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Valle D'Aosta

Post n°274 pubblicato il 31 Gennaio 2009 da rorina77
Foto di rorina77

VALLE D'AOSTA

Popolazione: 119.610 (dati al 1/01/1998)
Superficie (Kmq): 3264
Densità (Ab/Kmq.): 37
Capoluogo ed unica Provincia: Aosta (AO)


 


A Roisan passò Calvino?


La leggenda vuole che nell'anno 1536 sia transitato, nella frazione di Closellinaz Dessous ove si trova l'omonimo ponte, Calvino in fuga verso il Vallese. Questa vicenda rimane tuttora una leggenda in quanto priva di ogni prova documentata. Lo stesso De Tiller nella prima metà del Settecento affermava che il passaggio di Calvino nella Valle D'Aosta non era basato su alcuna "preuve autentique qui en fasse foy".


 



La Leggenda del Ru Mort


Premessa: Ogni Ruscello, durante i periodi di piena, è sorvegliato da una Guardia che controlla che l'acqua non venga sprecata e vengano rispettate le quantità e i tempi di irrigazione dei singoli proprietari terrrieri. Era una calda mattina di Agosto quando la Guardia del Ru Mort si alzò per fare il solito giro di controllo del ruscello. Quel giorno però, il guardiano non era solo e si sentiva seguito da una presenza oscura e misteriosa. Insospettitosi da tale sensazione si fermo a controllare una paratia quando, con la coda dell'occhio, notò qualcosa muoversi nell'erba accanto a lui. Avvicinatosi per vedere cosa lo aveva messo a disagio scoprì una vipera nera strisciare nell'erba. Il guardiano, infastidito da quella presenza, prese un bastone ed allontanò la serpe di qualche centimetro per evitare che avesse potuto nuocergli. Intraprese nuovamente il giro di ispezione lungo il ru. Dopo un centinaio di metri attirato dal frastuono dell'acqua che usciva da una seconda paratia, lasciata sbadatamente aperta , si fermò per chiuderla, ma, nel mentre cercava di afferrarla, si accorse che la medesima vipera era attorcigliata sul manico della stessa. Stupito e spaventato si allontano frettolosamente lungo il ruscello. Dopo pochi metri si fermo per riprendere fiato e si accorse che vicino ai suoi piedi c'era nuovamente la serpe che lo infastidiva. Questa volta però, innervositosi, afferrò un bastone e la colpì mortalmente. Da quel giorno il ruscello iniziò a perdere acqua da ogni parte, le pareti si sgretolarono sotto la forza impetuosa dell'acqua ed ogni tentativo di manutenzione si concluse con un fallimento. Infatti il Guardiano, convinto di aver ucciso una semplice vipera, si sbagliava, in quella creatura si nascondeva la Fata protrettrice del Ru che da quel giorno prese il nome di Mort, perchè con la morte si concluse l'agricoltura lungo il tracciato del ruscello


 



















Il diavolo e la bella


Premessa:"In epoca passata ,in Valle d'Aosta, era solito ritrovarsi tra famiglie per trascorrere in allegria e compagnia le serate(Veglià), ma allo stesso tempo si approfittava dell'occasione per finire quei piccoli lavori indispensabili alla vita di allora" All'inizio del secolo scorso,alcune famiglie di Roisan si ritrovarono in una stalla in Fraz. La Cretaz, accanto alla casa parocchiale, per trascorrere la "Veglià" .(come allora era consuetudine fare in Autunno ed Inverno quando le serate si allungavano per via della stagione) Una sera, intenti a sgusciare delle noci per la produzione dell'olio, sentirono bussare alla porta. Si presentava un baldo giovane,molto elegante e attraente che affermava di essere di passaggio e cercava ospitalità per quella sera. La richiesta gli fu accolta se in cambio avesse contribuito a sgusciare le noci. La ragazza più bella della compagnia attratta dal giovane entrava con lui in una profonda confidenza ed insieme si misero vicini al tavolo. Ad un tratto però un giovane del gruppo si accorse che il nuovo arrivato, forse distratto dall'affascinante ragazza del paese, eseguiva il lavoro al contrario, gettando a terra i gherigli e tenendo i gusci sul tavolo. Chinatosi per raccogliere quel bene ,un tempo assai prezioso, si accorse che il giovane al posto dei piedi umani e delle scarpe possedeva dei zoccoli d'animale. Spaventato, usci' di tutta fretta senza farsi notare per chiedere aiuto al parroco che a sua volta munito di aspersorio si dirigeva assieme al giovane alla stalla. Una volta entrati lo straniero, alla vista del sacerdote, balzava in piedi e ,dopo aver graffiato la bella sulla guancia, si dileguava attraverso un finestra munita di feritoia facendola cadere. La bella rimase sfregiata per tutta la vita e ,ancora oggi, ogni tentativo di fissare le feritoia della finestra ove e' fuggito il Diavolo è risultato invano.























 
 
 

piemonte

Post n°273 pubblicato il 30 Gennaio 2009 da rorina77
Foto di rorina77

PIEMONTE

Popolazione: 4.291.441
Superficie (Kmq): 25.399
Densità (Ab/Kmq.): 169
Capoluogo: Torino (TO), 1.731.039 abitanti nell'area metropolitana, 962.507 a Torino città
Altre Province: Alessandria (AL); Asti (AT); Biella (BI); Cuneo (CN); Novara (NO); Verbano-Cusio-Ossola (VB); Vercelli (VC)


 


Federico Barbarossa, San Pietro e i cavalieri fantasma


Questa leggenda integra quella più famosa di Gagliaudo, il salvatore di Alessandria, durante l'assedio alla città portato dall'imperatore Federico I nel 1174 - 1175. La vicenda parla di un inganno ordito dai nemici di Alessandria, per porre fine al lungo assedio: scavarono un tunnel fin dentro le mura per cogliere di sorpresa l'esercito degli assediati. A svelare l'inganno fu nientemeno che San Pietro, che, quando i soldati stavano per sbucare dal tunnel, scese dal cielo, avvolto in una fulgida luce, sopra un cavallo bianco, nelle mani una spada e le chiavi del paradiso, destò tutta la città e la avvertì del mortale pericolo. I cavalieri alessandrini riuscirono, in tal modo, a contrastare la sortita nemica e, anzi, guidati da San Pietro, uscirono dalla città e misero in fuga tutto l'esercito dell'imperatore, il più potente sovrano d'Europa. A memoria dell'evento prodigioso, nella cattedrale di Alessandria è conservato un dipinto che raffigura San Pietro a cavallo con le chiavi e la spada, nell'atto di spronare i soldati contro uno sbigottito Barbarossa. Il mistero, però, non termina qui, perchè si narra di viaggiatori che, attraversando di notte le campagne alessandrine, abbiano visto strane figure simili ai cavalieri medioevali girovagare furtive e silenziose. I contadini narravano che si trattasse degli spiriti degli antichi cavalieri che avevano sconfitto il Barbarossa, secoli addietro, anime che vanno alla ricerca dei tesori che nascosero da vivi o con una missione speciale da compiere. Attorno a queste "presenze" sono sorti molti racconti. Si narra di una fanciulla aggredita da due delinquenti e salvata dall'improvvisa apparizione di un cavaliere dalle sembianze spaventose; oppure di un guerriero che si aggira di notte nelle zone dove si svolse la battaglia e di tanto in tanto si inginocchia a terra: sarebbe il capitano dell'esercito alessandrino che ringrazia i suoi valorosi soldati morti per la salvezza della città.


 


La creazione dei Piemontesi


Il Creatore al sesto giorno, si era alzato di buon'ora e aveva impastato l'uomo e la donna, prima che facesse giorno.Adamo si era subito innamorato di Eva e, quando si era alzato il sole, avevano già fatto la frittata!Allora, le giornate erano molto più lunghe di oggi, mentre tutto il resto si faceva più in fretta.Questo, per dire che prima che spuntasse il giorno, che era il settimo, e prima che Nostro Signore incominciasse il riposo, sulle rive di un fiume si formavano già una mezza dozzina di tribù.E non sarebbe niente se non fosse che si cimentavano, mugugnavano, bisticciavano, si dice anche che una tribù avesse già trovato il suo Caino per forgiare le armi e appuntire le pietre.E' stato allora, che San Michele è andato dal Creatore e gli ha detto: " Padre Santo, io so che fate tutto bene, e chiedo scusa, ma guardando giù le valli del mondo, vedo che le genti che avete messo dentro, sono razze cattive e maleducate.Perché Nostro Signore non crei una razza con un po' di giudizio nella testa, una razza che, senza chiacchierare troppo si ingegna a mettere un po' di ordine nella terra. Una razza che insegna a quelli dei campi e delle vigne a tenere bene le piante e i fiori. Una razza che sappia lavorare per sé e per gli altri e che al tempo giusto sappia tenere e menare il bastone? "Il Creatore, che si era già messo le pantofole nei piedi e la cuffia in testa, come si usava allora, aveva ascoltato San Michele con la bocca aperta. Più il tempo passava, più si sentiva contento di aver creato un angelo così in gamba e all'avanguardia.E salendo su una nuvola, aveva guardato giù verso la gentaglia che continuava a farsi dispetti e a spingersi. "Spostati! Questo è mio! Sono arrivato prima io!"Si era voltato disgustato arricciando il naso e scuotendo la testa: "Devo proprio fare un'altra razza, come dici tu, ma una razza che abbia la testa sul collo!La testa sul collo, non sulle spalle come tutti gli altri. Una razza che s'ingegna, che metta ordine, che accudisca, che lavori per sé e per gli altri!!"Il Creatore si era calato sulle montagne e con la terra nera, l'acqua chiara, il sole caldo e la roccia dura aveva fatto la razza piemontese con la testa sul collo."Vai e lavora mettendo giudizio per tutti...." Aveva detto al primo piemontese.Ma nella fretta, Nostro signore, si è dimenticato di dargli il bastone da tenere e da menare.E così che i piemontesi sono ancora come li ha fatti Nostro Signore. Lavorano per sé e per gli altri, mettendo giudizio per tutti.Il brutto è che quelli che hanno la testa sulle spalle, hanno continuato a tenere e menare il bastone sulla schiena degli stupidi che hanno la testa sul collo!


 


La leggenda del polentone di Molare


Il nome di Molare è noto anche per una manifestazione tradizionale ultra centenaria che ogni anno richiama migliaia di turisti provenienti da diverse parti d'Italia e alcuni anche dall'estero. E' la sagra del polentone. La tradizione narra che in tempi lontani, gli abitanti delle sperdute frazioni intorno a Molare, si recassero il primo giorno di quaresima di ogni anno, nella chiesa parrocchiale. Si narra che un anno, mentre i pellegrini si accingevano a rientrare nelle loro abitazioni, venissero sorpresi da una forte nevicata che li costrinse a rifugiarsi sotto una tettoia, al freddo, in attesa di riprendere il cammino. Mentre la nevicata infuriava, passò nelle vicinanze della chiesa, la carrozza del conte Gajoli Boidi, il quale volle invitarli nelle cucine del suo castello, ordinando alla servitù polenta e baccalà per tutti. I pellegrini, trovandosi poco a loro agio all'interno del castello, chiesero di poter gustare il dono sotto la tettoia che era stata loro rifugio contro la neve. Così fu ed il pranzo continuò in allegria, tra la curiosità di molti abitanti del concentrico. In anni successivi qualcuno pensò di rievocare il gesto, preparando in piazza la grande polenta e distribuendola a tutti i presenti fra canti e balli. Una festa che con il passare degli anni si è trasformata in una grande manifestazione folcloristica.














La fata


Lungo la strada tra Tiglietto e Canaussa vi è la balma della strega: "la barma dla fa". Tutti quelli che passavano di lì vedevano sempre una strega grossa come la ruota di un mulino che gridava e batteva le mani. A volte, le streghe si ritrovavano vicino a questa balma per il sabba. Facevano un cerchio e la grossa strega stava al centro con il diavolo che si presentava sotto forma di grosso caprone. Un giorno, un uomo di Tiglietto che aveva bisogno di una robusta trave portante per il tetto, sapendo che vicino alla "barma dla Fa" vi era un larice alto e diritto, si reco' sul posto per tagliarvelo. Quando vi giunse, vide tutte le streghe sedute sui rami dell'albero come tanti uccelli. Le pregò di scendere, ma esse fingevano di non sentire. Alla fine, spazientito gridò : "Ah si! Non volete scendere! Vi faro' scendere io!". Iniziò a tagliare il larice a colpi di scure. Picchiava con tanta forza contro l'albero che tutti i rami tremavano, ma le streghe fischiettavano come se nulla stese accadendo . Quando finalmente il larice cadde, esse volarono via come tanti uccellini e nessuno le vide mai più !.


 















 
 
 

liguria

Post n°272 pubblicato il 29 Gennaio 2009 da rorina77
Foto di rorina77

LIGURIA

Popolazione: 1.641.835
Superficie (Kmq): 5420
Densità (Ab/Kmq.): 303
Capoluogo: Genova (GE)
Altre Province: Imperia (IM); La Spezia (SP); Savona (SV).


