Invidio il vento

L'Imperatore chi?


Pierluigi Capello, un ragazzo poeta che mi piace. Un cow boy in carrozzella.Uno che faceva i cento metri in undici e due da giovincello. Poi ha cominciato a volare in quella valle stretta con le ali di un'aquila della poesia Regalami dei libri, se proprio, piuttosto, se ti vieneNon importa se finiscono bene. Tanto..che cambia?Un giorno che non c'erano romanzi, ho preso questoAveva vinto. Lui era la ed era contento, su una sediaQuella sedia era a rotelle. Nel suo sguardo dolcezzaDietro il suo sguardo nascosta, la rabbia di montagnaChe tutto se magna, anche i sassi e l'erba, se cresceSi chiama Pierluigi Capello. Io gia sapevo del nomeMandate a dire all'Imperatore il libro che ho presosi chiama cosi: Mandate a dire all'Imperatore. Bello!Ma mica l'ho preso adesso, no. L'ho preso quella volta.Ne ho scritto anche un post, qua dentro, da qualche parte.Io ho scritto dei versi di cui subito mi son pentito, delle volte.Scrivi cose che ne uccidono altre. Non lo sai mica subito.Potevo scrivere "Corre voce che si puo essere felici"Se tu ad esempio cominci cosi e segui quelle parolemagari sei predisposto, magari finisce bene. MagariCome fa però una storia a finire bene? Come fa?Le storie, quando finiscono,finiscono male. O no?Se finisce poi si sta male, mica bene. A chi lo diciamo?Lo mando a dire io all'Imperatore? E dopo che si fa?Le storie finiscono. Come i romanzi, all'ultima pagina.Una storia finita bene è meglio che non finisca, vero?Una storia che va bene non finisce, non dovrebbe.Le storie non dovrebbero finire mai. Le poesie si.Come certe poesie che scrivo, delle volte.Si capisce? che non cominciano e non finiscono. Dove vanno allora?Dove?   PIERLUIGI CAPELLOQuesto è il suo sito personale ci trovi delle belle poesieLa prima volta che l'ho visto è stato a Udine. C'era una specie di reading,mi pare.Siccome vorrei scrivere delle poesie western ecco, lui la faccia ce l'ha.Non so se uno ha presente Chiusaforte? Chi vuoi che ci vada? Un posto perso al confine. Non c'è niente. La crescono dei duri. Adesso vive a Tricesimo, da quelle bande, vicino Udine. In una specie di baracca, anzi un prefabricato di quelli avanzati dal terremoto,  che deve avergli dato il comune. Dono degli austriaci però. Lui è in sedia a rotelle. Ha peso le gambe in un incidente. Da piccolo, a Chiusaforte, non c'era niente. A lui piacevano i libri, le avventure. C'era una bottega che ne teneva, pochi, economici. Lui ha cominciato cosi, con Hemingway. Era matto per Hem. Tutto dev'essere cominciato cosi. Magari è stato proprio Hem a fargli scoprire il suo talento.Le parole sono cieche ma anche cercando troverete. Capello dice che a lui interessa il trattino, quel trattino tra le due date: di nascita e di morte. Quel trattino è la linea di tensione tra due parole, parole diverse, che di per se significano altro dalla loro congiunzione. Sommandosi creano una metafora. Non è importante comunque la metafora ma la tensione che questa sviluppa. Quella tensione è vitale. Le parole sanno farlo. Io no, per esempio. Siamo qua per imparare, diceva sempre mio padre.Se tu provi una parola, provala, fin che trovi quella giusta; quella parola serve per percepire qualcosa che è fuori di noi e che vogliamo sentire dentro, come suona. Allora devi nominarla, la parola fa esistere le cose, ti fa valicare il confine che ci separa dal di fuori e che rimarrebbe inespresso. Ad un certo punto Capello parla del calabrone e dice che rappresenta un fastidio, un disturbo. Entra e sovverte l'ordine immobile delle cose, uno stato di equilibrio. Capello congiunge parole poetiche e costruisce la metafora. Qua, sul calabrone ne puoi trovare diverse. Ad un certo punto apre la finestra e il calabrone esce nel sole, svolazza lasciando la sua scia di zzzzzzz e tutto torna al suo equilibrio.
La, in quei posti suoi, la gente parla poco, è gente che tiene duro, ma che anche parlano moltissimo tra loro, i vecchi con quelli che hanno cresciuto. E' per loro che hanno tenuto duro ed è con loro che stanno assieme, i vecchi, i ragazzi, i bambini. Un mondo fatto di piccoli gesti, tutti i giorni " il portafoglio nero, nella tasca di dietro o impugnare la motosega" Questo, suo padre. E' commuovente come traspare nelle sue parole il legame: " E qui mentre (...) / il presente irrompe con la violenza di un tavolo rovesciato/ mio padre torna sempre con nella sua tela cerata verde/ bagnata dalla pioggia e schiude ai figli il suo sorridere/ come fosse eternamente schiuso/ (..) io sono lo stare di quell'uomo bagnato dalla pioggia/ che portava in casa l'odore di traversine e ghisa".Se è andato a stare dove sta, in quel prefabbricato a Tricesimo, è stato per stare vicino al padre Monaldo, che era in un ospizio la davanti. Un mondo fermo, dove non sà se c'è ancora quel filo che lega il successo al succederà, e lui sta la a "dividere il tempo grano a grano" , e cosi dedica il suo tempo a star fermo, che è un modo per star piu alti e piu lontani, allora dice "Chiusaforte è tutti i ritorni che mi allontanano"."Siamo ancora cosa siamo stati.In questo modo di stare, precipitati".Capello a starci un po vicino, ti da l'idea di uno sereno, quasi mistico, tranquillo eppure è uno che spreme dalla sofferenza esistenziale la sua poesia, un dolore vero, mica come faccio io, scarti del quotidiano, effemeridi, piccoli conti. Ha uno stile poi Capello, secondo me, che lo senti quel modo suo di metterlo in poesia alta il tracimare dentro del malcontento. Il suo dolore è di razza. E' dato da quel cielo di confine, da quella valle scura, dal passero che in mezzo al gelo non vuol saperne di smettere di cantare, da quelle nuvole gonfie come quelle di Van Gogh che fanno impressione, dalle mani piene di tagli e calle della gente. Non è un dolore da fighetti. E' il dolore della sua terra, e questo ha un sigillo tutto suo, la solitudine della carnia, dignitosa, schiva, un brontolio sommesso del confine. Diverso da quello del fiume, della palude, della sicilia o della toscana, che ne so. E' una forza la sua poderosa, che costruisce attraverso indizi, lo sguardo d'aquila.«Così come oggi tanti anni fa  mandate a dire all’imperatore  che tutti i pozzi si sono seccati e brilla il sasso lasciato dall’acqua orientate le vostre prore dentro l’arsura perché qui c’è da camminare nel buio della parola»."Mandate a dire all'Imperatore" è il sovvertimento di un racconto di Kafka. "E' la voce di chi sta fuori dallo spazio delle leggi. E' la voce di chi non deflette lo sguardo di fronte al potere""Chi non sopporta il vinoè costretto a sopportare la vita"(P Capello)Altri due di questo west di praterie e cieli da cavalcare Corona e Maieron