Invidio il vento

cortazar negli interstizi


  
Venerdi mattina, in una sala d'aspetto, finivo un libro di racconti di Cortazar: "Ottaedro" (Otto racconti come otto facce di un nitido poliedro) Otto per otto: l'infinito del sasso nel cielo. La sala d'aspetto era quella del servizio di alcologia. Accompagnavo uno per lavoro e aspettavo arrivasse il medico. Una situazione Cortazariana, si puo dire. L'ultimo racconto ha il titolo "Collo di gattino nero". Mi mancavano due pagine. L'avevo ripreso a questo punto:" L'abbracciò stretta, baciandola senza sapere di che o perchè doveva calmarla, le mormorò parole di conforto, la stese sotto di sè, sopra di sè, la possedette dolcemente e quasi senza desiderio dal profondo di una lunga fatica, la penetrò e la montò sentendola contrarsi e cedere e aprirsi e cosi si così, si, cosi, ecco si...."e cosi via" . Mi ha sempre incuriosito e, spesso, in situazioni analoghe mi immagino i pensieri nelle teste degli altri. Non so se gli altri fanno lo
stesso e si inventano storie parallele procedendo dalle facce e dalle espressioni, però sarebbe stato difficile immaginare che ero nel pieno di un tragico sconvolgente amplesso. Una tipa giovane, irrequieta, si alzava dalla panca e andava in giro. Richiamata diceva che doveva andare in bagno. Aveva la faccia di una che era fatta, con le palpebre gonfie e mezze abbassate, le parole le uscivano impastate. Gli altri facevano finta di niente. Seduti, si guardavano le unghie o le scarpe. Non avevano dei racconti di Cortazar con sè ma, penso, senza saperlo Cortazar rovistava nella loro testa. In quel corridoio passava della gente che conoscevo di vista, gente che lavora in ospedale. Provavo imbarazzo a trovarmi in quel posto. Una sala d'aspetto dovrebbe avere una praivasi no? Invece no, la in mezzo, fuori del servizio di alcologia. L'imbarazzo perbenista era che questi potessero pensare che ero finito in quell'inferno. Cortazar parte spesso da situazioni analoghe, improbabili. Nelle intercapedini del reale, dicono in quarta di copertina. Pensavo di adottare intercapedini come nuova categoria da inserire nei tag dei post. Allora ero la con questo pensiero un po paranoico, di quelli che non confessi, però mi ci attorcigliavo, lo sviluppavo ascoltandone la
 fenomenologia interiore che prendeva una piega sudamericana, tra il magico e l'allucinato, irreale fondamentalmente, però lucida, estremizzante. Ero con lui, e mi sentivo come tra borges e kafka. Una signora con il camice bianco sporse la testa dalla porta del servizio e disse: "Signor Barzi?" e guardò i presenti. "Sono io"e mi alzai. Feci cenno a quello che accompagnavo di seguirmi. Entrammo nello studio e ci sedemmo davanti alla scrivania. Quello che accompagnavo aveva una cartella che passò al medico. Questi la apri, ci diede una scorsa, poi alzò la testa, mi guardò e disse:"Abbiamo dei problemi signor Barzi". Ero io quello che aveva dei problemi. Ero io, non quello che accompagnavo.Cortazar devi leggerlo o sei mortoScava tane, cunicoli diventa bestionedi sogni che entrano in altri sognicominciando con uno per non finirli mai piucome qualcosa che è li, ma dove? ma chi?e non capisci piu niente se mai qualcosac'è da capire e se credi di averla capitaqualcosa nella vita ma cosa? ma chi?che se c'è qualcosa da capire comincia da quicomincia col trovarti in un avampostoa sentire il fiato dietro la nucale dita intrcciarsi ad altre mani sconosciutead avere cavalli che di notte ti entrano in casaa capire che niente è vero se non è un riflessoun nulla costruito attorno ad un gioco che saltagli innumerevoli riflessi di un ottaedro di cristallouna voce fatata che ti ribalta dentro un giocodove niente è innocente men che meno la menteche se la incontri non puo che essere un incontro fataledove dietro le apparenze niente è piu banalee sotto quel velo che chiamiamo del realesi nasconde l'imprevisto che insommami sa che è meglio non portarselo in borsa se devi andare per sale d'aspetto, in tram o in treno"Impossibile fare qualcosa, solo guardarla per l’ultima volta all’incrocio dei due ingressi, vederla allontanarsi, scendere la scala. La regola del gioco era questa, un sorriso nel vetro del finestrino e il diritto di seguire una donna e sperare disperatamente che la sua linea coincidesse con quella che avevo deciso io prima di ogni viaggio; e allora - sempre, finora -, vederla prendere una diversa direzione e non poterla seguire, obbligato a tornare al mondo di sopra e entrare in un caffè e continuare a vivere finché poco a poco, ore o giorni o settimane, la sete reclamando di nuovo la possibilità che tutto coincidesse finalmente, donna e vetro di finestrino, sorriso accettato o rifiutato, coincidenze di treni e allora finalmente sì, allora il diritto di avvicinarmi e di pronunciare la prima parola, spessa di tempo ristagnante, di interminabile vagare nel fondo del pozzo fra i ragni del crampo. "(pag. 38 da "Manoscritto trovato in tasca")