 


Genova Magica spettri demoni ed altri misteri
Autore Mago Alex


Vi sono racconti e leggende, di ogni tempo e luogo, che narrano come a volte gli spiriti amino celarsi nelle sembianze di animali e come questi vaghino in zone particolari. Gli spiriti, come si sa, possono essere buoni e cattivi e possono recare fortuna a chi li incontra o, al contrario, un vero pericolo di disgrazia.......Si narra che, sulla crosetta di campagna che da Quezzi porta alla torretta, in primavera, al mattino prestissimo, ci si può imbattere in simpatici gnomi celati sotto le spoglie di veloci leprotti, che custodiscono delle monete d'oro fra i loro forti denti e le lasciano cadere ai piedi di chi è in un periodo di bisogno. I paesani sostengono che per meritare questo dono o meglio, per propiziarselo, bisogna lasciare dei piccoli omaggi agli gnomi, tre giorni prima della luna piena, in forma di piccoli dolciumi o di piccoli monili per i quali gli gnomi vanno pazzi! Tali regali vanno depositati sulla crosa entro la mezzanotte, l'ora degli incantesimi, dopodiché si potrà attendere che gli spiritelli si facciano vedere. Ciò non sempre accade, attenzione!; molto spesso, sono proprio coloro che non conoscono la loro esistenza, i fortunati che li incontrano. Ma voi ci potete sempre provare. Proprio come la storiella della gallina dalle uova d'oro: essa fu avvistata in diverse occasioni in varie zone della città, e nei suoi dintorni. Nell'agosto del 1968 fu notata aggirarsi per tre sere di seguito nelle crose sopra Boccadasse . Fu la signora Rosina a vederla e subito si rammentò della leggenda che le era stata raccontata dai suoi nonni. Cercò invano di catturarla per due sere, poi non riuscendovi, convinse alcune amiche ad aiutarla, ma la terza sera la chioccia fatata scomparve in un puff! davanti agli occhi esterrefatti dei presenti che non la videro mai più. In seguito fu vista altre volte nei pressi di Capolungo a Nervi. Una raccomandazione della Signora Rosina: " Se vi capitasse di trovarla, non cercate di catturarla con la forza o con l'inganno, ma chiedete con la bontà d'animo se lei vi ritiene degni di ricevere la sua fortuna. Può darsi che vi conceda uno dei suoi pulcini che vi farà conservare fino a che non sarà diventato adulto, dopodiché, il galletto scomparirà, lasciandovi in un mare di ricchezza". Anticamente queste magiche creature vagavano liberamente in quell'area che ora è diventata la nostra città; con l'avvento della civilizzazione, delle costruzioni edilizie e delle automobili, esse furono disturbate dall'incessante frastuono della vita caotica e si rifugiarono in quel poco verde che ancora sopravvive intorno a Genova. Piccoli gnomi, per esempio, sono stati visti anche nella Villa Scassi di Sampierdarena : creaturine alte su per giù quaranta centimetri che vivrebbero nella profondità del parco. Di tanto in tanto si rendono visibili agli esseri umani. Capitò un giorno ad un ragazzino di nome Gino di recarsi in villa per trascorrervi il pomeriggio; con lui era Toby, il fedele levriero che era solito accompagnarlo. Mentre passeggiava leggendo il libro di storia, cercando di imparare la lezione per il giorno dopo, ad un tratto il cane si fermò di fronte ad un grosso albero, e cominciò a ringhiare. Gino rimase stupito, dal momento che il suo Toby non si era mai comportato aggressivamente in vita sua. Improvvisamente il cane si lanciò verso l'albero, la zampa protesa, ma subito fece un balzo indietro mugolando, come se qualcosa l'avesse ferito. Infatti la povera bestiola aveva una piccolissima ma profonda ferita sulla zampa, simile ad una microscopica morsicatura. Incuriosito, Gino guardò attentamente ai piedi dell'albero, proprio nel punto contro cui il cane si era scagliato. Non trovò alcuna traccia ma scorse un cappellino rosso. Lo raccolse e lo portò con sé a casa. Tale cappello era di foggia molto curiosa, di un colore rosso acceso, orlato di filamenti d'oro, leggero ma resistentissimo. La cosa più strana era che, data la misura, sarebbe potuto calzare ad un bambolotto. Gino lo posò in un cassetto del suo comodino, pensando che fosse stato smarrito da qualche bimbo in fasce. Durante la notte, però, successe qualcosa di veramente speciale: Gino si svegliò a causa di alcuni rumori che sentì nella sua cameretta. Non capendo che cosa fossero, diede un'occhiata insonnolita alla sveglia con le lancette fosforescenti e vide che segnava le tre del mattino. Decise di destarsi del tutto ma continuava a sentirsi vagamente intorpidito, come se l'aria nella stanza fosse mutata e ondeggiasse in un mare di pulviscolo d'oro. Il ragazzo allungò il braccio e accese la luce dell'abat-jour appena in tempo per scorgere un omino, alto circa quaranta centimetri, che si accingeva lestamente a recuperare il proprio cappello. Per un lunghissimo istante, Gino lo fissò e se lo impresse bene nella memoria, quindi svenne per la paura. E' così che lo ha descritto in seguito alla sua singolarissima avventura: "Se pur piccino, aveva una folta e lunghissima barba, sotto cui si intravedevano dei lineamenti molto giovani, era sorridente e per nulla spaventato. Il mattino seguente, mi svegliai normalmente, pensando che fosse stato tutto un sogno. Ma, con grande stupore, vidi che il cappellino non c'era più. Al suo posto, trovai una moneta d'oro molto antica che ancora oggi conservo come portafortuna". Di tanto in tanto Gino si reca ancora sotto l'albero, nella parte superiore della Villa Scassi e lì lascia sempre delle caramelle, la cosa curiosa è che dopo queste piccole offerte, sempre la sorte gli fa vincere delle piccole somme di denaro. Ma ecco un'altra storia a proposito delle cosiddette creature magiche. Enzo, fotografo professionista, giura di aver fotografato alcune ninfe che si bagnavano nel laghetto di Villa Pallavicini, a Pegli che è considerata una delle oasi magiche piene di " homigon" positivo a Genova. " Era una domenica di Maggio ed io mi trovavo nella villa per fotografare una coppia di sposi. Feci il servizio e giorni dopo, quando sviluppai le fotografie, mi accorsi che sopra una di queste, e precisamente su quella in cui veniva riprodotto il laghetto, oltre la coppia di sposi che si rifletteva nell'acqua, erano rimaste impresse due creature dalle sembianze di fanciulle". Una doppia esposizione? Enzo giura di no, ma non è l'unico. Mirella, studentessa liceale, testimoniò che un pomeriggio, mentre passeggiava per il parco della villa, si sentì misteriosamente attratta da una cantilena che sembrava provenire dallo stagno. Giunta sulla sponda, vide formarsi nello specchio dell'acqua quei cerchi che solitamente si formano quando si getta un sasso. La cosa singolare fu che nessuno era presente ( nessuno di umano...)e che queste ondine, se così le vogliamo chiamare, si andarono disponendo sul filo dell'acqua in un disegno grafico del tutto regolare. Lo strano fenomeno durò molto, molto a lungo, tanto che Mirella si sentiva come ipnotizzata e tornò a casa in preda a strane sensazioni, come se fosse stata messa a parte di un accattivante, magico segreto. Chissà, forse queste piccole increspature erano formate da creature invisibili che eseguivano la loro danza sulle note della cantilena. Anche sulle alture di Voltri pare che vi siano le grotte delle fate. Queste grotte venivano adoperate come rifugi antiaerei nell'ultima guerra. La leggenda narra che, alcune centinaia di anni fa', lì vivessero delle creature.... che potremo definire fate. Donnine, anch'esse molto minuscole, ma decisamente molto malvagie! Di loro ha parlato Carlo Dall'Orto, nel suo volume n° 2 intitolato "Voltri". Queste fate o streghe, erano solite lavarsi presso una fontana. Un infausto giorno, una di esse dimenticò il pettine vicino alla fontana e quando se ne avvide era troppo tardi: qualcun altro lo aveva trovato. Da allora, ogni notte nella vallata echeggiava il lamento di questa donnina che domandava la restituzione del suo oggetto da toeletta, in cambio prometteva di rivelare, a colui o colei che lo avesse restituito, delle conoscenze segrete, gelosamente celate nell'antichissimo "Libro del Comando"...... Finalmente un anziano signore trovò il pettine e lo restituì alla proprietaria, ella lo ricambiò donandogli il segreto di un'erba dalle virtù miracolose, e da quel giorno l'anziano signore visse serenamente ed in buona salute fino alla fine dei suoi giorni. Campò oltre cento anni ma, purtroppo, portò con sé nella tomba il prodigioso incanto di tale erba. Rimanendo in tema di creature, per così dire, soprannaturali, mi fu raccontato da Carla, che abita a Sestri Ponente, un fatto che accadde a sua nonna. Era l'anno 1920 quando la signora, un mattino presto insieme con un'amica, scendeva dalla "contra' du Gazzo" (la strada del monte Gazzo), per recarsi al lavoro. Camminando, le due donne si imbatterono in un bellissimo agnello nero che pareva non appartenesse a nessuno. La strada era deserta e le due, guardandosi negli occhi, pensarono che se lo avessero catturato e venduto ne avrebbero ricavato una discreta somma di denaro. Lo presero in braccio, dunque, e continuarono a discendere la via. La futura nonna di Carla proclamo' allegramente che con i soldi si sarebbe comprata un bel paio di scarpe e la sua amica rispose sospirando che lei, invece, desiderava tanto una raffinata tovaglia di lino, per far crepare d'invidia i parenti. Ad un certo punto, l'agnello comincio' a farsi sempre più' pesante finche' non riuscirono più' a sorreggerlo, nemmeno a quattro braccia. Quando lo ebbero posato a terra, lo strano animale si trasformo' repentinamente in un demonio dalle lunghe corna e dalle zampe caprine! Il demonio fisso' le due donne con occhi di fuoco rosso, poi roteo' le pupille in maniera impressionante, caccio' fuori un palmo di ruvida linguaccia nera e ululo' come un cane rabbioso. Infine volto' i tacchi e, sghignazzando forsennatamente, se ne andò' ripetendo le parole: " Scarpe! Lino!.....", con la voce più' beffarda e più' maligna che poteva. Le malcapitate rimasero annichilite e, da quel giorno, non si sognarono più' nemmeno lontanamente di rubare qualcosa che non apparteneva loro! Ancora oggi si racconta che, nel luogo dove avvenne la mostruosa metamorfosi, si sentano echeggiare nelle ore mattutine, le parole "scarpe" e " lino", senza che nessuno sappia spiegarsi da dove provengono! Parlando di metamorfosi, vicende molto più recenti sostengono che nella zona di Via della Maddalena vaghi nelle notti di luna piena il lupo mannaro, creatura malvagia che di giorno è un uomo normalissimo, come potrebbe essere perfino il nostro vicino di casa. Gli anziani abitanti affermano che già vent'anni orsono si sentiva parlare di codesto essere, ma che poi se ne erano perse le tracce. Ora, egli pare sia tornato a turbare i sonni dei residenti della via infestata....Nonna Adelina, per citarne una, giura che alcuni dei gatti da lei accuditi presso Vico della Lepre, siano stati trovati straziati come né animale né uomo, per quanto malvagio, avrebbe potuto fare. La simpatica vecchietta non ha dubbi nell'attribuire questi orrori al fenomeno del lupo mannaro. Alfredo, un pensionato, narra che una volta mentre tornava a casa, verso le due del mattino, venne rincorso fino al suo portone da questa creatura ripugnante e sanguinaria, che lo inseguiva lanciando urli terrificanti." La Belva", aggiunge Alfredo, "era inseguita a sua volta da un gruppo di cani randagi, che lo azzannavano senza posa. Fu proprio grazie a questi randagi che riuscii a mettermi in salvo". Leggenda.....Fantasia.....chissà. La letteratura popolare è ricca di storie come questa, si può sempre organizzare una spedizione notturna, per appurare tutto ciò! Comunque, esiste un'altra supposizione, sull'apparizione di una strana creatura nei pressi della via sopracitata. Pare che in un punto particolare sia ubicata una delle tre porte che danno accesso all'inferno e che questo essere altri non sia che il cane infernale, messo lì di guardia. Ma su questo fattaccio torneremo ancora. Ci sposteremo leggermente fuori Genova, ora, e precisamente sulla strada che da Pareto scende a Mulino Vecchio. Aldo, contadino di cinquant'anni, mi raccontò di una sua esperienza davvero fantastica. " Era autunno, il cielo era coperto da nubi nerissime. Saranno state circa le 19.30, era decisamente molto buio. Iniziai la discesa con la mia autovettura, per andare appunto a Mulino Vecchio. La strada era pressoché invasa da farfalline, che si agitavano davanti ai miei fari. Cominciò a piovere ed io azionai il tergicristallo. Le farfalline adesso erano come impazzite, vuoi per la pioggia, vuoi per i fasci di luce dei fari, fatto sta che venivano ad urtare contro il parabrezza bagnato, quando, d'improvviso udii un colpo più forte. Frenai in fretta, guardai attentamente e vidi che, agganciata al tergicristallo, vi era una farfalla parecchio più grande delle altre. Ma la cosa più straordinaria era che quella creaturina possedeva sembianze umane! L'urto doveva averla stordita, ed io provai un moto di pena: sembrava così indifesa....Scesi dall'auto e mi lanciai per prestarle soccorso. Fuori pioveva ormai a dirotto. Presi questa creatura delicatamente tra le dita, svincolandola dal tergicristallo. Dopo un po', sembrava che si fosse ripresa. Lei mi guardò terrorizzata, con quegli occhietti neri, e talmente luccicanti che riuscivo a distinguerli malgrado la scarsa luce di quella serata. Poi, in un attimo scomparve ed io rimasi lì, come sbalordito, per circa un quarto d'ora, a riflettere sull'accaduto. Quando mi fui ripreso dallo choc, risalii in auto e mi avviai verso casa mia. Di quanto mi accadde non feci mai parola con nessuno, neanche con mia moglie. E' la prima volta che racconto questa storia, ma non l'ho mai dimenticata, ed inoltre sono convinto di essere stato davvero fortunato, per aver assistito ad un simile prodigio!". Recentemente conduciamo con il mio gruppo, delle ricerche su presunte apparizioni di gnomi, fate e folletti che popolerebbero il Monte di Portofino ( vedi Secolo XIX del 07-09-97 ). Le apparizioni sono state segnalate precisamente sul percorso che dalle batterie (postazioni dei tedeschi dell'ultima guerra) porta a San Fruttuoso di Camogli ( Via dei Tubi), in una zona poco distante abbiamo raccolto la testimonianza di un contadino che, precisamente nei boschi di Susisa di Sori avrebbe avuto un incontro con una bella ed avvenente gnoma. " Stavo cercando dei funghi (forse allucinogeni n.d.a.) quando vidi una donnina tanto piccola quanto carina. Mi misi a spiarla mentre si stava pettinando. A voce alta feci un apprezzamento un po' spinto, che ahimè fece adirare il gentile consorte della bella folletta. Io per farmi perdonare regalai allo gnomo il più bel fungo che avevo trovato; lui accettò e per contraccambiare mi donò una bella pipa intarsiata.


 


I raduni delle streghe alla "Canà"


Le colline erano allora un luogo molto adatto ai raduni delle streghe, le quali esercitavano un'attività intensissima anche nel nostro paese. Si racconta che erano abilissime a preparare polveri per ereditare, per sciogliere matrimoni e, dietro grossi compensi procuravano i più impensati intrugli di coda di rospo ed occhi di ramarro; facevano sortilegi ed operavano profanazioni.
Per le malattie delle streghe esistevano medici particolari i quali, non meno scientificamente delle loro antagoniste, con particolari gesti e formule, scacciavano i mali. Il malocchio veniva tolto con la "perlengoeia" un rito ancora in uso nei paesi e con formule magiche; vediamone una :
"Dio me libere da sto mà,
O mà dell'oeggio zù pe - o canà".
Riunioni annuali avevano la funzione di veri e propri congressi scientifici e si tenevano nella zona della "Canà" la notte di San Giovanni; si scambiavano i commenti e le opinioni su nuovi metodi ed infine tutte intorno al fuoco a ballare.
Questo lo racconta la fantasia popolare, ma chissà se poi, vermi, reumatismi, insolazioni e rispole, passavano veramente ... alla faccia della medicina moderna!.















