Invidio il vento

Jesus blood never failed me yet


 Il 26 Maggio, alla stazione di Mestre compro questo "Barnum" di Baricco. Sono articoli che scrive per una rubrica sulla "Stampa"Sfoglio le prime pagine e trovo questo titolo: "Figli di un Dio ubriaco". Sotto il titolo una citazione da Tom Waits. Parla di un disco, una canzone: "Jesus blood never failed me yet". E' anche l'unica frase ripetuta della canzone, un loop insomma.  Lo prendo per leggere anche solo questo articolo qua, ma ce ne sono altri di belli. Ne avevo già parlato, anche fatto un post QUA'.Mi sembrava bello. Un altro modo di raccontarla."...fanno tenerezza queste note in alto, uncinate per un pelo e tremolanti. Ci senti tutti i denti che non ha più, il fiato corto, , e l’artrite e tutto il resto. Non c’è altro: solo la sua voce, che canta senza mai smettere lo stesso ritornello, sereno, e un po’ malinconico. Niente accompagnamento. Qualche rumore di fondo, voci lontane. Delle parole non capisci niente. E non solo perché è inglese. Senza dentiera, con tutti quegli anni, le parole diventano fantasmi. Suoni. Ma che razza di disco è mai, ti chiedi.[..], Scopre che quel ritornello viene da una canzone religiosa (Jesus’ blood never failed me yet), e scopre che è fatto ad anello: lo puoi ripetere all’infinito, è come una nenia interminabile. Ci lavora su per anni. [..]Dopo un paio di minuti senti arrivare, alle spalle del vecchietto, un’orchestra di archi, da lontano, a poco a poco, che si carica sulla sua voce, la avvolge di una coperta, per così dire, e se la porta in giro. La voce è sempre quella, ma inizia a suonare diversa. Si scalda, sotto la coperta. Ma guarda, pensi. E intanto, a poco a poco, quasi non te ne accorgi, arrivano le arpe e poi delle campane, e un coro, e delle percussioni, e poi un flauto, due clarinetti, un oboe, e le trombe, e i tromboni (piano, però, per non spaccare nulla) e perfino un organo, e una specie di gong e chissà cos’altro. La vocina del barbone continua a cucire il suo ritornello, minuscola e fragile, ma è divenuta ormai una reliquia portata in corteo, un ossicino di un santo che ti  guarda dall’alto di una processione sontuosa: al rallentatore, ondeggia e va, per le stradine della tua testa. Potrebbe anche bastare ormai – lo senti – quella musica ti ha incastrato. Ma non è ancora finita. A un certo punto, nella gran processione si fa largo un’altra voce, sembra sparata in un megafono, poi si avvicina e allora la riconosci, sarebbe impossibile non riconoscerla: Tom Waits. E chi, se non lui? Tom Waits – lo dico ai pochi che non lo sanno – è uno che canta e nella sua voce ci sono le voci di tutti i barboni ubriaconi del mondo. Non è una voce, è una discarica pubblica, è una sigaretta lunga anni, è milioni di birre e chilometri, e centinaia di amori e motel. È una delle voci più emozionanti che vi può capitare di ascoltare. E adesso arriva lì in mezzo, a duettare con quel barbone che nel frattempo è morto, ma non importa, la sua voce non si è mai più fermata, tutti e due a dondolare su quel ritornello eterno, e inarrestabile. Tom Waits. E il vecchio barbone. Figli di un Dio ubriaco. Sembra che non abbiano fatto nient’altro tutta la vita. Solo cantare insieme, tutto il tempo. E scolare birre, naturalmente.  Finisce che a poco a poco la processione si allontana, come è venuta adesso se ne va, sparisce dentro lo stereo, si lascia dietro un po’ di violini impiccati su note altissime, e brandelli di Tom Waits che sparacchiano note come sberleffi al  mondo. Il barbone se n’è già sparito. E tu lì a chiederti: chissà come si chiamava. E quando è morto, e come, e dove. E se ne sapeva altre, di canzoni così.Da Barnum Cronache dal Grande Show, di Alessandro Baricco. Universale Economica Feltrinelli, pagine 27-29.