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Dico e Penitenza


1. Riflettendo sulla tendenza dell’Europa e degli europei ad infliggersi penitenze per le tante nefandezze della loro storia (schiavismo, colonialismo, fascismo, comunismo razzismo, shoa), Paolo Gambara sottolinea un’idea abbastanza consolidata nel pensiero contemporaneo, che, secondo me, è utile per farci evitare giudizi superficiali. Eccola: l’autocritica fa parte della nostra cultura e deriva direttamente dalla cultura del peccato, ereditata dalla tradizione giudeocristiana e trasformata dall’illuminismo in autocritica. Poiché l’esperienza insegna che “è più facile sentirsi in colpa per il passato, che assumersi responsabilità del presente”, la penitenza è di grande utilità per rimuovere la prima, continuando a non avere attenzione per la seconda. Nell’attesa dei tempi che verranno.2. Utilizzo in parte quest’idea per spiegarmi la posizione della Chiesa Cattolica a proposito dei DICO. 3. Com’è noto, la penitenza è il rimedio che la Chiesa Cattolica suggerisce ai credenti per ripulirsi dei peccati nei quali, ahiloro, spesso incorrono. L’autocritica, invece, che deriva direttamente dal concetto di penitenza, è lo strumento al quale la stessa Chiesa fa ricorso, quando deve fare ammenda degli ‘errori’ commessi nel  suo passato (Copernico, Galileo, inquisizione e via elencando).4. Oggigiorno La Chiesa sta commettendo un errore di non secondaria importanza: quello di escludere dall’amore universale, che, poi, altro non dovrebbe essere che Dio stesso, l’amore delle coppie che, per motivi diversi, non possono accedere al ‘sacramento del matrimonio’. (Sacramento, perché così definitivamente sistemato tra il 1439 (Concilio di Firenze) e il 1547 (Concilio di Trento); di conseguenza, quello d'impedire, a quanti lo vivono,  una testimonianza pubblica del loro amore, come è consentito/richiesto alle coppie unite dal vicolo matrimoniale; il tutto con la motivazione risibile che i DICO (come la legge in fieri sommessamente denomina l’amore che anela ad una esistenza pubblica) minerebbero la famiglia.5. Molta gente, credente e non, è entrata in fibrillazione.6. Per quel che mi riguarda, penso che non sia il caso di darsi pena: la Chiesa, come sempre, non sa assumersi le responsabilità del presente e nuovamente grida uno dei suoi ‘non possumus’. Come fece in passato a cominciare da Pietro e Paolo, passando per il matrimonio di Enrico VIII, la negazione del ritorno a casa del bambino ebreo e tanti altri casi per i quali si rimanda al bell’articolo di G. Zagrebelsky su Repubblica del 9 febbraio scorso (p. 45). In futuro, magari, se ne pentirà e metterà la coscienza a posto con una bell’autocritica. Con la speranza che, per quel tempo, il pentimento sia, in qualche modo,  anche penitenza.7. Sicché, per il momento a noi non resta che fare appello a tutta la capacità di cultura che abbiamo, se ne abbiamo, per non sentirci sotto inquisizione. Almeno spritualmente.