 
 
 

emilia romagna

Post n°271 pubblicato il 28 Gennaio 2009 da rorina77
Foto di rorina77

EMILIA - ROMAGNA

Popolazione: 3.947.102
Superficie (Kmq): 22124
Densità (Ab/Kmq.): 179
Capoluogo: Bologna (BO)
Altre Province: Ferrara (FE); Forlì-Cesena (FC); Modena (MO); Parma (PR); Piacenza (PC); Ravenna (RA); Reggio Emilia (RE); Rimini (RN).


 


Il fosso del diavolo


Nel paese di Sasso Marconi, nell'appennino Bolognese, esiste un enorme fosso, chiamato fosso del Diavolo. Si racconta che un tempo la tremenda creatura obbligava i contadini a consegnargli tutto il cibo che producevano, altrimenti sarebbero stati puniti.
I poveri contadini sopportavano mal volentieri le prepotenze del diavolo finchè un giorno si ribellarono, rifugiandosi in una chiesa.
Il diavolo andò su tutte le furie e stava per distruggere la chiesa quando un bagliore dal cielo,improvviso e violento(*), scaraventò il diavolo sulla terra. L'impatto fu tale da creare un enorme fosso nel terreno, dal quale iniziò a scorrere dell'acqua.
Si dice che in fondo lla sorgente si nasconde un enorme tesoro, ma trovarlo è impossibile perchè dal fosso si dirama un'infinità di passaggi. In molti hanno provato a raggiungere la sorgente manessuno finora ci è mai riuscito.


 


Azzurrina


Nel 1375 il "Mons belli" è sotto il dominio dei Malatesta. Ugolinuccio Malatesta, signore di Montebello, è fuori in battaglia e ha affidato la sua bambina, Guendalina, a due guardie di fiducia. Perché una fanciulla in tenera età (tra i sei e gli otto anni) si trova in una fortezza da guerra qual era il Castello di Montebello, con la sola compagnia di uomini armati? Guendalina era nata albina, quindi chiara di pelle, capelli e occhi; bianca come la neve. Nel Medioevo questa caratteristica era ritenuta espressione del demonio, le donne con i capelli bianchi o rossi erano ritenute streghe, perciò i genitori della bambina per proteggerla, la nascosero agli occhi maligni con una tintura per capelli e l'isolamento nella fortezza. Il particolare effetto azzurrato dei capelli, dopo la tintura vegetale a cui erano sottoposti, accompagnato all'azzurro limpido degli occhi, le valse il soprannome di Azzurrina. Come abbiamo detto, in quei giorni il padre era assente, in guerra. Corrono i giorni del solstizio d'estate, scoppia un forte temporale e Azzurrina è costretta a giocare all'interno del castello, guardata a vista dalle guardie. La piccola si sta trastullando con una palla di stracci che fa rotolare per corridoi e scale, finché le sfugge di mano e precipita giù nel sotterraneo dove si conservano i cibi. La bambina insegue la palla e scende le strette e lunghe scale che conducono alla ghiacciaia. I due armigeri non si preoccupano più di tanto e la lasciano andare, da lì non si può raggiungere nessun altro posto del castello. Succede tutto in un attimo: una corsa, un grido e la bambina scompare per sempre. Le guardie richiamate dall'urlo, accorrono nei sotterranei ma non trovano traccia di anima viva. La bambina è scomparsa nel nulla e da allora non viene più ritrovata. Il Malatesta si dispera e fa condannare a morte i due armigeri, unici testimoni della misteriosa disgrazia, a cui non crede, come tanti altri nel corso dei secoli. La misteriosa scomparsa di Guendalina Malatesta però non è una favola ma un fatto realmente avvenuto; è narrata in una cronaca del'600, custodita nella biblioteca del castello. Così nasce la leggenda di Azzurrina, la bimba che da quel lontano 1375 continua ad abitare le stanze del Castello di Montebello. Giunta fino a noi in un'eco tra il pianto e il riso dalle registrazioni delle troupe televisive effettuate nel 1990 e nel 1995, nel castello disabitato, a porte chiuse, con microfoni ultrasensibili, la voce di Azzurrina continua a farsi sentire avvincendoci con il suo intrigante mistero e attirandoci tra le mura del suo castello, diventato monumento nazionale e custodito fino al 1998 dalla professoressa Welleda Villa Tiboni, recentemente scomparsa. L'ultima "castellana di Montebello" sarà anche l'ultima custode del segreto celato dietro la scomparsa di Azzurrina, di cui finalmente sveleremo il mistero. La versione ufficiale della storia è la versione propinata dagli unici testimoni della tragedia, i due soldati addetti alla scorta della bambina. È quella che viene raccontata ai visitatori del castello, da quando questo è diventato un monumento d'interesse nazionale e di singolare attrazione. Queste mura hanno custodito per sei secoli il segreto di quella tragica giornata. Alcuni anni fa un medium, durante una seduta tenutasi nel castello, si è messo in contatto con lo spirito di Azzurrina, la quale ha finalmente raccontato come sono andate realmente le cose. Fu un incidente. Guendalina, nel rincorrere la palla, cascò dalle scale e morì sul colpo. I due guardiani accorsero troppo tardi e trovarono la bambina ormai senza vita. Spaventati, rei di negligenza, essendo i responsabili dell'incolumità della figlia del loro signore e temendo una terribile punizione o la morte stessa, occultarono il cadavere, seppellendolo nel giardino e raccontando poi a tutti la versione della leggendaria sparizione. I due sventurati andarono incontro alla morte lo stesso e si portarono nella tomba il terribile fardello. Quante persone allora piansero la scomparsa della bimba e quanti ancora si commuovono a sentire narrare la sua storia, ma Azzurrina ha detto di essere felice e di voler continuare a vivere dentro l'amato Castello di Montebello, assieme ai suoi amici di ieri e di oggi. Lasciamola riposare in pace sotto il verde di quello che fu il suo giardino, lasciamola abitare le stanze di quella che fu la sua breve dimora; azzurro angelo custode del Borgo di Montebello.


 


San Giorgio e il Drago


La leggenda di San Giorgio che uccide il drago è conosciuta e rappresentata in tutta Italia, ma vide le sue origini nella nostra bella terra di Romagna, quando, nel lontano Medioevo questo santo cavaliere liberò la nostra regione da un terribile e mefitico dragone. Le vecchie donne romagnole hanno cantato per secoli in chiesa "L'Urazion ad San Zorz", un canto, una preghiera in vernacolo che narra questa leggenda religiosa tanto cara ai credenti di tutte le terre cristiane. C'era una volta un drago ruggente che abitava in un nero lago puzzolente. Questo terribile dragone con occhi di fuoco e lingua di fiamma, pretendeva sempre dalla gente della valle una creatura da mangiare. Finite le bestie dovettero arrendersi a sacrificare le persone e la prima prescelta fu proprio la figlia del re. La povera principessa ebbe dieci giorni per prepararsi al sacrificio, poi fu accompagnata al lago tutta adornata. Passava in quel mentre un cavaliere che vedendo quella bella e ricca fanciulla abbandonata sulle rive del lago, le chiese cosa facesse. La giovane narrò la sua triste storia e pregò San Giorgio di andarsene subito se non voleva fare la sua stessa fine, ma questi rispose coraggioso che l'avrebbe salvata e chiese cosa avrebbe ricevuto in cambio. Naturalmente tutto il suo regno! Al santo però, non interessavano onori e ricchezze, voleva solo che tutti diventassero dei buoni cristiani e questo si fece promettere dalla fanciulla. Arrivò in quel mentre l'orribile drago sputafuoco che dalla bocca emanava un insopportabile fetore e San Giorgio per un attimo si sentì perduto, ma un Angelo del cielo lo spronò a compiere il suo dovere. Così, il santo cavaliere in groppa al cavallo e con la spada sguainata che da sette anni non era più stata usata, andò incontro al dragone per piegarlo al suo volere. Su quel grosso collo mollò un fendente e il dragone si accasciò; allora ordinò alla principessa di chiudergli la bocca con la sua cintura, perché da quella mefitica boccaccia non uscisse più nessuna sventura e se lo tirarono dietro fino al paese, docile come un agnellino e senza pretese. Furono accolti con ogni onore e gioia e il re volle a tutti i costi premiare quel giovane e ardito cavaliere. Gli offrì castelli, oro e argento, ma San Giorgio chiese loro di credere in Dio e di farsi battezzare. Solo questo voleva e questo ottenne. In fede sua si battezzarono a migliaia e da quel giorno non si vide più nessun dragone. La credenza dice che chi si ricorda l'orazione (* vedere Sergio Diotti...) e la dice per bene tutta di fila, si guadagna il Paradiso. Magari bastasse!


 


Paolo e Francesca - I corpi ritrovati


Questa non è leggenda, Paolo e Francesca sono realmente esistiti e la loro passione, finita in tragedia, grazie a Dante e a tanti altri poeti e scrittori, è entrata nel mito e ha fatto sospirar molti cuori dal Medioevo a oggi. Lo stesso Dante, riguardo a loro, disse: "... sì che di pietade io venni men come io morisse"; nessuno può rimanere indifferente davanti alla storia dei due amanti sfortunati. Vicenda che s'intreccia con la storia di Rimini e dei suoi signori: i Malatesta, famiglia a cui apparteneva Paolo e di cui Francesca entrò a far parte grazie al matrimonio con il fratello di questi, Giovanni lo zoppo detto Gianciotto. Matrimonio politico, organizzato per rinsaldare l'alleanza tra le due famiglie e celebrato per procura. Siamo verso la fine del milleduecento; Malatesta da Verucchio detto il Mastin Vecchio, perché fu il fautore di un secolo di vicende della famiglia, si accorda con Guido il Minore Da Polenta signore di Ravenna, per unire in matrimonio i loro due figli e stabilire una salda alleanza tra le due signorie romagnole. A Francesca viene detto che sposerà il primogenito di una potente casa. Alla giovane non resta altro che obbedire e lo fa di buon grado quando vede Paolo il Bello, giunto a Ravenna per sposare la giovane con mandato di procura da parte del fratello e fatto credere, dal padre di lei e da tutti, il suo futuro sposo. Francesca cade nell'inganno, sposa Giovanni credendolo Paolo e si accorgerà del fatale errore solo il giorno del suo arrivo nella dimora riminese dei Malatesta. Si dice che la neosposa ebbe un brutto risveglio il mattino della prima notte di nozze, trovandosi nel letto Gianciotto. A Francesca non resta altro che adeguarsi alla nuova situazione e continuare a sognare il suo bel Paolo ma... se è vero che "Amor, ch'al cor gentil ratto s'apprende" anche lui s'innamora della bella cognata e cerca di avvicinarsi a lei per farsi perdonare di averla ingannata. Gianciotto, valoroso conquistatore, abile politico, Podestà di varie città, è in quegli anni spesso lontano da Rimini e la sua assenza favorisce la tresca tra i due. Paolo e Francesca, giovani, belli e d'animo sensibile, vengono trasportati da impetuosa passione l'uno tra le braccia dell'altro, verso l'adulterio. Chi si accorge di qualcosa è un servitore di Gianciotto che instilla a questi la cosiddetta 'pulce nell'orecchio'. Gianciotto torna a Rimini di nascosto e coglie sul fatto i due adulteri. Accecato dal furore, il crudele Malatesta, li uccide all'istante pugnalandoli. In questo modo funesto ebbe fine l'impossibile amore di Paolo Malatesta e Francesca Da Polenta divenuta Francesca da Rimini. In quale anno di preciso ciò avvenne non si sa, perché venne messo tutto a tacere dal potente Mastin Vecchio, ma si suppone che il delitto sia avvenuto tra la fine del 1283 e il 1285. Cos'altro non si sa ancora per certo è il luogo del delitto; tra le numerose Rocche Malatestiane dei dintorni, la più probabile è l'antica residenza riminese del Gattolo, dove più tardi venne costruito Castel Sismondo, anche se fino a oggi, Rimini non si è fatta per niente lustro di questa romantica storia che tinse di fosco le nostre antiche mura, al contrario di 'concorrenti' più smaliziate quali Santarcangelo e Gradara. Fin qui, probabilmente è storia nota a tutti i nostri lettori, ma ciò che vogliamo aggiungere per dovere di cronaca, è un fatto forse un po' meno conosciuto. Nel 1581 nella Chiesa di S. Agostino di Rimini, furono ritrovati in un'arca di marmo i corpi di Paolo e Francesca. Sepolti assieme, uniti dalla stessa ferita che li trafisse, i due sventurati amanti giacevano abbracciati in splendide vesti di seta. Uniti nella morte come mai lo erano potuti essere in vita.




























 


 

 
 
 

toscana

Post n°270 pubblicato il 27 Gennaio 2009 da rorina77
Foto di rorina77

TOSCANA

Popolazione: 3.527.303
Superficie (Kmq): 22993
Densità (Ab/Kmq.): 153
Capoluogo: Firenze (FI)
Altre province: Arezzo (AR); Grosseto (GR); Livorno (LI); Lucca (LU); Massa - Carrara (MS); Pisa (PI); Pistoia (PT); Prato (PO); Siena (SI)


 


 Il Fantasma della Fanciulla Violata

Nel castello Malaspina di Mulazzo, un'anima senza pace continua a manifestarsi e a ricordare a chi è in grado di coglierne la vicende di tale Francesco Malaspina, signorotto del posto, che nelle stanze del castello abusò più volte di una giovane parente, figlia di un notaio, vittima sua e del suo tempo. Si racconta che la fanciulla tentava di evitare il nobile crudele, ma la sua sorte era da tempo segnata e a lei, come a molte altre della sua epoca, non restava altro da fare che soccombere. Ed è proprio il fantasma di Mulazzo quello che più spesso ha lasciato da parte ogni timidezza per mostrarsi a casuali visitatori. Episodi inspiegabili - racconta qualcuno - sono accaduti nel corso degli anni all'interno del palazzo che oggi ospita il Centro studi "Alessandro Malaspina": gatti trovati chiusi negli armadi, oggetti fuori posto, luci che si accendono e si spengono, rumori misteriosi, fuochi che si riaccendono dopo che la brace si era raffreddata. Alcuni privilegiati hanno percepito la presenza e persino visto una sagoma femminile aggirarsi, elegante, nelle stanze del Centro e sulla torre all'ombra della statua di Dante.


 


 La Donna Morta Due Volte

A Malgrate si racconta di una donna che è morta due volte. Una contadina, rimasta in casa da sola, si era messa a mangiare, ma il cibo le rimane bloccato in gola. Quando tornano i familiari, trovano la donna distesa per terra, apparentemente priva di vita. Allora decidono di metterla in una cassa e di portarla al cimitero del paese in attesa del funerale, previsto per il giorno seguente. L’indomani, però, tornati al cimitero, notano che il coperchio della bara è stato forzato, anche se non completamente aperto. Decidono di alzarlo e si trovano di fronte la morta con gli occhi sbarrati, il volto contratto in una smorfia di disperazione e le mani insanguinate. La contadina, riuscita ad espellere il cibo, aveva ripreso a respirare ma, all'interno della bara, era "di nuovo" morta, questa volta di crepacuore.


