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Il ritorno della ragione


1. In questa crisi infinita è una notizia: Mario Draghi, presidente della Banca Centrale Europea, Ignazio Visco, governatore di Bankitalia e Jens Weidemann, presidente della Bundesank, separatamente e stranamente hanno dichiarato che l’andamento dell’economia europea, a un passo della deflazione, necessita di misure per la crescita. La notizia è del tutto nuova, e marca una virata a centottanta gradi dei tre eminenti banchieri, responsabili fra i maggiori della politica monetaria e finanziaria europea: dopo la religione dell’austerità a oltranza, adesso pensano che per il risanamento dell’economia comunitaria siano necessarie:  una “… azione comune” per far ripartire la ripresa, a cominciare dal mantenimento della stabilità dei prezzi” (Draghi); “… misure a sostegno della stabilità dei prezzi perché il potenziale di crescita va innalzato… “ (Veidemann); e responsabilità per gli obiettivi di più lungo periodo, “… considerando anche la sostenibilità dei sacrifici e la distribuzione dei benefici…” (Visco). 2. Tradotte, le loro “parole oscure” contengono il seguente messaggio: - la crisi non è affatto finita; - le politiche di austerità e dei “compiti a casa” non ha dato grandi risultati; in alcuni casi (vedi Grecia) oltre a rappresentare lacrime e sangue per la gente, ha anche distrutto l’apparato della crescita (capitale fisico e umano) e compromessa la cosi detta ‘crescita potenziale’, cioè una teorica possibilità di ripresa a crisi finita; - ‘Fiscal compact’ (sostanzialmente bilanci nazionali in pareggio) Unione Bancaria e altre diavolerie messe in campoi, tipo i cosi detti ‘scudi salva stati’ (che non sin sa che esito potrebbero avere, se usati, vista la miseria delle loro dotazioni finanziarie) sono strumenti difensivi che, se possono funzionare per fallimenti di stati come la Grecia (2% dell’economia europea totale), a poco varrebbero se a fallire fosse, per esempio, l’Italia; - il pericolo per l’Europa è il debito degli stati e, in particolare, il debito dell’Italia che, se non dovesse essere onorato,   trascinerebbe al fallimento non solo il nostro paese, ma sé l’intera economia dell’Unione; - poiché si sta dimostrando difficile aggredire direttamente i debiti, bisogna impegnarsi per la crescita, di talché il rapporto debito/piI che non si riesce a ridurre con l’abbattimento del numeratore della frazione, si riduca con l’aumento del denominatore (pil). - impegnarsi per la crescita, significa programmare una politica per investimenti che diano posti di lavoro. Che dire? Era ora che qualche responsabile capisse queste cose e ne facesse oggetto della propria azione. E’ successo e ne siamo lieti. Abbiamo solo da osservare che in tanti, da tempo, suggerivano (inascoltati) le stesse misure (Paul Krugman). Speriamo che da domani sia la volta buona. 3. Ma ora mi consento una digressione. Nel suo intervento Visco ha precisamente affermato: “Anche se la regola sul debito pubblico prevede alcuni margini di flessibilità, è comunque sulla crescita reale dell’economia, quindi sulla ripresa degli investimenti - al tempo stesso fattore di offerta e componente fondamentale della domanda - che bisogna puntare”. Mi torna strano che un componente di domanda possa essere fattore (?) di offerta. Sbaglio, o Visco per promuovere gli investimenti, necessari alla 'crescita reale', trascura volutamente la classica, netta distinzione fra politiche economiche dal lato dell’offerta e politiche economiche dal lato della domanda? Perché non ha detto apertamente che le prime, fin qui seguite, non hanno dato grandi risultati, ed è necessario passare alle seconde?