|SINISTRA|Cologno

Post N° 73


ERO PARTIGIANO, RESTO COMUNISTA
Intervista a Giorgio Marzi      di Adamo Mastrangelo foto EZDalla guerra alla Resistenza, dalla Liberazione all’impegno politico nel PCI, prima Segretario della Federazione di Stoccolma dal ’72 e poi di Francoforte nell’80, percorrendo nel frattempo gli anni difficili della fabbrica novecentesca. Giorgio Marzi, attuale presidente della sezione provinciale ANPI di Trieste, mi accoglie nella calda sede di via Crispi. Qualche acciacco dovuto ai suoi 82 anni, ma una giovane lucidità e un fermo orgoglio appassionato di chi dice «sono sempre rimasto comunista».A Trieste le cose non sono mai andate facilmente, soprattutto gli anni della guerra dopo il settembre del quarantatre. Dove inizia la sua esperienza politica?La mia esperienza politica inizia qualche anno prima. Ricordo il processo del ’41 dove il fascismo, per dare prova della sua forza, inflisse 9 condanne a morte. Già in quel periodo avevo contatti con gruppi partigiani presenti sul territorio triestino e nel ’44 sono entrato nel PCI e nel quarto battaglione GAP, che poi è passato sotto il comando della VDV jugoslava. A proposito della Jugoslavia, come vedevate l’esercito partigiano di Tito? L’influenza del movimento comunista jugoslavo ha avuto un’influenza fortissima sui compagni di tutta la Venezia Giulia, e anche sul PCI triestino. C’era una sorta di fratellanza. C’è da dire che in quegli anni noi partigiani triestini dovemmo imparare molto dall’organizzazione dell’esercito di liberazione oltre confine e lo vedevamo come un punto di riferimento.Eppure la figura del dittatore jugoslavo non è ben vista dalle nostre parti. Per quanto riguarda Tito, credo sia l’unica figura che sia riuscita ad unire popoli da sempre divisi. Bisogna riconoscerglielo.Tutti conosciamo la storia delle foibe, ma forse non abbastanza come chi vide con i propri occhi quelle vicende drammatiche.C’è tanto revisionismo, non solo da destra. Purtroppo anche a sinistra si cerca di stravolgere o nascondere alcuni dati importanti, col fine subdolo di rivalutare la resistenza. Le foibe non furono «pulizia etnica», come si afferma troppo spesso: c’era l’intenzione di eliminare i fascisti e i collaboratori, che a Trieste erano davvero tanti. Certo le foibe furono un male, ma non superiore a quello che produsse il fascismo a Trieste e in tutto il territorio circostante.Parla della cosiddetta «italianizzazione forzata»?Certo, tra le cose orrende che commise il fascismo. Pensi che mia nonna a 70 anni è stata schiaffeggiata per strada da un fascista, perché sorpresa a parlare sloveno con una sua compaesana. Anche se questo è nulla in confronto ai pestaggi e alle uccisioni, ma chiunque si sentirebbe offeso e calpestato a vedere la propria nonna essere umiliata.Le foibe furono anche frutto dell’odio profondo verso il nazifascismo. Il fascismo proibì addirittura di pregare in sloveno. Anche i cognomi vennero “italianizzati”.Prenda ad esempio il mio cognome: all’origine era Marc, poi passato a Marz sotto gli austriaci ed infine Marzi con il fascismo.Lei si sente ancora comunista?Senza alcuna ombra di dubbio. Oltretutto Diliberto è un mio carissimo amico.In questi ultimi tempi si è acceso il dibattito a sinistra sulla confederazione e sui simboli. Crede che la falce e martello sia ancora indispensabile?Come le ho detto continuo a sentirmi comunista e credo che la sinistra debba cominciare a invertire la tendenza a dividersi, che purtroppo ha segnato gli ultimi anni. Dobbiamo essere uniti, soprattutto oggi. A proposito dei simboli del lavoro, cioè la falce e il martello: credo che sia in atto una demonizzazione al comunismo che passa anche dall’eliminazione dei simboli. La bandiera rossa con la falce e il martello sventolava anche sui gulag, ma ha rappresentato la speranza per milioni e milioni di deboli. da La Rinascita della Sinistra - 14 Febbraio 2008