 


L’Albero delle streghe


Non lontano da Monti, sulla strada per Villafranca, le streghe solevano riunirsi e danzare ai piedi di una quercia detta di "Morian". Non sono rimasti molti a sapere dove si trovi l'albero e i pochi informati si guardano dal passarci accanto la notte. Presenze meno sinistre sono i folletti, il cui massimo divertimento e da sempre quello di fare le trecce a criniere e code di cavalli e molti allevatori possono confermare che la mattina, aprendo la stalla, si sono trovati davanti i loro animali "acconciati". Ma la notte dei dintorni non era animata soltanto da streghe e folletti. Alla SS. Annunziata di Licciana sfilavano gli spiriti e la sinistra processione era protetta da draghi e serpenti che vegliavano sul rituale da brivido.


 


 Le Perversioni del Marchese

In una storia che si racconta a Iera, nel territorio del Comune di Bagnone, si narra di un marchese Malaspina che costringeva a ballare nude fino all'alba le giovani più belle del contado e uccideva i genitori che volevano salvarle in una macabra fossa piena di scheletri. Ogni tanto, presso la cappella di San Biagio, la tradizione vuole che si sentano nelle notti d'inverno, i lamenti dei sacrificati.

 
 
 

marche

Post n°269 pubblicato il 26 Gennaio 2009 da rorina77
Foto di rorina77

MARCHE

Popolazione: 1.450.879
Superficie (Kmq): 9694
Densità (Ab/Kmq.): 150
Capoluogo: Ancona (AN)
Altre Province: Ascoli Piceno (AP); Macerata (MC); Pesaro e Urbino (PU).


 


S. Vittore delle Chiuse: la Grotta dell'Infinito


Vivevano presso la Badia di San Vittore due bellissimi giovani, perdutamente innamorati. Nonostante li unisse la comunione di un grande amore, le rispettive famiglie, avversate da profonda ostilità, impedirono con ogni mezzo il loro matrimonio. Disperati per questa situazione senza possibile soluzione, abbandonarono le abitazioni e, imprecando contro la propria parentela, fuggirono sul Monte della Valle per rimanere nella selva buia. Cauti e prudenti come due capretti inseguiti, vagarono nel bosco il giorno e la notte successiva, vinti e compiaciuti dalla passione d'amore. Infine, presso un macigno, scoprirono una grotta e sembrava che tutta la valle palpitasse di allegria per la loro felicità. Sarebbero rimasti in questo luogo segreto per lungo tempo, con i loro bambini, fra le ginestre e il gregge, fino a che S. Vittore non avesse riconciliato i genitori. Una sera d'inverno, nell'ora del tramonto, la giovane, recatasi per una non precisata necessità all'interno della Grotta, svenne e riavutasi cercò di liberarsi ma, per uno strano sortilegio, acquistò le sembianze di una capra. In tutte le sporgenze nacquero caprifichi che ella dilaniò con gli zoccoli e con il muso. A voce bassa disse al giovane che una forza diabolica l'aveva ridotta in quello stato e da quel momento non parlò più scomparendo per sempre nel sotterraneo, convertita in fantasma. Il giovane, esterrefatto, ricercò la propria amata per tre giorni e per tre notti fino a che l'invase la più triste amarezza e non potendosi dare pace per l'accaduto si adirò, corse come un toro infuriato, bruciò la selva fino a che si fermò presso l'antro battendo le tempie sulla pietra. Anch'egli fu colpito da sortilegio, cambiò colore e divenne un masso disposto a guardia della grotta. Nell'aria maligna, pesante come una maledizione, sibilò il vento, sogghignarono le forze del male. In quel medesimo luogo, ogni sera, quando il sole discende dietro i monti e la valle si addormenta, una capra esce dalla fenditura e un grido lacera l'aria facendo tremare i pioppi del fiume e le querce della montagna. La Grotta viene per questo chiamata anche la "Grotta della Capra".


 


La leggenda di Piero e Sara


Un giorno lontano, un signorotto, feudatario del Castello di Rotorscio, conobbe una bella fanciulla abitante a Rocca Petrosa. Affascinato dalla grazia della giovane, s 'invaghi di lei e decise di rapirla. Questa era innamorata e promessa sposa ad un altro castellano, suo coetaneo, di nome Piero. Un pomeriggio, il feudatario s'introdusse all'inteno della Rocca e riuscì a rapire la ragazza di nome Sara. Gli abitanti del luogo chiusero le porte di accesso alla Rocca e iniziarono una violenta colluttazione con i cavalieri seguaci del conte di Revellone. Durante la rissa, il conte, vistosi alla resa, uccise la bella Sara che teneva tra le braccia. Sopraggiunto Piero piombò addosso all'uccisore, il quale, brandendo una scure, colpì anche lo sfortunato giovane che cadde riverso vicino alla sua giovane amata e, dopo un ultimo abbraccio, le spirò accanto. A ricordo dell'infausta contesa e del triste sopruso, il Castello Petroso, assunse il nome di Pierosara che, a tutt'oggi, conserva.





























 
 
 

abruzzo

Post n°268 pubblicato il 24 Gennaio 2009 da rorina77
Foto di rorina77

ABRUZZO


Popolazione: 1.276.040
Superficie (Kmq): 10795
Densità (Ab/Kmq.): 118
Capoluogo: L'Aquila (AQ)
Altre Province: Chieti (CH); Pescara (PE); Teramo (TE).


 


Sulmona e le antiche leggende


 


Sulmona è senz’altro la più celebre località dell’Abruzzo. La città, che si trova in una magnifica conca, è inoltre una delle più vivaci e interessanti città della regione, e vanta antichissima origine. Sulmona, infatti, ha avuto il periodo più florido ai tempi di Cesare quando si arricchì di templi, di acquedotti, di terme e di un teatro. Mentre le fertili campagne circostanti, già da allora irrigate, fornivano vari e abbondanti prodotti per tutta la popolazione. Nel Medioevo Sulmona si rese famosa per i suoi preziosissimi lavori di oreficeria e per l’arte tipografica. Una tradizione persa in gran parte, mentre persiste ancora oggi indiscussa l’arte di produrre i confetti: ricoperti di carte e tulle colorati. Famosi in tutto il mondo per il loro gustoso sapore, i confetti rappresentano una consuetudine negli acquisti dei turisti, una specie di tappa obbligata.


Interessanti alcune delle leggende più famose della zona legate per la maggior parte ad Ovidio, il più illustre figlio di Sulmona. Una di queste vuole che il poeta fosse perdutamente innamorato di una bella fanciulla che aveva un cuore freddo come il ghiaccio e duro come il diamante. Non riuscendo a conquistarla, si lasciava vivere nella speranza che un giorno, in un modo o nell’altro, sarebbe scoccato il colpo di fulmine. Fu così che abbandonò la casa paterna e si rifugiò nel bosco di Angizia dove, studiando giorno e notte, imparò le arti magiche. Finalmente poteva conquistare la fanciulla. Per offrirle doni preziosi cominciò a servirsi dei suoi incantesimi abbindolando gli onesti abitanti della vallata. Accumulò dunque grandi ricchezze, terrorizzando e maltrattando la popolazione locale. Il re, sdegnato e irritato di ciò, lo relegò in un paese lontano, dove la solitudine e la povertà lo riportarono a prendere la retta via.


Un’altra famosa storia legata a Sulmona, riguarda San Panfilo, il protettore della città. La leggenda popolare racconta che egli da fanciullo era in contrasto con il padre: si era convertito al cristianesimo mentre il padre era pagano. L’atteggiamento del figlio irritò ovviamente il vecchio genitore che un giorno, in una crisi di follia, concepì un progetto sanguinario. Ordinò a Panfilo di salire sopra un carro e di scendere da Pacile fino alla valle del fiume Gizio. In questo punto la montagna era molto ripida e il ragazzo sarebbe precipitato con il carro. Invece, con l’aiuto degli angeli, miracolosamente gli zoccoli dei buoi e le ruote del carro affondarono nella roccia, in modo che Panfilo poté scendere lentamente a valle. Sui fianchi del monte, si racconta, ancora oggi si scorgono le orme dei buoi e le scanalature prodotte dal passaggio del carro.


 


La leggenda di San Martino


Nella nostra tradizione San Martino è il protettore del vino e si narra una leggenda sulla sua vita per spiegare questa attribuzione. La figura del santo non ha niente a che fare con il Santo venerato dalla chiesa, ma è una figura che ricalca in modo impressionante quella di Bacco.
Nella mitologia classica dal corpo di Bacco ucciso spunta la vite e questo è anche il punto centrale della figura di San Martino nella leggenda.Un'analisi attenta del testo della tradizione ci dice molto sul sincretismo pagano-cristiano ancora largamente diffuso nella nostra tradizione, tenuto conto che la festa di questo santo l'undici novembre è associataa una particolarissima festa detta "Processione dei cornuti" che è un vero e proprio relitto del Baccanale e delle feste della fertilità.

La vita di San Martino

San Martino era uno che si ubriacava sempre, un ubriacone.
Una sera, era d'inverno ed era caduta un po' di neve, faceva molto freddo e San Martino era stato in una cantina e si era ubriacato. In quei giorni la moglie era incinta e stava per partorire. Mentre egli tornava a casa, gli venne uno scrupolo nell'anima.Disse fra sé e sé: "Ora torno a casa e vado a coricarmi accanto a quella poveretta,così intirizzito dal freddo come sono, ubriaco. Non voglio farla soffrire, per questa sera dormo giù nella nostra cantina."
E così fece. Entrò giù nella sua cantina e si accovacciò in una nicchia scavata dentro il muro proprio dietro una grande botte. La notte, a causa del freddo, morì!
Quando la sua anima giunse davanti a Dio, Dio vedendo che lui era morto per non fare del male alla moglie, lo fece santo. Intanto la moglie aspettò invano ma del marito non seppe più notizie.
Ma da quel giorno cominciò ad accadere un fatto miracoloso: da quella grande botte che lei teneva in cantina, più vino cacciava e più ce ne ritrovava!
Cos'è e cosa non è intanto la notizia si propagò.Venne il prete e la gente dal paese per vedere quel miracolo. Il prete volendo accertarsi, osservò bene la botte sotto e sopra, davanti e dietroŠe che trovò?
Vidde il corpo del santo dentro la nicchia e vide che dalla sua bocca era spuntata una vite e questa vite era entrata dentro la botte. E come dopo guardarono dentro la botte,viddero che questa vite aveva messo l'uva e l'uva diventava vino da sola. Allora dissero: "Solo un santo può fare un miracolo come questo!" E vi costruirono una chiesa. Ecco perché San Martino è il patrono del vino.

 
 
 

lazio

Post n°267 pubblicato il 23 Gennaio 2009 da rorina77
Foto di rorina77

LAZIO

Popolazione: 5.242.709
Superficie (Kmq): 17227
Densità (Ab/Kmq.): 304
Capoluogo: Roma (ROMA)
Altre Province: Frosinone (FR); Latina (LT); Rieti (RI); Viterbo (VT).


 


L'Angelo de Caster Sant'Angelo


Prima, a ttempo mio, quanno quarcuno stranu-tava je se diceva: salute: oppuramente si era una cratura, je se diceva: bbôno e ssanto! Lo sapete si pperchè? Perchè ttanti anni fa, ssarà ormai quarche ssecolo e ssecolo, a Roma successe una gran 'pidemia d'una ammalatia accusi ccuriosa, che llevateve. Sia che flussi appestata l'aria, o ccome se sia, nun ve lo so a ddì', so ccbe echi stranutava restava secco, come si je fusse, sarvognone, preso un accidente. E ddice che Roma era piena de morti che nun se faceva tempo a sseppellilli, una specie de quanno, in der sessantasette, ce fu er collera a Arbano. Nun se védéveno antro che ggente vestite de lutto annà' in giro pe' Roma dicènno 1'orazione e piagnénno. Er papa puro s'impensierì ttanto che ordinò che sse facessi una gran pricissione pe' Roma e cche cee sse fùsseno portate in giro le ppiù gran relliquie che stanno a San Pietro. Anzi in pricissione ce vorse annà' ppuro lui pe' cchiede perdono ar Signore de li peccati de la città e pe' ccarmà' la rabbia sua. Defatti se partì la pricìssione da San Pietro e ppassò ppe' ddiversi rioni de la città, sempre cantanno 1' orazzione, ppreganno e cchiedenno perdono a Ddio. Dice che quanno la pricissione, nel ritorno che ffaceva, passava sur ponte Sant'Angelo, er Papa e ttutti quanti, viddeno un angelo co' la spada sfoderata scenne ggiù dar cielo, e pposasse sopra er maschio de Castello. Arivato che ffu llà, i' mmodo che ttutti lo vedesseno, rinfoderò la spada e ppoi se la svignò. Er papa capì subbito che quer segnale voleva di' ch'er Signore Ddio, contento de le preghiere e dde le penitenze de li romani, faceva accessà' quer fraggèllo de li stranuti come infatti da quer momento finì'. Er papa pe' ricordà' a la memoria der mónno quer fatto accusì granne, sur maschio. de Castello, ce fece mette subbito, quell'angelone de bbronzo, che cc'è incora, in de la medema posa de come aveva visto quello vero. E ppuro da quer giorno er Castello fu cchiamato de Sant'Angelo in memoria de quell'apparizione. E dde quela teribile 'pidernia c'è arimasto sor-tanto e' ricordo de dì' a cchi stranuta: Salute! Sibbè' cche adesso, le persone truccivile, vonno sostienè' che a ddilla è ccattiva adducazione.




Perché Ssan Pietro e Ssan Pavolo so' li protettori de Roma


Perchè una vorta un certo regnante Attila che stava a ccapo de nun so ssi quanti mila sordati, avenno vinto li sordati der papa, stava ggià pper entrà' drento le mura de Roma pe' saccheggialla e ddaje fôco. Quann'ecchete che a pporta san Pavolo, ne l'arzà' la testa in cielo, se vedde vieni' ggiù San Pietro e Ssan Pavolo co' du' guainelle sfo-derate, e eco' ddu' occhi che mannaveno faville de fôco. Re Attila che tte vede quela funzione, tutto spaventato, ordina a l'esercito de ritornà' indie-tro; e ddice ch'er fugge a llui e a li su' sordati je servì' ppe' ccompanatico. E da quela vorta in poi che la sarvonno, San Pietro e San Pavolo fumo fatti, dar papa d' al-lora, santi protettori de Roma.


