Invidio il vento

CHET BAKER - My Funny Valentine


Un farabutto con nel cuore la disperazione romantica e straziante del maledetto, che non poteva farci niente a quell’impulso autodistruttivo di un requiem. Quel che poteva fare era regalarci le sue canzoni con quella voce rotta e sussurrata e soffiare le sue note appoggiando il labbro come fosse la bocca di una donna e cavarne del cool jazz come nessuno mai, e questo l’ha fatto. A me non piaceva la sua roba allora, all’inizio anni 70, quando con il jazz cominciai, troppo pop mi pareva, decadente. Piaceva ai tradizionalisti ed io ero un insurezzionalista e amavo il free, la rivolta. Chet Baker, in fondo, non aveva mai suonato niente di nuovo e la mia attrazione era rivolta alla sperimentazione. Ma poi diventò un’icona, bellissimo e languido, una specie di James Dean del jazz. “ Quasi un Adone androgino o un Di Caprio predato, seduto a torso nudo su un letto d’albergo mentre suona a capo chino nella tromba un suono astrale “ che non sai neppure da dove venga, non di certo da lui, da uno per cui la musica si sentiva abbandonata, sapendo che un secondo dopo poteva sparire. Che è quello che poi ha sempre fatto, sparire da sé, sparire da tutto. Quel soffio anelante era destinato ad estinguersi da uno che per una vita intera si è fatto di droga. Come si fa un sacco di altra gente però questo ha prodotto il sublime, lui almeno, lui può starci al centro, “solitario e sperduto come un piccolo dio” E allora, anche se è stato un’imbroglione tossico, un figlio di puttana, aveva un’anima che ci ha donato l’ascesi attraverso il suo spirito, in quella voce che cantava suonando.