l’aprì. Ne prese due e una la offri alla ragazza. Non si mosse. Silvia addentò la sua senza dire niente. Porse ancora la mela, lentamente la tenne la. La ragazza la prese e piangendo la addentò, un piccolo morso, senza girarsi. L’avvertivo la disperata solitudine di quella ragazza mi disse poi Silvia. Disse che gli scavava dentro. Non le chiese se aveva bisogno d'aiuto. Non le disse niente. Le pareva andasse bene cosi.  La Tribuna di Treviso del 11 Agosto 2008 La donna è morta appena arrivata all’ospedale. Per quale motivo si fosse tutta avvolta cosi, come un pacco e si fosse chiusa la bocca con il nastro adesivo e anche gli occhi e il naso e persino il sesso con il nastro adesivo, nessuno è riuscito a spiegarlo. In mano teneva stretta una melaSilvia passava spesso sotto quel portico dove aveva incontrato quella ragazza. In fondo abitava li, a due passi. Non seppe mai che era morta, ne in che modo la trovarono. Forse passava pensando di incrociarla, non sapeva neanche lei del perchè. Mi aveva colpito, questo mi disse. Mi dava da pensare. Insomma qualcosa di lei mi si era incistato dentro. Piu o meno questo mi diceva. Poi un giorno notò un cartone piegato, infilato sotto la serracinesca arrugginita della vecchia bottega. Ero io che l'avevo vista scrivere su un cartone, la prima volta. Silvia neanche sapeva. Dentro quel cartone piegato c'era un foglio e sul foglio una poesia scritta a mano:"La donna ora è perfetta.Il suo corpomorto ha il sorriso del compimento,l’illusione di una necessità grecafluisce nelle pieghe della sua toga,i suoi piedinudi sembrano dire:siamo arrivati fin qui è finita.I bambini morti si sono acciambellati,ciascuno, bianco serpente,presso la sua piccola brocca di latte, ora vuota.Lei li ha raccoltidi nuovo nel suo corpo come i petalidi una rosa si chiudono quando ilgiardinos’irrigidisce e sanguinano i profumidalle dolci gole profonde del fiore notturno.La luna, spettatrice nel suo cappuccio d’osso,non ha motivo di essere triste.È abituata a queste cose.I suoi nei crepitano e tirano.Sylvia PlathQuel foglio è dentro una piccola cornice, appesa al muro della sua camera. Lo era. Ora Silvia non abita piu li e l'ho persa di vista, anche se ho ancora il suo numero e se quel numero ce l'ha ancora, non so.