 



Er Diavolo e 'r Vento


Sapete si pperchè a piazza der Gesù cce tira sempre vento? Perchè, dice, che un giorno er Diavolo (Gesummaria!) e er Vento, se n'annaveno a bbraccetto a spasso pe' Roma. Arrivati che furno a ppiazza der Gesù, er Diavolo (Gesummaria!) disse ar Vento : - Ho dda sbrigà' un impiccétto là ddrento a la cchiesa der Gesù : aspètteme un tantino qua dde fôra che vviengo subbito. Infatti er Diavolo imboccò llá ddrento, e da quer giorno, Ggesù Ggesù, nun s'è vvisto ppiù. Er Vento incora l'aspetta.

 
 
 

molise

Post n°266 pubblicato il 22 Gennaio 2009 da rorina77
Foto di rorina77

MOLISE

Popolazione: 329.894
Superficie (Kmq): 4438
Densità (Ab/Kmq.): 74
Capoluogo: Campobasso (CB)
Altre Province: Isernia (IS)


 


Il Carnevale


- Cenni storici -
Tempo di allegria e di pubblici divertimenti, con mascherate e balli, tra il Natale e la quaresima. Questa voce appare formata dalle parole "carne" e "vale", Addio alla carne e ai piaceri, venendo poi la Quaresima, tempo di digiuni, di mortificazione della carne; e ciò potrebbe andare se con questa Voce si volesse intendere propriamente l'ultimo giorno di scialo e di sollazzi, quello cioè che precede le Ceneri; ma non appare molto naturale che un divertimento sia nominato dal suo cessare. Qualcun altro lo fa derivare da "Carnis" "levàmen", Sollievo della Carne, con trasposizione del secondo elemento della Voce Levamen. Le origini del carnevale risalgono alle ricorrenze religiose latine dei "Saturnali" e dei "Lupercàli", dalle "Kronia" ateniesi e delle "Sacee" di Babilonia. La tradizione attuale del Carnevale si deve al Papa Paolo II, che nell'anno 1466 stabilì il calendario delle manifestazioni per ogni giorno della settimana di Carnevale. Tra gli antichi le feste di carnevale erano particolarmente sentite e vissute. Erano motivate da diverse componenti: avvenivano in coincidenza con la fine del ciclo agricolo annuale e quindi con i riti agrari di purificazione, di rinnovamento e di propiziazione. Folklore Ovunque, lo si rappresenta materialmente con una figura umana o con animali. A Ripabottoni con un povero diavolo vestito da spaventapasseri. Più sacco di paglia che uomo. Eufemisticamente chiamato "RE". Il solo modo, che si presenta, per beffeggiare la casta più abbiente della società. Ai popolani procurava godimento beffeggiare il "RE", umiliarlo in tutti i modi, fino a farlo morire in coincidenza con la fine del carnevale stesso; accompagnarlo simbolicamente in corteo, come ad un funerale, in piazza, dove si assisterà alla sua volatilizzazione. Nelle sere dei giorni grassi - tutti i giorni della durata del carnevale, eccetto il venerdì - la confraternita della Buona Morte girava per i vicoli, recitando i Salmi penitenziali - che volevano essere un invito per riflessioni religiose. Ma il popolo che a quell'ora era a cena, non appena la confraternita si allontanava dalla "ruara", urlava: I makkar'na:r' sònn' pèssat', p'tèm' mègnà..." - I maccaronari sono passati, possiamo mangiare . Il menù conosceva pochi piatti e tutti di facile preparazione. Quasi ad evidenziare la volontà di non perdere tempo tra i fornelli. Non era forse questo il tempo da vivere tra feste e baldorie? "Fèshuòl' ka kòt'k (Fagioli con le cotiche), Rap' shtrash'nat' - I faf' ku guènchial du p'rchèll' (Fave con il guanciale del maiale). Per dolci, i skr'ppèll' ku zukk'r' - Dolce sbrigativo da friggere: niente forno, niente lunghe lievitazioni. Jè karn'val(e), ogn' skèrz' val(e)! (E' Carnevale, ogni scherzo vale) - Jè karn'val(e), E'rrign't' a vòkk' d' sal(e). Si rinnova così il rito pagano della gioia, che coinvolge grandi e piccini e li accomuna nel liberarsi di un fantoccio "Mèrkoffi(e)", simbolo della tristezza quotidiana. Ma il carnevale ripese è qualcosa di più. E' la festa antica che rappresenta il risveglio della terra dopo l'inverno, riaffiorano le tradizioni agricole prese dai rituali propiziatori del raccolto. Così si spiegano i solenni funerali, che caratterizzano la morte del fantoccio ed i tradizionali lamenti delle "prefiche" (Uomini mascherati da donne). E' una tradizione simbolica, cerimoniale. E' la faccia tinta di nero, la pelle di capra del costume dei satiri impazziti, il rituale della squadra del "Calvario" o i campanacci dei "Lupi Mannari" della "fontana 'bball' ". Le maschere alla vigilia della settimana del Carnevale giravano il paese per lungo e per largo suonando grossi campanacci e tutto ciò che produceva rumore. Indossavano pelli di capra sopra gli abiti femminili. Alcuni coronavano di corna la testa. Sul viso una maschera nera ottenuta con la fuliggine dei paioli e con il lucido per le scarpe. Sul capo un fazzoletto variopinto stretto dietro la nuca... In gruppi di dodici, procedono a due a due, muovendosi con passo da felino. Preceduti dal suono dei campanacci, accompagnati da stridule urla, con il lucido da scarpe, che si portano dietro, imbrattano la faccia degli astanti. I quattro gruppi (u "Calvario" o Cap(e)mmònt' , i "Lupi Mannari" della "fontana 'bball' ", il piano della croce, la terravecchia) convergono in piazza dove si abbandonano a danze tribali. Le maschere sono precedute e accompagnate dal chiasso e da ogni genere di rumore. Ma esse rimangono mute: - Umbra silentes (Ombre silenziose). Le maschere cercano di prendere i presenti, i quali si allontanano urlando. Se prese, pagheranno il riscatto con un bacio. E siccome le maschere sono sporche di nero, lasceranno sulla guancia della malcapitata segni, che muoveranno i presenti all'ilarità. Il copricapo dei "fabulosi" compagnoni era un lungo cono infiorettato, abbellito in punta dal pimaggio del gallo cedrone, mitico volatile che nel rituale amoroso esprimeva una notevole aggressività e la cui caccia era una prova iniziatica d'ardimento e decisione per il giovane contadino. Il capogruppo porta una mazza corta e variopinta. Se ne serve in un momento particolare della recita, quando cercando tra le donne la propria vittima, la batte ritmicamente sul palmo della mano, quasi desse il tempo alla sua caccia. La compagnia è preceduta da un gruppetto di ragazzi che annunciano di casa in casa il prossimo arrivo delle maschere. La Festa comincia Nelle prime ore della sera i portatori di torce al vento davano inizio alla festa. Durante la sfilata carcavano di carpirsi le torce gli uni gli altri. Ne nasceva un pandemonio, con molti osservatori, dalle finestre e dai balconi, definivano "spettacolo da matti", "pazzie", "carnevalate". E tra la gente - quasi tutta mascherata - "zampettavano" gli uomini nei sacchi. Ad ogni capitombolo una marea di risate. Così pure non mancavano la corsa degli asini "ku spin nu kul". Questo, per i signori, era un giorno a rischio. I contadini - mascherati - facevano di tutto per sequestrarli, metterli in sella agli asini "ku spin nu kul" e portarli in giro per il paese, in mezzo a frastuoni di canti e di strumenti. Questa sorta di "berlina" avveniva con il consenso dei "signori". Essa era la dimostrazione del loro potere economico. Dopo gli asini era la volta dei satiri suonatori, che precedevano le donne "assatanate" che portavano in processione un gigantesco "salsiccione" - simbolo del fallo - Ai due lati due donne con due meloni - testicoli - Si avanzava tra danze, urla e spasimanti orgasmi. Dopo il fallo in processione era la volta dei "makkar'nar", detti pure "chinchinàr'" (gli straccioni) - un gruppo di uomini vestiti di stracci, che procedono con grossi piatti pieni di bucatini conditi con sugo rosso-sangue. Mangiano servendosi delle dita. Bevono vino dal pene enorme del fantoccio di paglia adagiato su un carretto trainato da un asino. Il carrettino viene scortato da uomini travestiti da donne, che, nelle loro imitazioni, vorrebbero essere provocanti. Durante il corteo volutamente si scantonava nell'osceno. Si era nell'ultimo giorno di carnevale. "Tutto era permesso ". Tra gli straccioni c'erano di quelli che portavano monumentali falli di legno, urlavano frasi scollacciate alle ragazze affacciate alle finestre e alle donne in carni. Nel colmo della festa penetravano nelle case per domandare o prendersi liberamente uova, galline, salsicce, lardo, frittelle, ecc. "n'shun d'chev d'none". L'eiaculazione avveniva tramite ripetute spruzzate di vino tramite il "pene" del fantoccio. Seguiva una scena che affondava le radici nei riti orgiastici dei millenni andati. Le "donne" che seguivano il carrettino eccitate oltre ogni misura si gettavano sul fantoccio. Tra urla, eccitamenti e l'intervento delle maschere, il carrettino spariva e avevano inizio le danze in un grande cerchio che si interrompeva al sopraggiungere delle maschere. Queste a intervalli ritornavano in piazza dopo aver vagato per le ruare ed essere entrate nelle case. Prima di entrare il capo-compagnia, dopo aver fatto due o tre piroette, ai presenti chiusi in rispettoso silenzio dice: "chiedo il permesso di entrare in questo "palazzo" con tutta la mia bella grande compagnia". Quasi tutte le "recite" venivano create all'istante. Ruolo di primaria importanza: la scorreggia e gli accessori alle esigenze fisiologiche. E gli spettatori ne provavano godimento. Ai sarcasmi non era ammesso replica. Naturalemtne il "capo" era dotato di tale spirito acuto che gli faceva scegliere "la vittima" giusta: stava allo scherzo e, con la sua insolenza arricchiva di carica emotiva la scena. Tolta la libertà dell'azione la scena non avrebbe detto nulla.


 


La neve di z' Vall'


La Primavera comincia per tutti il 21 Marzo. Ripabottoni, come tutti i paesi di montagna, deve attendere ancora un pò per vederla sbocciare. A volte e non è affatto raro che, durante il mese di Aprile, la neve ricopra ancora il paesaggio ripese con il suo candido mantello come testimoniano le fotografie e la leggenda di Zi' Vall'. Si racconta, infatti, che Z' Vall' (Una persona anziana non meglio conosciuta) si recò in un suo podere a Torrezeppa. Già da molti giorni faceva caldo ed era il tempo giusto per seminare u' r(e)ndinie' (Il granoturco, il mais). Andò vestito leggero, solo con la camicia di panno pesante. Andò di buon mattino, con il sole che splendeva nel cielo terso della primavera. A mezzogiorno il tempo cambiò. Il cielo divenne buio. Un vento freddo spazzò la campagna. Z'Vall' si attardò un po', sperando che fossero nubi passeggere. Alle prime gocce di pioggia, però, riprese la strada per tornare in paese. La pioggia si fece insistente, fredda... sempre più fredda... acqua neve... neve. Una bufera di neve imperversò per tutto il pomeriggio e per tutta la notte... Z'Vall' non ritornò mai a casa. Lo ritrovarono nei pressi di S.Michele, raggomitolato su se stesso nel tentativo disperato di riscaldarsi, di proteggersi dalla tormenta. Era il 18 Aprile!





























 
 
 

puglia

Post n°265 pubblicato il 21 Gennaio 2009 da rorina77
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PUGLIA

Popolazione: 4.090.068
Superficie (Kmq): 19362
Densità (Ab/Kmq.): 211
Capoluogo: Bari (BA)
Altre Province: Brindisi (BR); Foggia (FG); Lecce (LE); Taranto (TA).


 


Fantasma autostoppista


Una sera d’inverno del 1989, Cosimo Calabrese di Veglie, partì in macchina da solo per andare a trovare sua sorella di Muro Leccese, a una settantina di chilometri di distanza. così dopo aver trascorso una tranquilla giornata con la sorella, all’imbrunire decise di far ritorno a casa. Durante il tragitto, mentre percorreva la strada Leverano-Veglie, incontrò un giovane autostoppista. Preoccupato dall’idea che una persona così giovane stesse sola quella notte così fredda, l’uomo fermò la macchina e gli offrì un passaggio. Dopo essersi presentati, i due cominciarono a parlare del più e del meno e da questo dialogo venne fuori che il giovane autostoppista, che aveva detto di chiamarsi Francesco Massa, frequentava il III anno all’Istituto Tecnico Commerciale di Lecce e che era figlio di una modesta famiglia di contadini. Giunti a Veglie Cosimo gli chiese in quale parte del paese abitasse e il ragazzo gli rispose che la sua casa si trovava in prossimità del cimitero. Cosimo si avviò nel posto indicatogli e giunto a destinazione arrestò la macchina per chiedergli se volesse essere accompagnato proprio sotto casa o se volesse scendere. Francesco rispose di non preoccuparsi poiché la sua casa era proprio a due passi da lì. Al saluto dell’amico, Cosimo si voltò per ricambiarglielo, ma vide che era scomparso improvvisamente. Cosimo scese subito dalla macchina per guardarsi attorno e con grande stupore si accorse che nessuno era nelle vicinanze. Quasi spaventato entrò in macchina e notò che accanto al suo sedile c’era lo zaino che il ragazzo portava con se senza capire come tutto ciò potesse essere successo, ma cercò di rassicurarsi pensando che potesse essere stata colpa della sua stanchezza. Il giorno successivo, Cosimo si recò al lavoro presso la fabbrica di suo zio a Veglie, ancora frastornato per quello che era successo il giorno precedente lasciando lo zaino di Francesco in macchina con lo scopo di riportaglielo dopo il suo turno di lavoro. Chiese informazioni ai suoi colleghi su un certo Francesco Massa e sulla sua abitazione ma ciò che gli dissero gli fecero capire che questo suo amico abitava ben lontano da dove lui lo aveva lasciato la sera prima. Comunque sia, terminato di lavorare si recò nel posto indicatogli. Si ritrovò dinanzi ad una casa molto piccola e apparentemente poca curata. Prese lo zaino di Francesco e suonò il campanello; una signora bassa e robusta di corporatura uscì fuori, Cosimo intuì che potesse essere la madre e chiese di Francesco. La donna titubante guardò l’uomo e stette per qualche istante in silenzio, poi gli rispose che suo figlio era morto da quasi sette anni in un incidente stradale. di fronte a tale rivelazione, Cosimo lasciò cadere lo zaino dalle mani sentendosi quasi raggelare per lo spavento. A questo punto la donna gli chiese il motivo per il quale era lì, e a fatica Cosimo raccontò quello che gli era accaduto la sera precedente e che quindi era venuto per portare lo zaino a suo figlio. La donna un po’ scettica per quanto le stava raccontando, si voltò verso lo zaino che era caduto a terra e lo riconobbe. Con gli occhi pieni di lacrime, lo sollevò e lo strinse a sé.


