Invidio il vento

Inadatto


Questa è una trascrizione di un dialogo raccolto al Long Island(1) sabato 20 novembre. Io mi metto là e ascolto. Non do nell’occhio, completamente assorto e con le cuffiette su non pare affatto che ascolti e son la che scrivo. Lei era risentita, ferita e i suoi occhi lo mostravano con la grazia di una remissione gentile, sommessa, di chi stanco soccombe, come ad accettare un destino che mille volte gli ha riproposto la stessa scena, lo stesso snervante melodramma e dice a quell’uomo che ha davanti, piegandosi come ad avvicinarsi attraverso il tavolo, con un’espressione sconsolata:- Avrei desiderato una minima comunicazione da parte tua, dopo i miei auguri -Lui la guarda, si irrigidisce, in una contrazione come chi si appresta a parar dei colpi. Tace.- Non è che mi aspettassi un ringraziamento, no. Mi bastava sapere che in qualche modo sono una persona che per te conta. -Silenzio. Si guardano. Lei voleva far sapere quello che lui sapeva già. Penserò dopo a questa cosa di quello che si può tacere, che è inutile dire e che però non si può fare a meno allo stesso tempo.Lui aveva quella postura ed espressione di uno che troppo spesso non aveva risposto a domande che, se le risposte rendono saggi le domande invece rendono molto umani.- Non risponderti si, quanto mi pesa, mi costa. Sentirmi cosi cafone, insensibile, maleducato, crudele e stupido infine. -Era teso, le sue mani si aggrappavano al bordo del tavolo. Si fermò un’istante. Guardò oltre la testa di lei come a cercare un orizzonte lontano dove puntare. C’era quella musica di sottofondo del cazzo che fa tunci tunci tunci senza tuttavia disturbare. Riprese, dopo essersi perduto per un istante in quell’orizzonte di perplessità.- E’ un moto inspiegabile che mi sopraffà. Mica da adesso, son anni. E allora mi dico beh, funzioni a questo modo ed io prendo atto. Non so come, quando e perché ha preso il sopravvento. Mi do delle spiegazioni tipo che lo faccio per forzare ed accentuare un senso di solitudine, di esclusione, forse lo faccio per aver conferma di un sentirmi inadatto. -- Inadatto a cosa? -Lui aspettò, prese il bicchiere e fece qualche piccolo sorso, come a rimettersi a posto le idee. Si stava sputtanando da solo? Se lo faceva non dev’esser stata la prima volta mi sa. Con lei poteva permettersi di farlo? Mi dava l’idea di uno che ogni tanto se la giocava quella carta la. Quella della vittima romantica sopraffatta dalle sue paure e inconguità che però leale confessava.- Urpo – disse lei con un docile sorriso, come non volesse che quella cosa prendesse una piega cosi drammatica – A me bastava sapere che ci sei, che mi vuoi bene -- Sono inadatto a mantenere una qualsiasi relazione, da un po’ di tempo ormai. Sono inadatto e incapace a conservarle, impreziosirle, investire – C’era rabbia in lui. Una stizza, forse perché lei l’aveva spinto a dire quelle cose. Pensò che forse era un bene, che sarebbe stato liberatorio dirle a lei. – Non è che confessando questo, almeno questo che di me penso, non è che mi assolva -( prima parte )(1) Il Long Island è un posto dove vado la sera a farmi una birra. Amo stare da solo. Il mio solito tavolo in fondo, dietro un angolo. In genere leggo o scrivo oppure faccio dei disegni sui tovaglioli. E' uno dei miei osservatori sul mondo. Antropologia delle periferie. Ogni tanto esco a fumarmi una cicca. Ascolto, osservo la gente. Mi vedono sempre. Difficilmente parlo con qualcuno. Sono temuto per ques'atteggiamento di chi si fa i cazzi suoi, sguardo ostile o indifferente di chi non teme la tenebra. Attiro curiosità piuttosto. Ascolto e ne tiro fuori storie e brevi racconti.