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Fenomenologia del Cibo


"A tavola perdonerei chiunque, anche i miei parenti." (O. Wilde)Che l’uomo sia ciò che mangia l’abbiamo sentito in tutte le salse, anche se mi chiedo che schifezze ingurgitiamo per essere così intolleranti, incivili, troppo spesso egoisti. Certo nel terzo e quarto mondo non sprecano tempo a farsi domande del genere, troppo impegnati a cercarlo, il cibo. Oltre ad affamare i più poveri ed ingrassare i più ricchi, la globalizzazione sta ridisegnando la geografia delle nostre tradizioni culinarie e probabilmente l’integrazione alimentare si affermerà prima di quella umana, anche se l’incontro tra culture culinarie diverse può generare mostri: mi è sfortunatamente capitato di addentare un kebab e trovarci dentro delle patatine fritte.Del resto, nel Medioevo europeo l’identità alimentare e gastronomica assistette allo scontro tra il pane, il vino e l’olio dei Romani e la carne, la birra ed i grassi animali della tradizione barbarica, creando un inedito modello di produzione e cosumo: “pane e companatico”, in contrapposizione la civiltà araba rifiutava nettamente sia gli alcolici, sia la carne grassa, ma introduceva nella dieta mediterranea le spezie e rivisitava il gusto dell'agro-dolce e del dolce-salato propri della gastronomia romana. Veicoli di cultura e cambiamento sociale, gli alimenti rimangono un’ottima cartina al tornasole per distinguere nuove alchimie e identità di gruppo. Più immediato e facile della parola, il cibo ha sempre mediato gli scambi tra culture differenti, divenendo indice di quello che siamo stati, di quello che saremo. È l’unica identità culturale che trae forza dal suo percorso e non dalla sua origine.Il nostro rapporto con il cibo, gli orari che lo regolano e i luoghi che scegliamo per consumarlo hanno segnato l’evoluzione umana e le sue contraddizioni. Anche il gusto è cambiato seguendo le mode e le esigenze dell’economia; la produzione di massa ha sacrificato il gusto alla quantità e al prezzo contenuto e la moda ci ha fatto fare il pieno di conservanti e coloranti.L’influenza dei mass-media, anche in questo caso, ha mietuto vittime, ci ha fatto credere che la Coca-cola creasse la felicità familiare e da MacDonald il Big-Mac fosse indispensabile per fare amicizia, qui come a Pechino.Siamo arrivati probabilmente ad un punto di svolta che vede contrapporsi il cibo sano, biologico e la cucina priva di grassi e con poco sodio e quello proposto dall’industria alimentare, pieno di codici inspiegabili, contenuti misteriosi, lavorazioni che per accontentare l’occhio, ammalano il resto.La rivoluzione alimentare sembra più vicina di quella sociale, a giudicare dai mille programmi di cucina e dalle mille pubblicazioni sull’argomento. L’ossessione per il cibo, quando non sfocia in bulimia o anoressia,  sembra il segno di una società che, non potendosi soddisfare altrove, lo fa almeno in cucina.