Invidio il vento

Le trine di Rilke


Ad un certo punto entrano nella mia vita le trine di Rilke. Prima ancora Rilke mi era entrato tutto intero con le Elegie. Le trine si trovano ne "I quaderni di Malte Laurids Brigge", a pag. 103. Avevo però gia letto quella parte nel web. Ieri sera ci sono arrivato pian piano, leggendolo nel libro. Proprio ieri sera. Leggo poche pagine ogni tanto. Quella pag. 103 ora conserva un'appunto che ho scritto sopra. Una cosa pesante per me.Quello che segue è un quadretto di Rilke da piccolo con Maman. Ti da l'idea di un Rilke femmineo, pavido, delicato di salute, impaurito e sgomento. Mica di uno che a quell'età giocava al  ribaldo cavaliere, all'ussaro combattente nella tundra, macchè: srotolava trine assieme a maman, come una bambinetta cortese, si addestrava all'uncinetto della poesia: 
"Adesso so anche cosa accadeva quando Maman srotolava le piccole strisce di trine. Si era riservata per il suo uso uno soltanto dei cassetti del secrétaire di Ingeborg.«Le guardiamo, Malte?» diceva e si rallegrava come se le avessero appena regalato tutto quanto si trovava nel cassettino laccato di giallo. E poi non riusciva quasi, per l'impazienza, a svilupparle dalla carta velina. Ogni volta dovevo farlo io. Ma anch'io divenivo eccitatissimo quando le trine apparivano. Erano avvolte intorno a un rocchetto di legno che sotto le trine non si riusciva a vedere. E adesso le svolgevamo lentamente e guardavamo i disegni che si succedevano, e trasalivamo un poco ogni volta che una finiva. Cessavano così d'improvviso.Venivano dapprima bordure di lavoro italiano, pezzi tenaci a fili tirati, in cui tutto tornava sempre a ripetersi, come in un giardino di contadini. Poi, d'un tratto, una lunga fila di nostri sguardi era graticciata di trine veneziane ad ago, come se noi fossimo chiostri o prigioni. Ma tornavamo liberi, e si guardava lontano, in giardini sempre più artificiali, finché tutto era fitto e tiepido negli occhi come in una serra: piante sontuose che non conoscevamo spalancavano enormi foglie, viticci si sorreggevano l'un l'altro come colti dalla vertigine, e i grandi fiori aperti dei points d'Alençon annuvolavano tutto con il loro polline. Subito, stanchissimi e confusi, si usciva sulla lunga via dei Valenciennes, ed era inverno e mattina presto e brina. E ci si spingeva attraverso i cespugli innevati dei Binche e si giungeva in luoghi ove ancora nessuno era stato; i rami si piegavano all'ingiù in modo così strano, sotto ci poteva ben essere una tomba, ma noi ce lo nascondevamo a vicenda. Il freddo ci stringeva sempre più dappresso, e alla fine, quando giungevano le piccole, finissime trine al tombolo, Maman diceva: «Oh, adesso ci verranno i fiori di ghiaccio agli occhi,» ed era proprio così, perché faceva molto caldo in noi.Al momento di riarrotolare sospiravamo ambedue, era un lavoro lungo, ma non volevamo lasciarlo a nessuno.«Pensa solo, se avessimo dovuto farle noi,» diceva Maman e sembrava addirittura atterrita. Era una cosa che non riuscivo neppure a immaginare. Mi accorgevo d'aver pensato ad animaletti che filano sempre trine e che per questo si lasciano in pace. No, naturalmente erano donne.«Certo sono andate in cielo quelle che le hanno fatte,» dissi pieno d'ammirazione. Ricordo che mi colpì di non aver chiesto del cielo da lungo tempo. Maman sospirò, le trine erano di nuovo arrotolate.Dopo un momento, quando già avevo dimenticato le mie parole, disse molto lentamente: «In cielo? Io credo che siano tutte qui dentro. A guardare le trine così: potrebbe essere una beatitudine eterna. Ma ne sappiamo così poco.»"