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Affamati e Folli


 L'unico modo di fare un ottimo lavoro è amare quello che fai. Se non hai ancora trovato ciò che fa per te, continua a cercare, non fermarti, come capita per le faccende di cuore, saprai di averlo trovato non appena ce l'avrai davanti. E, come le grandi storie d'amore, diventerà sempre meglio col passare degli anni. Quindi continua a cercare finché non lo troverai. Non accontentarti. Sii affamato. Sii folle. (S. Jobs)È già capitato di parlare di follia legata al lavoro, o meglio alla mancanza di lavoro. Dopo gli ultimi risultati economici che ci vedono sempre in coda nel Vecchio Mondo arrancante sotto i colpi della globalizzazione, ci troviamo per l’ennesima volta stupiti della nostra inconsapevolezza nei confronti della crisi, come lo struzzo che si guarda attorno cavando la testa dalla sabbia. A volte lo smarrimento si trasforma in abisso, perché, benché tutti siano stressati dal lavoro quando c’è, nel momento in cui lo si perde, ci si perde assieme a lui.Articolo 18, flessibilità, “8 ore di lavoro, 8 di svago e 8 per dormire”, lavoro per tutti e disoccupazione di massa. Oscilliamo tra l’intenzione di avere un posto fisso e la certezza che ciò non potrà più essere, tra le colpe di padri con pensioni che i figli non riusciranno più a garantire, tra troppi diritti acquisiti e spesso abusati e fragilissime garanzie per chi cerca nuova occupazione.Il concetto di domanda ed offerta si è ormai completamente ribaltato: nella nostra economia stantia la deflazione offre troppo e chiede poco, ma come spesso accade quando non si hanno proposte concrete da chi ci governa, scatta la creatività, l’arte di arrangiarsi, l’apparente follia.Al di là del recupero di “vecchi mestieri”: dalla sarta al ciabattino, dall’arrotino al pastore, la crisi ha messo in moto anche la voglia di percorrere nuove strade. Il benessere e l’etica “dell’usa-e-getta” hanno incentivato l’iperproduzione di oggetti, quindi il “recupero” è diventato un dovere. I mercatini del riuso fioriscono e appassiscono nel giro di una giornata. Si recuperano mobili, magari trasformandoli “shabby chic”, così la cassapanca logora appare raffinata con due pennellate imprecise ed un vasetto di lavanda sopra. Si ricuciono abiti svecchiandoli con qualche strass o trasformandoli secondo il re-fashion: prendo una maglietta e ne faccio una borsetta. Se la produzione ormai tira a campare, il settore dei servizi, fino a che ci sarà qualcosa da vendere, scambiare, comprare o affittare sembra possa avere ancora un po’ di respiro. Accanto alle nuove professioni legate al web* e al commercio online: copywriter, app designer, web server administrator, web security manager, ecc. ecc, esiste un web-mondo parallelo dove praticamente si replicano le figure commerciali e amministrative del mondo reale, dal marketing manager all’advertising manager, magari senza scrivania e a tempo, ma pur sempre occupabili. Se poi vogliamo dare un respiro internazionale alle nostre attività lavorative, possiamo diventare parte della homestay community ed ospitare in casa nostra ospiti da tutto il mondo, noleggiando loro un po’ del nostro tempo e dei nostri spazi.Per i ricchi sempre più ricchi si creano servizi che i poveri sempre più poveri neanche possono immaginare per quanto sembrano futili. Giusto per fare alcuni esempi: il life stylist cura riunioni ed eventi fuori dal matrimonio, mentre il wedding planner proprio quelli del matrimonio; il personal shopper, dietro congruo compenso, sa cosa ci serve dentro l’armadio, mentre l’home shopper l’armadio lo compera per noi, mettendolo in armonia con il resto del nostro arredamento. Se poi pensiamo di vendere casa e non ci riusciamo, gli home stager possono darci una mano facendo il make up alle nostre abitazioni, rendendole così più appetibili. Banalmente, per reinventarsi un lavoro, si dovrebbe partire da tre concetti fondamentali: la voglia di lavorare che l’opulenza del dopoguerra ha assopito; la necessità di lavorare, come completamento di sé che ogni uomo ed ogni donna dovrebbe avere e che, invece, potrebbe sottostare alla perdita del sussidio di disoccupazione, oppure al bisogno di curare i figli o i genitori o al non ritenere “adeguata” l’offerta lavorativa; la possibilità di mettersi in gioco e su questo aspetto il sistema scolastico italiano dovrebbe assumersi qualche responsabilità. In una scuola omologante come la nostra i ragazzi non crescono né affamati né folli come li avrebbe voluti Jobs, le diverse modalità di apprendimento non vengono testate se non in modo marginale o casuale e la creatività viene spesso castrata da poca inventiva e modalità di insegnamento che non fanno percepire quanto, attorno a noi, il mondo stia cambiando, ma soprattutto quanto ognuno di noi possa mettere a frutto i propri talenti.*mi scuso per l’utilizzo esagerato di termini inglesi, ma davvero sarebbe stato complicatissimo e soprattutto poco funzionale,  tradurre i corrispondenti in italiano.