 



Folklore pugliese


La Puglia dispone di un patrimonio folcloristico particolarmente interessante che, pur attingendo a usi e costumi delle regioni limitrofe vanta tuttavia canti, leggende, novelle, tradizioni di origine propria, sempre considerando che ogni epoca ha lasciato una particolare impronta nella storia del folclore pugliese. Le fiabe, le novelle, le leggende hanno come caratteristica comune l'amore per l'avventura, lo spirito burlesco e una spigliata fantasia. Alcune trattano di miracoli operati dalla Madonna e dai Santi, altre hanno per protagonisti maghi o diavoli, o sono racconti di gesta e di avventure, di viaggi fantastici e di imprese cavalleresche. Non dimentichiamo infatti che la Puglia rappresentava il passaggio obbligato dei crociati verso la Terra Santa. In moltissime delle manifestazioni è presente, vivo e pregnante, il motivo della profonda religiosità dell'animo pugliese. A processioni, feste di patroni, sagre paesane si accompagnano luminarie e concerti bandistici: la Puglia vanta un'antichissima tradizione nel campo delle bande musicali, come quelle celebri di Acquaviva delle Fonti e Francavilla Fontana. Non mancano pellegrinaggi, processioni a mare e riti che affondano le loro radici nel paganesimo e nella magia, tipici del resto della cultura contadina. Nell'ambito di queste manifestazioni religiose merita di essere segnalata la celebrazione della "settimana santa" a Taranto, che si snoda con il ritmo lento ed esasperato delle processioni dell'Addolorata e dei Misteri. Molto nota è anche "la festa di San Nicola": dal 7 al 10 Maggio di ogni anno Bari è teatro di cortei, fiaccole, sbandierate, processioni a mare, per ricordare l'impresa dei marinai che, nel 1087, trafugarono le ossa del Santo a Mira assediata dagli infedeli e le portarono in salvo nella loro città, dove tuttora sono custodite nella Basilica. Altrettanto interessante è la festa del "cavallo parato" a Brindisi: si tiene in occasione delle celebrazioni in onore di San Teodoro patrono della città e dura quattro giorni. Il vescovo a cavallo, seguito da un corteo di cavalieri raggiunge la riva del mare, lo benedice e poi torna nel centro della città, dove si svolgono riti solenni con luminarie e fuochi di artificio. Sempre a sfondo religioso è la "processione dei penitenti" il giovedì santo a Noicattaro (Bari): un gruppo di penitenti in preghiera, coperti da tuniche e cappucci con una corona di spina sul capo e a piedi nudi, attraversa le strade della città portando in spalla una croce del peso di circa 60 kg. La croce può essere appoggiata solo per mezz'ora ogni quattro ore. A Putignano (Bari) si celebra il carnevale più lungo d'Italia: è una manifestazione di origine antichissima fatta di cortei di popolani che declamano versi in dialetto, danze di fanciulle mascherate, sfilate di carri allegorici e di "maschere di carattere" i personaggi prodotti dai cartapestai. Non possiamo dimenticare tra le manifestazioni più ricche ed entusiasmanti, la" Fiera del Levante" che si svolge a Settembre a Bari.


 



Un folletto burlone


La nonna di Tina, era solita quando andavano i suoi nipotini a farle una visita, raccontare loro delle storielle, talvolta allegre, ma nella maggior parte dei casi, raccapriccianti come quella che sto per raccontare. La nonna di Tina, natia di Gallipoli, era nota in tutto il paese per la sua bellezza, tanto è vero che nonostante la sua povertà, riuscì a sposare un uomo ricchissimo: Salvatore Tramacere di Leverano, noto per la sua ricchezza, per la sua forza, per la sua bellezza. Quasi tutti gli edifici di Leverano antico, erano di sua proprietà e siccome allora non erano molto conosciute le cambiali, quest’uomo era solito dare denaro a chi gli chiedeva un prestito . Ma non tutti i debitori avevano una buona coscienza e accadeva spesso che il denaro non gli veniva più restituito. Fu proprio in questo modo che Salvatore Tramacere si ridusse alla rovina, costretto a trasferirsi a Veglie in case in affitto. Purtroppo però, non erano solo i debitori ad assillare la sua vita, ma anche un piccolo folletto burlone di nome CARCAIULU che appariva la notte e si divertiva a fargli un sacco di dispetti. Salvatore possedeva a Leverano tantissimi cavalli che accudiva in delle stalle enormi costituite da due grandi porte ad arco, proprio per questa loro caratteristica, prendevano il nome di stalle a due occhi, ed ogni sera Maria, figlia di Salvatore e futura mamma di Tina, sotto l’ordine di suo padre era costretta a malincuore, a separarsi dal suo fidanzato per andare a strigliare i cavalli. Accadeva però, che quando la mattina il padre di Maria si recava nelle stalle, trovava con suo grande stupore, tutte le criniere e le code dei cavalli caratterizzate da tante piccole trecce e dato che in quel periodo si sentiva spesso parlare del folletto dispettoso, Salvatore non poteva che assegnare la colpa di tutto ciò a costui. Quindi Maria non solo era impegnata la sera a strigliare i cavalli, ma era costretta anche la mattina a lavorare per sciogliere tutte le treccioline alle code e alle criniere dell’animale. Questa storia durò per parecchi altri giorni e talvolta il folletto faceva dei dispetti persino alla moglie di Tramacere. Mentre dormiva, entrava infatti nella sua stanza da letto, e iniziava a tirarle le lenzuola, oppure nel momento in cui si metteva alla supina, il folletto si sedeva sul suo petto e iniziava a farla respirare a fatica. La nonna di Tina non ne poteva più di questi scherzetti anche perchè la notte non riusciva più a dormire tranquilla, così una sera armata di coraggio stesa sul suo letto, si mise ad attendere il piccolo folletto. Nel bel mezzo della notte ad un certo punto, si sentì tirare le lenzuola proprio come se un piccolo gatto volesse arrampicarsi su di lei. La nonna di Tina si fece forte, prese le lenzuola, le gettò con forza a terra, seguì un forte tonfo proprio come se qualcuno fosse caduto. Da quel giorno il folletto dispettoso non comparve più, tanto è vero che le code e le criniere dei cavalli, non venivano più intrecciate, mentre lei la notte riusciva a dormire tranquilla. Poi giunse il momento del trasferimento a Veglie. Tutta la famiglia si accinse a traslocare, trasportando le cose che erano loro più care. La sola cosa che dimenticarono fu la scopa. M a dopo pochi giorni essa fu riportata nella nuova casa dal piccolo folletto.















 
 
 

campania

Post n°264 pubblicato il 20 Gennaio 2009 da rorina77
Foto di rorina77

CAMPANIA

Popolazione: 5.796.899
Superficie (Kmq): 13595
Densità (Ab/Kmq.): 426
Capoluogo: Napoli (NA)
Altre Province: Avellino (AV); Benevento (BN); Caserta (CE); Salerno (SA).


 


Amalfi nel mito


Le sue origini si tingono di mito, il mito di una bella e leggiadra ninfa, di nome Amalfi, che infiammò il cuore di Ercole. Ma quando un giorno la vita della Dea fu troncata, il figlio di Giove volle seppellirla nel luogo più seducente della terra... eternare fra quei mari e quei monti gli occhi e il sorriso dell'amata. E su quella tomba-smeraldo lo stesso Ercole edificò una città cui dette il nome della Ninfa amata: Amalfi.Amalfi ed Ercole! Bellezza e potenza! Un binomio la cui leggenda marchiò la storia della prima "Repubblica marinara".




Pulcinella


L'origine della maschera tradizionale partenopea è lontana ed incerta così pure il significato del suo nome. C'è chi lo vuole discendere da ' Pulcinello ' cioè piccolo pulcino per via del suo naso adunco, chi invece propende per ' Puccio d'Aniello ' un villano di Acerra del '600 che dopo aver preso in giro una compagnia di commedianti girovaghi si unì a loro come buffone. La maschera di Pulcinella ha la sua variante francese in ' Polichinelle ' , un fanfarone gradasso con doppia gobba e un vestito vistoso e una inglese con ' Punch ' dall' umore malinconico e brutale. Esiste un momento centrale ed illuminante, nella storia dei rapporti fra Pulcinella e Napoli, fra Pulcinella ed il teatro ed, in particolare, fra Pulcinella e l'attore : esso coincide con la fine del '600 e l'inizio del '700, allorché la storia dello spettacolo a Napoli si fa suggestiva misura della storia stessa della città e della sua vita culturale. Vi fiorisce un teatro di prosa dialettale, espressione di una straordinaria attenzione alla lingua ed al costume; vi nasce una ricca e fertile generazione di teatranti: teorici, drammaturghi e commediografi, librettisti, musicisti, attori e cantanti, impresari; vi si rinnovano le strutture cittadine di spettacolo: si apre il San Carlo e, all'estremo opposto del consumo sociale del teatro, il non meno nobile San Carlino; si afferma la commedia in musica, detta opera buffa, capace di espandersi ed affermarsi per l'intera Europa con caratteri che hanno fatto pensare addirittura ad una ' scuola musicale napoletana '; sopratutto, il teatro rinasce, dopo esaltanti esperienze della commedia dell'arte praticata trionfalmente in Europa per tutto il '600 ed in questa prima metà del '700. La maschera ha rappresentato e rappresenta tuttora la ' plebe napoletana ' da sempre oppressa dai vari potenti che si sono succeduti, affamata e volgare, smargiassa, codarda e dissacrante. Molti attori hanno impersonato sulla scena il personaggio di Pulcinella ma il più famoso di tutti è stato Antonio Petito trionfatore sul palcoscenico del San Carlino che, nonostante fosse quasi analfabeta, scrisse alcune commedie di grande successo che avevano come protagonista lo stesso Pulcinella.


 
















L'isola della sirena Leucosia


Per i popoli del mare le insidie del sonno sembrano governate da maliose creature, mentre il rischio del naufragio si impersonifica in un demone ostile; il mito delle Sirene è uno dei frutti più fecondi della natura inanimata sulla fantasia umana.La voce ammaliante delle tre donne pesce di Omero si chiamava Leucosia , e il segreto della sua esistenza è celato in una piccola isoletta rocciosa alla quale diede il proprio nome e che forma una delle due estremità della baia di Salerno. Secondo la leggenda Leucosia si gettò dalla rupe della costa per non essere riuscita a sedurre Ulisse e i suoi compagni, e il suo corpo prese le forme di uno scoglio, oggi chiamato isola di Licosa, sovrastato da un faro e circondato da antiche mura.Per la gente del posto le sirene sono sacerdotesse, per altri raggi di sole, pericolose scogliere, cannibali del mare, per altri ancora sono simboli di attrazione e spiriti planetari, è nella splendida luce di questi luoghi che Ulisse incontrò le Sirene, in uno di quei periodi di pesante ristagno estivo, conosciuti da queste parti come scirocco chiaro..



























 
 
 

Post N° 263

Post n°263 pubblicato il 19 Gennaio 2009 da rorina77
Foto di rorina77

BASILICATA

Popolazione: 610.330
Superficie (Kmq): 9992
Densità (Ab/Kmq.): 61
Capoluogo: Potenza (PZ)
Altre Province: Matera (MT).


 


Ciccio di Viggiano


Nella povera capanna regnava la più cupa tristezza.


Il babbo era morto, la povertà e la fame opprimevano i suoi due figlioletti: Frungillo e Menicuzzo, rimasti soli con la madre.


«Come si fa, adesso?» chiedeva tutta sconsolata la donna.


E i due bambini, non sapendo che cosa rispondere, andavano a sedersi sulla soglia e, per ingannare la fame, sognavano carriole d'oro piene di patate fumanti, una montagna di formaggio pecorino, una casina fatta interamente di zucchero.


Un giorno, mentre così sognavano, arrivò un vecchio magro e asciutto che portava a tracolla una chitarra e aveva in mano un flauto.


Egli aveva anche sulle spalle un sacco gonfio che i fanciulli guardavano pieni di speranza.


«Io sono Ciccio, amico del vostro povero babbo» disse questo strano personaggio «e vengo da Viggiano, il paese della musica. Questi due strumenti mi furono affidati da vostro padre quando, ormai arricchito, si comprò questa capanna per sposarsi. Anch' io ora mi sono fatto un bel gruzzolo e aiuterò voi!».


Così dicendo tolse dal sacco una grossa pagnotta a forma di ciambella guarnita di uova sode e la pose in grembo alla donna, che lo guardò con occhi lucenti di commozione e di gratitudine per quella generosità insperata.


Finalmente qualcuno pensava ai suoi figli! Dopodiché l'uomo cominciò a suonare allegre ariette popolari.


I ragazzi, che già si erano mossi verso il pane, s' immobilizzarono, incantati. «Siete proprio dei veri Lucani, intrisi di musica fino alle ossa!» disse contento l'uomo. «Io vi darò questi strumenti e vi insegnerò a suonarli. Girerete anche voi per il mondo, dando con le canzoni un po' di serenità e di gioia agli uomini, stanchi di lavoro e di fatiche; essi non saranno avari con voi e il benessere tornerà nella capanna; vostra madre non mancherà più di nulla...». L'uomo se ne andò. La donna si accinse a spezzare il pane; il suo volto finalmente era illuminato dalla speranza.

 
 
 

calabria

Post n°262 pubblicato il 18 Gennaio 2009 da rorina77
Foto di rorina77

CALABRIA

Popolazione: 2.070.992
Superficie (Kmq): 15080
Densità (Ab/Kmq.): 137
Capoluogo: Catanzaro (CZ)
Altre Province: Cosenza (CS); Crotone (KR); Reggio Calabria (RC), Vibo Valentia (VV).

Tra Mito E Leggenda

Pochi altri luoghi al mondo possono vantare come la Calabria una storia altrettanto ricca di miti e leggende. Ecco un itinerario sospeso tra fantasia e credenze popolari, che in qualche caso però non escludono del tutto la realtà.

La Scilla dell'Odissea
Echi di saghe omeriche emergono dalle profondità dello Stretto di Messina, regno di Scilla, la dolce ninfa segretamente innamorata di Glauco, l'amante di Circe, e che la maga per vendetta trasformò in un mostro marino con sei teste e dodici gambe. La leggenda vuole che dimori sotto il promontorio di Scilla, da cui uscirebbe di tanto in tanto scatenando spaventose tempeste e terrorizzando i naviganti che possono solo sperare nell'intervento di Glauco, trasformatosi in un tritone marino per amore della ninfa, che emerge a placare i venti ogni volta che infuria la tempesta.

