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Vite fragili


 «La gioventù di oggi è corrotta nell’anima, è malvagia, empia, infingarda. Non potrà mai essere ciò che era la gioventù di una volta e non potrà mai conservare la nostra cultura» (iscrizione su tavoletta assiro-babilonese 1000 AC) Se è vero, com'è vero, che il linguaggio non veicola solamente i messaggi, ma è segno di cultura, ci si potrebbe domandare quale deriva ci aspetta se ci basiamo sulla comunicazione utilizzata dai ragazzi di oggi, uomini di domani. Tra di loro si capiscono perfettamente, pur se provenienti da paesi diversi e da altri vissuti: il minimo comune multiplo è la musica, la play station e tutto ciò che fa “immagine”, ma il rapporto con gli adulti è tutta un'altra storia.Dice un proverbio arabo: “Ogni parola, prima di essere pronunciata, dovrebbe passare da tre porte. Sull'arco della prima porta dovrebbe esserci scritto: "È vera?" Sulla seconda campeggiare la domanda: " È necessaria?" Sulla terza essere scolpita l'ultima richiesta: "È gentile?". Se si analizzasse il linguaggio dei nostri ragazzi da punto di vista semiologico, verrebbe da dire che, se applicate, le regole del proverbio arabo determinerebbero un assordante silenzio. Il “gap generazionale” sta allontanando le sue sponde: la distanza che c'era tra i miei pensieri e quelli di mio padre, durante la mia adolescenza, mi sembra ora un'inezia rispetto alla distanza siderale, tra un quarantenne di oggi e suo figlio, a meno che non condividano FIFA 20015 sulla PSP4, o abbiano lo stesso gusto per lo shopping ma, anche in quel caso, è una lingua che non scava nel profondo.Ciò che comporta la metamorfosi della giovinezza: dai brufoli agli ormoni in subbuglio, dalla voce che va e viene, al seno che non sboccia, rimane segno di un cambiamento sempre uguale a se stesso, ciò che pare davvero cambiato è il senso di inadeguatezza che i genitori dichiarano, arrendendosi davanti a comportamenti inspiegabili e rinunciando a capire le oscure motivazioni dei loro eredi.Nei figli, i genitori non riconoscono più gli adolescenti che sono stati un tempo, mentre i ragazzi, sguardo fisso sugli smartphone e auricolari cementati nelle orecchie, li guardano senza vederli, li sentono, senza ascoltarli: il grado zero della parola tra giovani ed adulti assume così la sua massima espressione.Che gli adolescenti vivano vite fragili è assodato dalla letteratura pedagogica universale, ma la vera fragilità è il crescente disagio degli adulti nei loro confronti. I genitori hanno deposto le armi, non più coercitivi come nel secolo scorso, ma neppure accondiscendenti come nel nuovo millennio, stanno a metà strada, indecisi se ritirare il cellulare o denunciare il professore che ha dato una nota disciplinare, confusi nei tempi e nei ruoli, troppo distanti ormai anche per giocare la carta del genitore-amico, ricordo ormai sdrucito degli anni '90. La metamorfosi di mamma e papà sta andando verso il genitore “no limit”: “...noi ti amiamo, ti conosciamo bene ed abbiamo piena fiducia in te, tu sai quello che devi fare e saprai fare le scelte giuste, sei libero di agire e noi non ti controlleremo....” (cit. “I nostri ragazzi” film di Ivano de Matteo del 2014). Attraverso questa nuova pedagogia familiare, gli adolescenti non potranno altro che confondersi ancora di più, oscillando tra il senso di onnipotenza e quello di abbandono.