Invidio il vento

Aleksandr Kuljachtin e l'Unheimliche, il perturbante


Ha una faccia cosi. Non è che uno lo vedi e dici guarda che faccia da poeta che ha quello.Che maglioni si mettono i poeti? Quelli larghi, di lana grezza, finlandesi? Trasandati, da stare sulle scogliere a contemplare lo schianto delle onde sulle rocce di sotto. O il vento della taiga sulle betulle? Non come quella la che si è preso. Ha questa faccia costipata, da uno che si tiene dentro l'aria, che gli fà i brontoloni, che fin da piccolo ha provato a dirle le cose, però poi lo guardavano male, o sgomenti per quel che diceva. Insomma, lo vedi che è cresciuto con delle disfonie, con quelle che Freud chiama Unheimliche, il perturbante. Però poi. per quel che leggo, mi pare se la sia cavata con humor e perturbante ironia. Hanno qualcosa questi russi, secondo me, di sorprendente. Come ogn'uno che nasce nei pressi.
Aleksandr Kuljachtin è nato nel 1967 a Gatcina, nei pressi di Leningrado/Pietroburgo.Versi a PietroburgoHo perso il mio diario.Il righello, la matita e il quaderno.Ho perso l’elenco di libri,Che mi avevano dato da leggere.Là, sul portone, un uomo malvagioMi ha aggredito all’improvviso.Ha strappato il mio elenco di libriE in pieno giorno lo ha calpestato nel fango.Mi ha anche tagliato la lingua,Affinché io non potessi raccontareDi aver perso l’elenco di libri,Affinché decidessero di darmene un altro.Mi ha anche strappato gli occhi,Affinché io non trovassi maiNel fango il mio elenco di libri. AlloraSono andata via e sono mortaLui ha riso, l’uomo malvagio,Va bene, sia pure,Io comunque il mio elenco di libriMe lo ricordo perfettamente a memoria.* * * *Il papà insegna al figlio a non mentire e a non rubare.Il figlio annuisce e dice: “Papà, non lo farò”.Di notte il figlio sente come sonoramente scricchiolaIl letto nella camera accanto. E un bisbiglio sommesso.Le parole non si capiscono, ma impediscono di dormire.A scuola il figlio studia la lettera “B” dopo la lettera “A”.Esegue tutti gli esercizi consigliati.La ragazzina, vicina di banco, scrive parole sul quaderno.Le parole non si capiscono, ma si vedono le ginocchia.Il figlio, fatti i compiti, riferisce che è pronto.Il papà dice: “Ecco, bravo”. Bacia il piccino.E lo manda al cinema. Sta’ fuori sino alle otto.Il film è interessante, ma i rumori delle file posterioriDistraggono il figlio, e lui ragiona male.Nel cinema afoso preferirebbe dormire.La ragazzina, seduta vicino, sfiora il figlio col gomito.Non lo lascia guardare. Il papà lo sgriderà, se il figlioNon dirà chiaramente di che parla la pellicola.Il figlio siede, sbadiglia, tentando di capire il film.A casa a quell’ora il letto scricchiola e scricchiola.