L'oracolo di Capo Vaticano
Se oggi i naviganti possono prevedere ed evitare la furia di Scilla grazie alle moderne apparecchiature meteorologiche, in passato non potevano far altro che interpellare l'oracolo di Capo Vaticano, tappa obbligata per tutte le navi che discendevano la Costa tirrenica. Egli era infatti l'unico in grado di predire se le condizioni del mare fossero più o meno favorevoli alla traversata. E il nome stesso del Capo deriverebbe da vaticinium, ossia predizione, oracolo, e non, come si potrebbe pensare, dallo Stato Pontificio del Vaticano.

La Fata Morgana
Se in una calda giornata estiva, passeggiando sullo splendido lungomare reggino che D'Annunzio definì "il più bel chilometro d'Italia", vi capitasse di vedere paesi e palazzi della costa siciliana deformarsi e specchiarsi tra cielo e mare, vicini a tal punto da distinguerne gli abitanti, non dovete impressionarvi. Siete solo vittime di un incantesimo. E' la Fata Morgana, un fenomeno ottico simile a un miraggio che si può osservare dalla costa calabra quando aria e mare sono immobili. La leggenda racconta che anche Ruggero I d'Altavilla fu incantato dal sortilegio. Per indurlo a conquistare la Sicilia, con un colpo di bacchetta magica la Fata Morgana gliela fece apparire così vicina da poterla toccare con mano. Ma il re normanno, sdegnato, rifiutò di prendere l'isola con l'inganno. E così, senza l'aiuto della Fata, impiegò trent'anni per conquistarla.

Elegante Sibari
Fu la più splendida delle colonie greche, celebre per il lusso e la dissolutezza dei suoi abitanti, al punto che ancora oggi chi si abbandona a una vita di piaceri viene definito un "sibarita". Ma sarà poi vero che vestivano abiti di un'eleganza senza pari, tessevano l'oro, trascorrevano le notti in festini e dormivano su giacigli di petali di rose? Forse sono esagerazioni, ma è certo che questo popolo fosse così amante del bello e dell'armonia da aver bandito ogni forma di violenza. I sibariti e la loro leggendaria città furono cancellati dalla faccia della terra in un paio di mesi per mano dei crotoniati guidati da Milone, che per completare l'opera, su consiglio di Pitagora, arrivarono addirittura a deviare il corso del Crati. Di tanto splendore non restano che le storie fantastiche di uno stile di vita inarrivabile e, naturalmente, le rovine della città. Niente di spettacolare, in verità, visto che solo una piccola parte è stata riportata alla luce: resti di abitazioni in località Parco del Cavallo e di un santuario dedicato ad Athena nei pressi della stazione, dove sorge anche il Museo della Sibaritide.

Il tesoro di Alarico
Anche la nobile Cosenza custodisce una leggenda, legata al passaggio dei goti nel remoto 410. Parla di un re-condottiero, Alarico, realmente esistito e morto di malaria alle porte della città, e del suo inestimabile tesoro di cui si favoleggia da secoli e che mai nessuno è riuscito a trovare. L'uno e l'altro sarebbero sepolti nel letto del Busento, fatto deviare dai barbari per non lasciare la tomba del loro re in balia delle orde di miserabili assetati di vendetta che seguivano l'esercito a distanza. A ricordo dell'episodio, a metà tra storia e leggenda, resta il ponte di Alarico, sospeso sul fiume tra le chiese di S. Domenico e di S. Francesco da Paola, nel punto esatto, si dice, in cui giacerebbe il tesoro, ma finora ogni ricerca è stata vana.

Adele, la suora fantasma, e il suo amore infelice per Saverio.

Palazzo S. Chiara (prima De Nobili), sede del Comune di Catanzaro, era simbolo del potere feudale, fu la massima espressione di edilizia privata nella città agli inizi dell'800. Appartenne ai De Nobili, una delle famiglie più agiate della città. Essi, insieme ai De Riso, ai Poerio e ad altri esponenti della ricca borghesia, riuscirono ad esercitare il potere sulla città. Nel 1883, in seguito ad un dissesto finanziario, il Palazzo fu venduto dai De Nobili al Municipio. Oggi,questo palazzo, è il protagonista di un evento paranormale che fa ricordare ai catanzaresi l'infelice storia di due innamorati...
La storia si pone fra la fine degli anni 1830 - 1840 a cavallo del periodo storico carbonaro-rivoluzionario ed ha in comune alcuni tratti melodrammatici del racconto e delle vicissitudini di Romeo e Giulietta decantata dal grande William Shakespeare; con una differenza: quest'ultima è il frutto della fantasia del poeta, mentre questo racconto è vera storia. Due giovani, appartenenti all'aristocrazia catanzarese e a due famiglie fra le più note della città s'innamorarono. Lei, Adele, figlia del marchese De Nobili (già deceduto al tempo del nostro racconto) era appena ventenne e viveva nel suo palazzo (Palazzo De Nobili, appunto, oggi sede del Municipio) insieme alla madre e ai suoi tre fratelli. Lui, Saverio Marincola, figlio dell'omonima casata nobiliare, è il personaggio maschile. I due s'incontravano furtivamente in quanto la loro relazione era osteggiata dalle due famiglie che erano divise anche per le loro tendenze politiche: l'una, la famiglia De Nobili, fedele al governo borbonico, l'altra, i Marincola, progressista e rivoluzionaria, appoggiava la politica indipendentista carbonara. Saverio, ogni sera incontrava Adele sotto la sua finestra (l'ultima finestra a destra della facciata anteriore di Palazzo De Nobili) e qui i due con la paura di essere scoperti dai fratelli di lei, si lanciano baci e promesse d'amore. Ma, una sera, il maggiore dei fratelli di Adele si accorge della tresca, apre il portone principale del palazzo ed affronta a duello Saverio; quest'ultimo si difende ma poi riesce a fuggire, incalzato non solo dal maggiore, ma anche dagli altri due fratelli della fanciulla. Ad Adele, che viene reclusa nella sua stanza, ma il Marincola escogita un piano per poterla rivedere, facendo in modo che ella non rischiasse di farsi scoprire. Saverio arrivava la sera sotto Palazzo De Nobili in sella al suo cavallo, i cui zoccoli erano ferrati d'argento in modo tale che il suono emesso durante il galoppo fosse diverso da quello degli altri cavalli che normalmente avevano gli zoccoli in ferro. Quel suono, per Adele, era un segnale, ed ella si affacciava alla sua finestra per rivedere e salutare l'amato. La storia non evolve per almeno sei mesi; quando, una sera, intorno alle ore 21.00, il Marincola, provenendo dalla zona di Catanzaro Lido, dove si era recato ad ispezionare alcuni latifondi, viene appostato, nei pressi della salita di rione Samà, e fermato da alcuni colpi di carabina che alcuni sconosciuti gli sparano contro: soccorso da alcuni presenti, morirà dopo due ore. Alla notizia della morte di Saverio, Adele si rinchiude nel suo dolore. Non mangia, non dorme, non vuole vedere nessuno. La magistratura indaga e scopre i colpevoli: sono i fratelli di Adele. I tre fratelli De Nobili fuggono nottetempo salpando verso l'isola di Corfù. Adele, affranta, lascia il palazzo, arriva in carrozza fino a Pizzo Calabro e qui s'imbarca per Napoli dove viene accolta nel Convento delle "Murate Vive". E' qui, divenuta suora, che trascorrerà il resto della sua vita. Intanto i fratelli, dall'isola di Corfù, condannati in contumacia, fanno sapere agli operatori di giustizia che, se il loro reato fosse stato perdonato, avrebbero rivelato alle autorità di una certa operazione rivoluzionaria che, dall'isola di Corfù, sarebbe approdata sulle coste calabresi per tentare di far insorgere gli animi al patriottismo, contro i Borboni. Questa spedizione, in effetti, era capitanata da due fratelli che, ufficiali nella Marina Austriaca, nel 1841 disertarono per la causa dell'unità e libertà d'Italia e fondarono la società segreta "Esperia", affiliata nel 1842 alla Giovine Italia di Mazzini. I due fratelli erano i famosi Attilio ed Enrico Bandiera (Venezia 1810 e 1819, vallone di Rovito, Cosenza 1844) che sbarcarono in Calabria per fomentare una sollevazione ed, appunto, furono traditi e fucilati il 25 luglio 1844 a Cosenza per la delazione dei fratelli De Nobili. In conseguenza alla loro delazione, i fratelli De Nobili, furono prosciolti dalla condanna di omicidio e fu permesso loro di rientrare in Calabria. Il più piccolo di loro cercò di farsi perdonare dalla sorella ed andò a trovarla a Napoli pur sapendo che era difficile vederla ma, ella rifiutò risolutamente di incontrarlo. Adele si considerava morta per il mondo intero e non avendo il coraggio di uccidersi, aveva deciso, pur soffrendo enormemente, di essere per sempre il simbolo del rimorso per i fratelli che si erano macchiate le mani di sangue. Dopo la morte di Adele, molti testimoni giurano di aver visto una figura spettrale, vestita da suora, aggirarsi nel Palazzo De Nobili. Molti di essi sono gli impiegati del Comune di Catanzaro che, anche durante il giorno, vengono disturbati da rumori improvvisi (come lo strano trascinarsi di catene), spostamento di oggetti e improvviso chiudersi o aprirsi di porte. Inoltre, la notte, gli uomini di vigilanza dell'agenzia: "Buccafurri", dichiarano di rimanere con molto disagio nell'atrio del Municipio e, soprattutto, di essere timorosi nel fare il giro d'ispezione per le stanze, dato che alcuni di essi hanno visto e sentito lo spettro di Adele. E' uno spirito ancora carico di rancore e di odio per la morte ingiusta del suo amato Saverio, vittima incolpevole di un amore non realizzato. Il fantasma della fanciulla torna nella casa paterna, nella speranza di rivedere ancora una volta quello di Saverio, ma non può più farlo perché affacciarsi alla finestra della sua stanza è impossibile, in quanto, nel frattempo, è stata murata. L'anima della suora vaga poiché dannata. Non è stata, in effetti, la fede a farle prendere i voti, ma la disperazione e l'odio, quindi il suo giuramento verso Dio fu falso e ciò la condanna a vagare per sempre.

 
 
 

sardegna

Post n°261 pubblicato il 17 Gennaio 2009 da rorina77
Foto di rorina77

SARDEGNA

Popolazione: 1.661.429
Superficie (Kmq): 24090
Densità (Ab/Kmq.): 69
Capoluogo: Cagliari (CA)
Altre Province: Nuoro (NU); Oristano (OR); Sassari (SS).

Il Fantasma Della Grotta Dei Colombi

Una delle più interessanti leggende cagliaritane riguarda la Grotta dei Colombi situata alle pendici del colle Sant'Elia, nei pressi della fantastica insenatura di Cala Fighera. Il nome della cavità che probabilmente è il più grande antro naturale presente in città, trae origine dai colombi e dai piccioni che ancor oggi, in gran quantità, nidificano all'interno. Essendo accessibile solo via mare, con l'ausilio di una piccola imbarcazione, veniva prediletta dai pescatori della zona e in particolar modo dai cacciatori che andavano a prendere i volatili. E' noto che nel 1800 la grotta è stata evitata a lungo perché considerata il nascondiglio di uno spettro maligno chiamato Dais. Il Dais, secondo avvenimenti realmente accaduti e documentati dalla cronaca, era un uomo che venne assassinato misteriosamente da brutti personaggi che poi, tra l'ingresso della cavità e l'acqua marina, abbandonarono il corpo sanguinante. Naturalmente l'anima di colui che perde la vita per morte violenta non può riposare in pace. Il lugubre lamento della vittima si è perciò fatto sentire a lungo tra le tenebre dell'antro e le circostanti acque, rievocando così l'assassinio e incutendo terrore in coloro che dal mare, scorgevano l'ingresso della cavità. Tuttavia una spietata vendetta è la spiegazione di questo raccapricciante fatto storico che qualche tempo prima, precisamente tra il 1794 e il 1795, vide lo stesso Dais uno dei maggiori organizzatori di tumulti popolari che cessarono con l'uccisione dei Cavalieri Girolamo Pitzolo e Gavino Palliaccio, creduti dal volgo: "infami traditori".

Sa Strega E Is Funtanasa

Quando venivano ancora utilizzate le cisterne nelle abitazioni del centro storico, capitava spesso che i bambini curiosi, forse per vedere cosa c'era all'interno, si avvicinavano negli imbocchi. I genitori, nel tentativo di scoraggiarli affinché non si sporgessero pericolosamente, raccontavano tante storie che avevano un protagonista comune noto come "Sa Strega e is Funtanasa". Quest'essere era una sorta di strega malvagia che dimorando nella cavità, aveva il compito di mangiare rapidamente i piccini che osavano guardare, anche se per un istante, l'acqua contenuta all'interno. Contrariamente alle vecchie credenze cittadine che spesso reputavano queste interessanti cavità come "posti infernali", tali storie vengono sfatate anche da un particolare assai curioso che tra breve illustrerò. Nel pozzo d'accesso alle cisterne veniva appeso un "brutto" pupazzo, tutto vestito di nero. Tale pupazzo, rappresentando un essere malvagio, forse la strega dei racconti, spaventava i bambini evitando loro il rischio di cadere dentro le profonde cavità. Spesso, nell'imbocco di qualche cisterna o nelle vicinanze, a distanza di tanti anni dal loro abbandono come contenitori idrici, è ancora presente il pupazzo che viene utilizzato come oggetto ornamentale. Probabilmente accadeva che qualche persona, nel raccontare quel che aveva osservato oppure quel che aveva sentito dire sui serbatoi sotterranei, veniva fraintesa da altre, creando di conseguenza una serie di storie che venivano tramandate in città in modi differenti ma ugualmente interessanti.

s'ingurtidroju (l'inghiottitoio)

Molti pozzi e cavità con sviluppo verticale venivano chiamate "Ingurtidrojus", ovvero inghiottitoi, perché durante le piogge consentivano la penetrazione dell'acqua. Evidentemente la fantasia popolare ha tessuto le sue leggende facendo figurare pozzi, fontane, e nel caso del colle S. Elia anche gli imbocchi delle cisterne, non solo come inghiottitoi d'acqua ma di animali e persone. Un'ingurtidroju è situato all'Anfiteatro Romano di Cagliari, e il suo imbocco è ancora visibile in quanto situato nella gradinata sottostante viale Sant' Ignazio, posta di fronte all'Ospedale Civile. Citato nel 1856 nei libri dello scrittore Vittorio Angius, si tratta di un pozzo profondo una decina di metri, probabilmente scavato in periodo romano per favorire l'areazione di un cunicolo sottostante, al contrario di quanto affermano alcune leggende che l'hanno creduto un'opera di Belzebù creata nel terreno per consentire la caduta di prede: povere vittime dei suoi pasti infernali!

