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Ancora la storia di 'lacci e lacciuoli'.


1. In occasione di un seminario di studi organizzato dalla Confindustria nel lontano 1970, Guido Carli (Governatore della Banca d’Italia, Presidente di Confindustria, Presidente dell’Università LUISS) coniò l’espressione ‘lacci e lacciuoli’, per indicare gli ostacoli che impedivano alla nostra economia di avere un andamento virtuoso. Le due parole, con lo stesso significato, erano già state usate da Luigi Einaudi (economista e primo Presidente della Repubblica Italiana). Carli non parlava a tutti e, personaggio qual era, pretendeva che l’espressione fosse da sola sufficiente a far capire di cosa parlava, e non ha mai fatto una lista né di lacci, né di lacciuoli. Gli epigoni, forse per non sbagliare, hanno tradotto l’espressione con: “riforme da fare”, senza spiegare quali riforme di dovessero fare. Ai giorni nostri, chiunque mastichi di politica, per non parlare degli economisti, non apre bocca se non fa riferimento alle riforme necessarie per uscire dalla crisi. Anche loro, ovviamente, non ne citano mai una.2. Al tempo di Carli il grosso dell’economia, specialmente quella del vecchio continente, era agricoltura e industria, e la finanza moderna muoveva i primi in America e nella city di Londra, senza turbare i nostri sonni. A partire dalla fine degli anni ’70, quando l’amministrazione americana di Nixon ha dichiarato l’inconvertibiltà del dollaro, anche noi abbiamo cominciato a far conoscenza con la finanza. Si trattava ancora di un fenomeno, come dire: estero. Con la globalizzazione, e la liberalizzazione del movimento internazionale dei capitali - accreditata in Italia con frasi tipo: ‘più stato, meno mercato’ -  la finanza ha sovvertito il significato dell’economia  del mondo intero, al punto che, quando oggi se ne parla, molti credono la finanza sia il tutto, e l’industria, e di più l’agricoltura, siano cosa altra.Che ruolo hanno avuto i lacci e i lacciuoli, - o, se si vuole, le riforme - in questo lungo processo, che è stato storico, politico ed economico insieme? Sono stati rimossi i lacci e i lacciuoli? Sono state fatte le riforme? E lo stato attuale (di crisi) dell’economia ha collegamenti con queste salvifiche misure?3. Secondo Carli, allora, e tutti i liberisti che hanno concordato e concordano con lui oggi, i lacci e i lacciuoli erano e sono:- per il sistema delle imprese, i pretesi diritti dei lavoratori, la bassa produttività del lavoro, la regolamentazione delle condizioni di lavoro, la mediazione sindacale nelle relazioni industriali, il costo del denaro, e via specificando;- per il sistema paese, l’alto debito pubblico, l’alta spesa per gli interessi su di esso, la spesa elevata per pensioni e assistenza medica, l’eccessivo costo della pubblica amministrazione, l’inefficienza della stessa, la mancanza di infrastrutture, la mancanza di privatizzazioni e liberalizzazioni, ecc. ecc.Ciascuno di questi lacci e lacciuoli doveva - per i  contemporanei, deve - essere rimosso con una o più riforme ad hoc. Non si è fatto in passato, e abbiamo avuto un’economi asfittica; se non si fa da ora in poi, saremo destinati ad una crisi perenne.4. Domanda:  ma dagli anni ’70 in qua non è stato fatto proprio nulla in termini di riforme? La risposta è no. Chiunque leggesse questa nota sa che da allora ad oggi si sono fatte tante riforme: dal precariato, agli interessi ad una cifra, da una sanità, ormai a pagamento, a pensioni di fame, da una pubblica amministrazione ridotta all’osso, alla privatizzazione di tutto il privatizzabile. Non lo sanno invece coloro che, secondo me, ne hanno fatto, e ne fanno, un paravento per non voler spiegare diversamente, ieri i motivi del pessimo andamento dell’ economia, oggi i motivi della crisi. Persino l’attuale governatore della Banca Centrale Europea, in un recente intervento ha usato l’espressione ‘lacci e lacciuoli’, per meglio sostenere che dalla risi si esce solo se si fanno le riforme.Perdiamo tempo. Io credo che la nostra economia effettivamente non abbia mai brillato. Ma non perche soffrisse lacci e lacciuoli. Non ha brillato in passato perché, quando era agricoltura e industria era poco competitiva, per carenza d’innovazione di processo, ma soprattutto di prodotto; la Fiat, con le sue brutte automobili ne è l’esempio lampante. Non brilla oggi perché, nel mondo della finanza, ha un ruolo oggettivamente marginale, a causa del limitato orizzonte che le è concesso (dall’Europa?).In presenza di una crisi, che è depressione, la via di uscita non sono le ricette monetariste che si propongono: stringere la cinghia, non spendere, non investire. Se questo si fa, non si crea lavoro. E se non si lavoro ci si immiserisce sempre di più. Anche se la finanza, come quotidianamente ci dicono le borse mondiali, continua tranquillamente a prosperare. La storia insegna che dalle crisi si è sempre usciti con gli investimenti. Anche a debito. Perché se gli investimenti a debito sono quelli giusti, producono la ricchezza necessaria per pagare i debiti contratti per farli, e quelli accumulati in precedenza. Detta in termini meno aggressivi, in una situazione di crisi come quella che siamo costretti a vivere, se mancano gli investimenti privati, per tutto quello che sappiamo, è lo Stato che deve farsene temporaneamente carico. A crisi finita, lo Stato, poi, riprende il suo ruolo di regolatore neutro. E’ questa la lezione che abbiamo imparato da J.M.Keynes, e per la quale siamo usciti dalle miserie prodotte dalla prima e dalla seconda guerra mondiale. Non tenerne conto è suicida. Se l’Europa non ce lo consente, ebbene: usciamo dall’Europa.