Invidio il vento

Il vecchio zio e il mare


Il vecchio zio aveva avuto un sogno, fin da ragazzino. Aveva in città, dentro una viuzza, un vecchio emporio.Vendeva di tutto:attrezzi, suppellettili, generi di conforto.Prima di lui c'era suo padre. Ognuno ha un sogno fin da giovane.Ne ho uno anch'io, fin da allora. Ma non è il mio che importa.Quando andavo a trovare lo zio mi regalava sempre qualcosa.Anche se era un parsimonioso, non avido ma restio allo spreco.Nella mia testa era un pidocchioso, pensavo.Mi regalava un cioccolatino e diceva Cacao.I suoi occhi prendevano subito un'aria trasognata.Guardava il soffitto come certi santi nei quadri delle chiese. I suoi pensieri andavano a luoghi lontani, a mari da solcare.Poi attaccava a parlarmi di quel posto e di quell'altro.Un giorno mi portò in camera sua e mi mostrò i suoi libri.Li toccava con il dito sulla costa e mi diceva di ognuno.Erano libri vecchi, sgualciti e ingialliti. Ne aprì qualcuno.Tirò le tende. Una luce offuscata schiarì le sue mani decrepite.Carte geografiche, mappe, gente indigena, negri, asiatici.Non aveva mai letto altro. Non un romanzo. Neanche i giornali.Me ne regalò uno. Tanto ormai, disse, io non ci faccio più niente.Erano le mappe dei suoi sogni. I posti dove avrebbe voluto andare.Invece non si era mai mosso da li. Da quella bottega ombrosa.Non c'erano altri libri, romanzi, roba cosi, solo quelli di posti.Io leggevo già romanzi di avventura. I pirati, i lupi, isole del tesoro.Anni dopo ripensai alla sensazione che mi dava il suo sguardo.Quando parlava di quei posti che non era mai stato.Nei suoi occhi celesti c'era sperdimento.La mia idea di infinito l'ho poi sempre associata a quello sguardo suo.Era il suo sogno quello.C'è mancato poco, mi disse una volta, che mi imbarcassi.Camminavo con lui verso casa una sera quando mi raccontò.Una nave per il sud america. Poi invece mio padre mori.Io ero il piu vecchio e dovevo badare ai piu piccoli. Non mi sono piu mosso da questa bottega. Non ho mai visto il mare. In camera sua sopra un mobile aveva un veliero.Sopra il tavolo teneva un cannocchiale che nessuno usava mai.Appesa ad un passante dei pantaloni teneva una bussola. Nei suoi occhi umidi volavano gabbiani.Uno alla volta me ne regalò parecchi di quei libri suoi.Anni dopo andai da lui con dei libri in regalo.Gli dissi "Li ha scritti un uomo di mare di nome Joseph Conrad.Era di origini polacche, della Violinia. Nel cuore del continente.Ma a sedici anni andò a Marsiglia e si imbarcò su una nave.Si fece marinaio e attraversò gli oceani. Questi sono i suoi libri.Sono mossi come il mare e profondi come gli  oceani.Zio, tu non sei piu giovane. L'oceano non lo conoscerai piu.Leggilo allora l'oceano zio, vedrai "Nei suoi occhi comparve ancora quello sperdimento commosso.Dentro i suoi occhi c'era la mia idea tradotta dell'infinitudine.  Anni dopo ancora, parlai con un giovane astrofisico.Era compagno di scuola di mio figlio. Lavorava al Cnr di Parigi.Gli ho chiesto notizie sulle recenti scoperte sull'universo.Con candore mi ha detto che l'universo è finito.In che senso? gli ho chiesto. Nel senso che è ormai appurato.L'universo è una massa di energia che si stà espandendo.E dunque è finito.E dove si stà espandendo? gli chiesi.Nel nulla, mi ha risposto.E cos'è il nulla?Il nulla è dove non c'è energia. La mancanza di energia. Queste nostre vite che si espandonoverso un infinito tutto nostro.Un povero infinito portatile,fatto apposta per chi credeche il nulla esista la fuori,che l'infinito continui a esisteredentro in nostro dentro.L'ho visto dentro gli occhi del vecchio zio.Secondo Nietzsche bisogna immettere ancora piu caosdentro di noi per far nascere una stella danzante.