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« MARCO PANTANIMUSICA E RICORDI »

TREMILAMETRI

Post n°242 pubblicato il 26 Febbraio 2014 da longu
 

TREKKING URBANO

 

Oggi si cambia. Si cambia itinerario.

Da casa mia al centro città più o meno tremilametri, forse più.

Andrò dal Turco ultimo re della porchetta, ultimo cibo di strada delle nostre parti.

Vado al mercato e torno in autobus.

Percorro in centro le vie dello struscio fino alla piazza principale.

Da piazza Roma al Foro Annonario del Vanvitelli, guardo le insegne dei negozi.

Sono tutte uguali a quelle di altre città grandi o piccole che siano. L’omologazione è molto avanti.

Ovunque, al nord come al sud o nel centro Italia, gli stessi negozi.

Le stesse catene di biancheria intima, jeans, vestiti, scarpe

intervallate da un buon numero di sportelli bancari.

Marche e marchi multinazionali, con i loro loghi sempre uguali,

con lo stesso design ripetuto all’infinito che fa sparire tutto quanto c’è intorno:

monumenti, arte, architettura, umanità, buon gusto.

Qui come a Milano, a Roma come a Napoli, a Catanzaro come a Vercelli, a New York come a Copenaghen,

le nostre strade si sono trasformate in centri commerciali. 

Un paesaggio che in tutto il mondo genera le stesse sensazioni deprimenti.

È così anche in Sudamerica, anche in Oriente, persino in Africa.

Omologazione questo è il fenomeno che sta colonizzando i nostri luoghi del vivere.

Un fenomeno che riguarda l’intero tessuto urbano e di conseguenza anche quello sociale.

Poi il cibo, la più vivace forma di umanità e di condivisione,

e le piccole attività ad esso legati, è il settore più colpito.

I nuovi negozi che si aggiungono ai vari centri commerciali,

outlet e ipermercati che proliferano in periferia e lungo le tangenziali

hanno estromesso quasi tutto il cibo dalle nostre strade e dalle vetrine delle nostre città.

Lo hanno sostituito con cose che non si mangiano,

con cose che creano deserti di socialità, di cultura e di piacere.

Deserti dove al posto della sabbia siamo circondati da mutande e scarpe firmate,

tutti uguali come ogni granello di ogni arida distesa di questo pianeta.

Da questi panorami urbani, cui purtroppo siamo ormai assuefatti,

sono sparite le drogherie, le latterie, le molte gastronomie, le pasticcerie, le macellerie.

Non esistono più quelli che una volta si chiamavano gli “alimentari”.

Ma anche i calzolai, le mercerie e tanti piccoli esercizi commerciali

sono stati soppiantati da modelli di consumo frenetici e artificiosi

molto meno umani di quelli cui eravamo abituati.

Gli affitti salgono e solo le grandi catene o i locali notturni della movida possono permettersi di pagarli.

Il modello del fast food o del supermercato, del grande luogo in cui comprare,

ha sostituito con la sua serialità ciò che era sempre diverso, ma rassicurante e pieno di umanità:

la faccia del droghiere, la chiacchiera del panettiere, la perizia del fruttarolo, la simpatia del macellaio.

L’unica soluzione è cominciare a premiare con i nostri acquisti chi resiste come il Turco

e le piccole economie agricole del territorio.

Bisognerebbe impegnarsi nel moltiplicare queste piccole economie anche su larga scala:

una specie di franchising, in cui la catena è fatta di luoghi semplici nel cuore del tessuto urbano.

Luoghi minimi, ma partecipati, che si approvvigionano in zona e che esaltano le diversità.

Tutti simili, ma profondamente differenti gli uni dagli altri, uniti in rete

e diffusi per dare nuova linfa positiva alle nostre città.

Attività gratificanti che uniscono le persone, invece di sparpagliarle in un deserto consumistico

in cui si stenta a trovare qualcosa di buono, qualcosa di bello.

Turco fammi un panino e un bicchiere di Lacrima. Mangio e bevo qui, di nascosto.

I dottori non vogliono, dicono che mi fa male, ma che ne sanno.

Forse sanno curare le arterie non certo l’anima. Gli sciamani sono migliori.

Brindo a te, compagno Turco, sei il capo della Resistenza.

Ma se ho sempre votato per Berlusconi che non mi faceva pagare le tasse.

Non fa niente compagno Turco, sei ugualmente il capo della Resistenza.

Passa Francesco, il segretario di SEL, anche lui fa la spesa.

Mi fa: con Renzi la sinistra ha toccato davvero il fondo.

Eh no, caro, non hai il diritto di lamentarti. Quella sinistra l’hai voluta e sostenuta,

governi questo comune con loro contro di noi,

hai persino votato Civati alle primarie, perciò non hai il diritto di lamentarti.

Domani, continua, formiamo il comitato per sostenere Tsipras alle europee,

tu staresti bene nel gruppo che lo dirigerà.

No, non verrò. La nostra occasione l’abbiamo avuta e l’abbiamo sprecata.

Orta tocca ai nuovi, a tuo figlio e a mia figlia e ai giovani del Centro Sociale.

Se venissi e vedessi certe facce non saprei trattenermi.

Poi dal 2008 ho giurato di non obbedire più a chi capisce meno di me.

 

 
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Commenti al Post:
swala_simba
swala_simba il 27/02/14 alle 14:31 via WEB
riesco solo a leggere in silenzio: è così profondo e intimo quello che scrivi da commuovere..
(Rispondi)
 
 
longu
longu il 28/02/14 alle 00:03 via WEB
commuovere è una parola che mi piace....poi camminando lentamente si guarda,si ascolta e si pensa. lunedì mi tirano a nuovo....poi altro che tremilametri.
(Rispondi)
 
 
 
swala_simba
swala_simba il 28/02/14 alle 08:41 via WEB
^_^
(Rispondi)
 
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