Invidio il vento

Perciò veniamo bene nelle fotografie


Francesco Targhetta, ti butto cosi qua. Non riuscivo a trovare il modo per finire.E ce ne sarebbe, ce ne sarebbe da dire. In qualche modo anch'io allora in tutto questo c'entro qualcosa. E mica son il solo.  (In do te a trovi, in tre te a perdi) 
Ma guarda un po’ questo qua. Io non so se l’avrei detto, ma m’era piaciuto da subito. Però non credevo. Adesso ha scritto un libro, per la ISBN...apperò!!. In una prosa a frasi interrotte.Avevo letto i suoi “Fiaschi”. Poesie con un titolo dalla doppia valenza. Senza rivolta. Oppure con un senso di rivolta aggiornato. Poesie che, secondo me, hanno intriso sconfitta e disperata ironia. Incazzato, certo. Li conosco questi ragazzi della piana.Poi ho saputo che è uno da qua, da Treviso, dalla piana, che descrive cosi: "Per lasciare questa pianura stanca, che le montagne le appiccica info ndo, e le acque lentissime, le ville e le fabbriche, c’è bisogno di una grossa offesa che si contempli come nel sangue sui soli che si appendono, a settembre, dietro le vigne colme..."Un discorso a parte questo, sul territorio."Non permetterò a nessuno di dire che i vent'anni sono l'età più bella della vitai", aveva scritto Nizan. Questa sentenza, per me, s'infila anche qua. Conia un nuovo idioma generazionale: "gli sfuturati" Non si muove più nessuno quà, "Perciò veniamo bene nelle fotografie", è il libro che ha fatto adesso per la Isbn. L'ho visto sul Corriere Clicca , VenerdiCi si travano anche alcuni estratti, nel sito.Sono poesie in forma di prosa, da fermo, che cosi vengon fuori bene. Non ne scrive di sfocate, torbide. vanno giù dritte, come ad attaccarci la bocca a quei fiaschi, a garganella le butti giu. Non serve neanche aver sete. Lui è un last minute, un precario universitario, con due chitarre ed un ukulele. (Targhetta è ricercatore precario all’Università di Padova, con un dottorato in italianistica alle spalle)  Una sorta di nuovi migranti nelle terre di quella che è, piu o meno, la mia generazione e, a questa generazione chiede anche conto, del come mai loro, i precari ad oltranza, debbano vivere cosi,in quella incertezza che pare farsi normalità, mettendo cento euro a testa per dividere un appartamento con altri e mangiare pizza e kebab.«Momentanea soluzione fino a saperne, poi, talmente tantoda non poterci più fare niente». Per questo vengono tutti bene nelle fotografie. C'è un'accusa precisa, e anch'io devo aver fatto qualcosa per sentirmela quella colpa. A dir il vero mi verrebbe da dire "Che cazzo volete?". Cosa vuoi che abbia fatto? Niente! Ecco...appunto, niente. Beh poco si, mi sono arrangiato, mi sono sistemato e non ho fatto piu niente. Neanche figli a cui rispondere.“ La voglio fare per te la rivolta,dentro grumi di città senza solee barricate: che le vedano,e maestre d’asilo, le nostre faccesconvolte come quelle dei ladrisulle pagine scialbe delle testatelocali: Che ci vedano, quel giorno, i nostri padri”. Non aspettiamo altro.  Outsider della cultura a cui, "quelli che son venuti prima", non han lasciato niente, e devono inventarsi altri status symbol e masticare rabbia, sconforto ed ironia.«se adesso dipendo dagli orsetti gommosi da Haribo fucsia e liquirizie flessibili da marshmallows verdi al sapore di nichel e coccodrilli fruttati prodotti in segreto in armeriecolombiane coi tetti di eternit, da banane imbottite di zucchero e chupa-chups alla panna e fragola alla mela cotogna, alla Coca Cola, che è il massimo dell'astrazione chimica raggiungibile dall'uomo»"La sua è la voce di un bardo metropolitano, anti-cortigiano. Proletario ma senza prole, più che precario. Accusa ferocemente quanti hanno consegnato la sua generazione alla Repubblica del non lavoro, alla società dei consumi che ti consumano l'anima finché hai da spenderne. Antropologicamente, una generazione condannata a non crescere, allevata a terra con le merendine "  Momenti di «gioia collettiva, di quelle che ti restano prima dei trenta, quando ancora non ti allevia le piaghe il malcontento generale,un condiviso senso di andare alla deriva, a incontrare vecchi amicie dire il peggio di te, per strada, avendone in cambio il peggio di loro».                  «andrà giù/all’imbrunire, la brutale differenza/ che passa, qui, tra restarsene e fuggire?»La sensazione che si ha, quando si sente di non avercela fatta.Che gli hanno sottratto quel che gli spettava. Che è stato dato ad altri, ai soliti, non i meritevoli ma i raccomandati. Allora mica ti senti più mona di loro ma piu sfigato si. Ma quand'è che uno ce l'ha fatta? Per me, questo Francesco Targhetta, per quanto onestamente si lagni, onestamente riferito ad un linguaggio diretto e immediato, per me, dicevo Targhetta ecco, è uno che ce l'ha fatta. Targhetta mi piace. Loro ne son venuti fuori cosi, dalla loro generazione, ma noi? Che gli si dovrebbe rispondere? Che non è colpa nostra? "Ma ci sarà, ci sarà la redenzione / e saprà di rivalsa, rivendicazione"... il contrappunto che alle loro vicende offre la rievocazione della Battaglia del Piave, cui il protagonista, voce poetante, dedica la tesi di dottorato. Lezione di storia militare che suggerisce all'autore un'idea di «resistenza» spietata, pure con se stessi. Quando la mitraglia falcidiava i commilitoni che battevano in ritirata e non tenevano la posizione."Si passerà mai dall'onta di Caporetto alla rivincita di Vittorio Veneto? La stagione cambierà mai di segno? Al lettore, giovane fante di questa Italia, o genitore che per lui trepida, i versi del libro sono luminosi e dolorosi. Razzi segnalatori per comunicare le proprie posizioni e non sentirsi soli. E raffiche di mitra per chi si tradisce." Sul Corriere veneto IntervistaElio Pagliarini ecco, dicono che assomiglia al suo modohttp://www.belpaese2000.narod.ru/Teca/Nove/Pagliarani/paglia_carla.htm