 
 
 

le nostre regioni...usanze costumi e tradizioni

Post n°260 pubblicato il 16 Gennaio 2009 da rorina77
Foto di rorina77

SICILIA

Popolazione: 5.108.067
Superficie (Kmq): 25707
Densità (Ab/Kmq.): 199
Capoluogo: Palermo (PA)
Altre Province: Agrigento (AG); Caltanissetta (CL); Catania (CT); Enna (EN); Messina (ME); Ragusa (RG); Siracusa (SR); Trapani (TP)

La leggenda della Fonte di Aretusa

Aretusa era una delle ninfe che stavano nell'Acaia (Grecia). Era ritenuta una ninfa bella, sebbene non avesse mai aspirato ad avere la fama d'essere bella, anzi arrossiva delle sue doti fisiche, e, se piaceva se ne faceva una colpa. Un giorno mentre tornava stanca dalla foresta di Stinfàlo, si fermò nella riva di un fiume, trasparente fino al fondo, tanto che attraverso l'acqua si poteva contare tutti i sassolini. Desiderosa di farsi un bagno, si spogliò, e appese i molli veli a un ramo pendente di salice. Mentre batteva e traeva a se l'acqua guizzando in mille modi, sentì venire da sotto i gorghi uno strano bisbiglio ed atterrita risalì sulla sponda opposta. - Dove vai così in fretta, Aretusa? - gli chiedeva con voce roca Alfeo, il fiume su cui Aretusa si stava rinfrescando. Aretusa, impaurita, iniziò a correre senza vestiti addosso. Alfeo prese le sembianze umane, e iniziò a seguirla. Dopo tanto correre, Aretusa non c'è la fece più, così chiese aiuto alla dea Diana, la quale commossa la aiutò coprendola con una nube. Alfeo, non si dava per vinto, e girava e rigirava attorno alla nube sperando di vederla. Aretusa impaurita e scossa iniziò a sudare, tanto che tutto il suo corpo grondava di gocce azzurrine ed ogni volta che spostava il piede, si formava una pozza d'acqua; così, in poco tempo, Aretusa si trasformò in acqua. Alfeo, riconobbe nell'acqua l'amata, e lasciato l'aspetto umano, tornò ad essere quello che era, cioè una corrente, per mescolarsi a lei. La dea di Delo (Ortigia) fece uno squarcio nel terreno e , Aretusa, sprofondando in buie caverne giunse fino ad Ortigia dove per la prima volta riemerse in superficie.

L'origine della Sicilia

Il popolo siciliano, nella sua ricca fantasia dovuta alla sua vivacità spirituale, determinata dal clima mediterraneo e dal suo effervescente carattere, ha trasfigurato in leggende anche l'origine stessa della sua terra; e l'ignoto poeta popolare ha definito la Sicilia come un dono fatto da Dio al mondo in un momento di suprema letizia, pertanto l'isola mediterranea non sarebbe altro che la metamorfosi di un diamante posto da Dio nel mezzo del mare per la felicità del mondo (e non certo una parte dell'Atlantide o un'appendice triangolare che un violento terremoto avrebbe staccato dalla penisola italiana, come ci narra anche Virgilio); sicché il poeta popolare conclude che: la cht'amaru " Sicilia " li genti, ma di l'Eternu Patri è lu diamanti! Anche il novellatore popolare crea le sue leggende sull'origine della Sicilia, e fa anch'egli opera di poesia.I tre promontori, che danno alla Sicilia il suo tipico aspetto triangolare, sarebbero pertanto il frutto dell'estro gentile di tre ninfe, che vagavano per il mare prendendo dalle parti più fertili del mondo un pugno di terra mescolata con sassolini; e, postesi tutte e tre sotto il cielo più limpido ed azzurro del mondo, da tre punti gettarono il loro pugnello di terra nel mare, e vi lasciarono cadere i fiori e le frutta che esse recavano nei flessuosi veli che le ricoprivano, dolcemente danzando sui piedi leggeri. Il mare, al loro apparire, si vestì di tutte le luci dell'arcobaleno, e rise nelle sue grazie leggiadre ed infinite; e a poco a poco si solidificò, e dalle onde emerse una terra variopinta e profumata, ricca di tutte le seduzioni della natura; e i tre vertici del triangolo, dove le tre bellissime ninfe avevano iniziato la loro danza, divennero i tre promontori estremi della nuova isola, che poi i geografi avrebbero chiamatoTrinacria, cioè la terra dalle tre punte (e il più antico simbolo della Sicilia è una testa di donna con tre gambe, la Triskele dei greci, come si vede nelle pitture vascolari conservate nel museo archeologico di Agrigento), che si chiamarono capo Faro o Peloro dal lato di Messina, capo Passero o Pachino dal lato di Siracusa, e capo Boeo o Lilibeo dal lato di Palermo. Ma anche il nome stesso dell'isola è nato da una leggenda, che parla di una principessa bellissima, che si chiamava appunto Sicilia,,.e alla quale il destino ordinò di lasciare, sola e giovinetta, la propria terra natia, altrimenti sarebbe finita nelle fauci dell'ingordo Greco-levante, che le sarebbe apparso sotto le mostruose forme di un gatto manlinone, divorandola. Per scongiurare questo pericolo, non appena compì quindici anni (che così voleva il destino) il padre e la madre, piangenti, la posero in una barchetta, e la affidarono alle onde. E le onde, dopo tre mesi, quando ormai la povera Sicilia credeva di dover morire di fame e di sete, dato che tutte le sue provviste si erano esaurite, deposero la giovinetta su una spiaggia meravigliosa, piena di fiori e di frutti, ma assolutamente deserta e solitaria. Quando la giovinetta ebbe pianto tutte le sue lagrime, ecco improvvisamente spuntare accanto a lei un bellissimo giovane, che la confortò, e le offerse amore e ricetto, spiegando che tutti gli abitanti erano morti a causa di una peste, e che il destino voleva che fossero proprio loro a ripopolare quella terra con una razza forte e gentile, per cui l'isola si sarebbe chiamata col nome della donna che l'avrebbe ripopolata; ed infatti si chiamò Sicilia, e la nuova gente crebbe forte e gentile, e si sparse per le coste e per i monti. Qual è il fondamento storico di questa fascinosa leggenda? Lasciando da parte le questioni etimologiche (con le quali si è arrivati a congetturare che il termine Sicilia deriverebbe dall'unione delle due voci antiche sik ed elia, indicanti rispettivamente il fico e l'ulivo, e starebbe a significare la fertilità della terra siciliana)' c'è da osservare che i due grandi folcloristi che hanno riportato questa leggenda, il Salomone Marino e il Pitrè,' hanno concordemente indicato il riferimento culturale, cogliendolo nell'antica favola di Egesta, abbandonata dal padre Ippota su una barchetta affidata alle onde, perché non diventasse preda dell'orribile mostro marino inviato dal dio del mare Nettuno; e che poi, approdata in Sicilia, e sposa di Crìmiso, generò l'eroe Aceste di cui parla Virgilio nel quinto libro dell'Eneide; ma ambedue hanno trascurato il fonda, mento storico, che è dato dall'accenno all'" ingordo Greco-levante ", che avrebbe divorato la povera Sicilia. Il temibile mostro greco-levantino altro non è che l'impero bizantino, la cui dominazione in Sicilia, protrattasi dal 535 all'827, lasciò un cattivo ricordo nell'isola per il suo avido fiscalismo, tanto che fino a qualche tempo fa si diceva ai bambini cattivi, per farli impaurire: " Vidi ca vénunu i greci! " (bada che stanno per venire i bizantini).' Il che spiega sufficientemente la genesi storica della leggenda.

 

Demetra, Persefone e la Sicilia

Tratteremo innanzitutto della Sicilia, sia perché è la più fertile delle isole sia perché le spetta il primo posto per l'antichità dei miti che la riguardano. L'isola, chiamata anticamente Trinacria dalla sua forma, soprannominata Sicania dai Sicani che la abitavano, ricevé infine il nome di Sicilia dai Siceli, che vi passarono in massa dall'Italia. I Sicelioti che la abitano hanno appreso dagli antenati (notizia che è stata ininterrottamente tramandata ai discendenti da tempo immemorabile) che l'isola è sacra a Demetra e a Core; alcuni poeti raccontano che in occasione delle nozze di Plutone e Persefone quest'isola fu donata da Zeus alla sposa come dono di nozze. La prova più evidente del fatto che il rapimento di Core (o Persefone) avvenne in Sicilia sarebbe (così dicono) la seguente: le dee si trattenevano su quest'isola perché l'amavano straordinariamente. Secondo il mito il ratto di Core sarebbe avvenuto neì prati vicino Enna. Questo luogo è vicino alla città, superiore agli altri per la bellezza delle viole e di tutti i tipi di fiori, degno della dea. Si dice che a causa del profumo dei fiori che vi sbocciano i cani, soliti andare a caccia, non riescono a seguire la pista, perché impediti nella percezione fisica dal profumo. Il prato di cui stiamo parlando è piano al centro e ricchissimo d'acqua; elevato invece ai bordi, cade a picco con dirupi da ogni parte. Sembra giacere al centro dell'intera isola, perciò taluni lo chiamano ombelico della Sicilia. Nelle sue vicinanze vi sono boschi sacri circondati da paludi ed una spelonca di grandi dimensioni nella quale vi è una voragine che porta sotto terra in direzione Nord: secondo il mito di qui uscì Plutone con il carro, quando rapì Core. Le viole e gli altri fiori sbocciano senza interruzione e contro ogni regola per l'intero anno e fanno sì che il luogo presenti un aspetto sempre fiorito e dilettevole. Secondo il mito, Atena e Artemide, che pure avevano scelto la verginità ed erano allevate con Core, erano solite raccogliere insieme con lei i fiori e preparare il peplo per il padre Zeus. Poiché passavano il tempo insieme ed erano fra loro intime, tutte e tre amavano in maniere straordinaria quest'isola e ciascuna ricevé in sorte una parte del territorio: Atena nella zona di Imera, dove le Ninfe, per fare cosa grata alla dea, fecero sgorgare le sorgenti di acqua calda quando Eracle giunse in Sicilia; gli abitanti poi consacrarono ad Atena una città e il territorio che si chiama ancor oggi Ateneo. Artemide ricevé dagli dèi l'isola che si trova a Siracusa e che oracoli e uomini chiamarono dal suo nome Ortigia. Anche in quest'isola le stesse Ninfe, volendo far cosa grata ad Artemide, fecero scaturire una grandissima sorgente che si chiama Aretusa. Questa sorgente conteneva molti pesci e di grandi dimensioni non solo nei tempi antichi; accade che anche ai nostri giorni i pesci vi si trovino ancora, perché sono sacri e non devono essere toccati dagli uomini. Spesso taluni ne mangiarono in occasione di circostanze belliche, ma la divinità mandò segni insoliti e precipitò in grandi sventure coloro che avevano osato prenderli vicino Enna. Come le due dee sopra ricordate, anche Core ricevè in sorte i prati vicino Enna, le fu poi consacrata nel territorio di Siracusa una ricca sorgente che si chiama Ciane. Secondo il mito Plutone, compiuto il ratto, trasportò Core sul suo carro vicino Siracusa: squarciò la terra, sprofondò con la rapita nell'Ade e fece sgorgare una fonte, chiamata Ciane, presso la quale i Siracusani celebrano ogni anno una famosa festa; i privati sacrificano vittime di piccolo taglio, la cerimonia pubblica prevede l'immersione di tori nello specchio d'acqua; questo sacrificio fu introdotto da Eracle al tempo in cui percorse tutta la Sicilia spingendo i buoi di Gerione.

 
 
 

Post N° 259

Post n°259 pubblicato il 15 Gennaio 2009 da okkiverdigg

Buona serata
           un abbraccio
 

Immagini riflesse by Follettarosa

 
 
 

Post N° 258

Post n°258 pubblicato il 15 Gennaio 2009 da rorina77

Non smettere mai di cercare la
persona giusta per te...
Aspetta la persona che
non dice nulla anche quando
le sbatti il telefono in faccia,
che rimane sveglia solo per
guardarti mentre dormi.
Aspetta la persona che
ti bacia la fronte,
che ti vuole mostrare al mondo
orgoglioso anche se sei in tuta,
che ti tiene la mano di fronte
agli amici.
Aspetta la persona che ti ricorda
continuamente quanto ci tiene a te
e quanto è fortunato ad averti.
Aspetta la persona che si gira verso
i suoi amici dicendo '...è lei' o '... è lui'.

 
 
 

Post N° 257

Post n°257 pubblicato il 14 Gennaio 2009 da rorina77

E' oggi: tutto l'ieri andò cadendo
entro dita di luce e occhi di sogno,
domani arriverà con passi verdi:

nessuno arresta il fiume dell'aurora.

Nessuno arresta il fiume delle tue mani,
gli occhi dei tuoi sogni, beneamata,
sei tremito del tempo che trascorre
tra luce verticale e sole cupo,

P.Neruda

 
 
 

Post N° 256

Post n°256 pubblicato il 13 Gennaio 2009 da okkiverdigg

Cogli questo piccolo fiore
e prendilo. Non indugiare!
Temo che esso appassisca
e cada nella polvere.

Non so se potrà trovare
posto nella tua ghirlanda,
ma onoralo con la carezza pietosa
della tua mano - e coglilo.

Temo che il giorno finisca
prima del mio risveglio
e passi l'ora dell'offerta.

Anche se il colore è pallido
e tenue è il suo profumo
serviti di questo fiore
finché c'è tempo - e coglilo.

Rabindranath Tagore

buona notte

giulia

 
 
 

pesci

Post n°255 pubblicato il 13 Gennaio 2009 da rorina77
Foto di rorina77

AMORE: un anno all’insegna della trasformazione, una forza interiore ritrovata darà ai Pesci autorevolezza e caparbietà che in amore li condurrà a prendere decisioni senza mezze misure: consolidamento della relazione oppure tagli netti a quei rapporti ormai provati da tensioni e risentimenti accumulati negli anni. Propensi saranno anche i single nel lanciarsi verso nuove avventure, ma che raramente rivestiranno un carattere diverso dal semplice flirt.

SOLDI E LAVORO: il desiderio di cambiamento unito alla grande sicurezza donata da Plutone porterà i Pesci a tentare nuove strade in ambito professionale peraltro con esiti soddisfacenti. Maggiori difficoltà le incontrerà invece chi è in cerca di un lavoro, dovute soprattutto alla confusione interiore che pone questo stato d’animo in conflitto con l’esigenza di certezze. Invariata la situazione economica.

FORTUNA: non ricorderete certamente il 2009 per la grande fortuna avuta, comunque rimarrà nella media. Non fatevi sopraffare dalla superstizione.

SALUTE: buona nel complesso, ma comunque siete troppo pigri ed un po’ di sport non guasterebbe affatto. Movimento e possibilmente all’aria aperta!

 
 
 
 
 

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Data di creazione: 07/08/2008
 

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