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Produttività e salari.


1. Come m'ero ripromesso, provo a spiegare meglio la conclusione del messaggio precedente. E lo faccio con un ragionamento che ipotizza ‘parità di condizioni’: ‘ceteris paribus’, come si dice in linguaggio tecnico-economico.Supponiamo - semplificando al massimo -  che una impresa del settore ‘beni e/o servizi’, alla fine dell’esercizio ‘n’ presenti la seguente situazione patrimoniale:1.Cap. fisso1.000,004.Debiti2.000,002.Cap. circol.2.000,005.Capitale Netto1.000,003.Totale3.000,006.Totale3.000,00ed il seguente conto economico:1. Costi1.000,004.Ricavi2.000,002. Utile1.000,00  3.Totale2.000,005.Totale2.000,00Che spazio c'è per accogliere rivendicazioni salariali?L'interrogativo s'inserisce nella questione più generale dell'impiego dell'utile d'impresa.  2. Tralasciando il caso di un investimento in borsa (economia finanziaria)  - del quale, magari, ci occuperemo in un prossimo messaggio - nel campo della economia reale ci sono tre possibilità:a) destinare metà utile in pagamento di debiti e metà in aumento del Capitale circolante). Questa  opzione sarebbe quella preferita  dagli  imprenditori;b) destinare l’intero utile ad aumento dei salari. Questa opzione sarebbe auspicata dai lavoratori;c) destinare l’utile in parte come in a) ed in parte ad aumento dei salari, secondo un rapporto legato a diversi fattori, fra i quali si indicano:- la capacità di contrattazione dei salari da parte dei lavoratori  (difesa dei salari);- la capacità di resistenza dell’impresa (difesa del profitto).La terza opzione è quella suggerita dagli esperti. I quali, però, la legano al livello di produttività dell’azienda. (I salari possono aumentare solo se aumenta la produttività e, di conseguenza, il prodotto. Con linguaggio ameno affermano: “Solo se aumenta la torta, possono crescere le porzioni”; “Con l’alta marea, galleggiano tutte le barche”).Sembra l’uovo di colombo e, invece, è una tesi fuorviante: un aumento dei salari, semplicemente legato alla produttività, non porta alcun vantaggio ai salari. Cercherò di dimostrare questa tesi.3. Per produttività si intende il rapporto fra il risultato (output) di un processo produttivo e la somma dei fattori produttivi impiegati (input), è può essere espressa con la seguente formula: p = P/aC+bLdove P è il valore del prodotto, C  il Capitale impiegato, L  l’ammontare dei salari,  a e b  le quantità (parametri), rispettivamente di C ed L.;  la somma aC+bL  (combinazione dei fattori produttivi) nel linguaggio tecnico-economico è detta ‘tecnologia produttiva’.Prima questione. Nell’aridità dei numeri,la formula dice  che un aumento di p è possibile se, a parità di denominatore, aumenta il numeratore, o se, a parità di numeratore, diminuisce  il denominatore.Seconda questione. Con altra lettura, (valutazione separata della produttività di aC e bL), di cui si purtroppo si parla poco, è acquisito alla scienza economica, che p può aumentare semplicemente:-  se si cambia la tecnologia produttiva (p.e. variando aC, o bL, o entrambe e, magari, lasciando invariato il valore aC+bL (innovazione di processo);- se invece di P, si produce P1 (stesso prodotto con nuove caratteristiche), capace di creare nuova domanda (innovazione di prodotto).Terza questione. La vulgata odierna è che per fare aumentare p si deve agire sul denominatore. Senzo affermarlo esolicitamente, si ritiene necessario abbassare bL (abbassando i salari, o licenziando). Essa sconta una tesi estranea alla scienza economica di libero mercato e, cioè, che aC , che in sostanza è l’investimento, deve essere deciso al di fuori del processo produttivo, e, cioè, dalle condizioni offerte dal mercato dei capitali. In altri termini, nel processo produttivo, aC  deve essere la variabile indipendente (in gergo, 'esogena').4. Ma ritorniamo alla nostra impresa.Per quanto riguarda la nostra impresa, P è dato dall’utile, aC  è dato  dalle  quote di capitale fisso e variabile impiegate nella produzione (ammortamenti, materie prime, altri costi)) e  bL, è dato dall’ammontare dei salari. Ne deriva che la produttività della stessa è 1, come segue: p. = 1000,00/1000,00 = 1                      Supponiamo ora che nel tempo, a prescindere dalla sua produttività, e solo in base alle relazioni aziendali esistenti (contratto), l’impresa ripartisca l’utile con un 20% a profitto e un 80% a salari; il profitto annuo sarà di 200,00 ed i salari totali  di 800,00, in un rapporto salari/profitti 800,00/200,00, pari a 4. Supponiamo ancora che questi risultati non soddisfano:a) i lavoratori, perché secondo loro i salari non sono adeguati al costo della vita, e chiedono aumenti; b) l’imprenditore, perché secondo lui, la quota di profitto, che già non consente la copertura dei costi, non dà margini per aumenti salariali: solo un aumento di produttività può permetterli.Supponiamo, infine, che i lavoratori accettino questa l’impostazione e contrattino  una ‘riorganizzazione del lavoro’ capace di far aumentare la produttività da 1 a 2. Con questa operazione il prodotto P da 1.000,00 lievita a 2.000,00, come segue:P = 2(aC+bL) = 2x1.000,00 = 2.000,00Se l’incremento di P continuerà ad essere ripartito fra salari e profitti nelle percentuali di prima (80% a salari e 20% a profitto) è vero che i salari raddoppieranno e anche il  profitto raddoppierà, ma il rapporto salari/ profitti resterà immutato  e, cioè, sarà sempre 4 (1.600,00/400,00); di conseguenza, le doglianze sia dei lavoratori, che dell’imprenditore rimarranno immutate. Dov’è l’inghippo?Eccolo.L’incremento di profitto che l’imprenditore realizza grazie alla crescita della produttività, lo spingerà a fare nuovi investimenti.L’aumento dei salari spingerà i lavoratori a consumare di più.I due comportamenti faranno aumentare, da un lato, la domanda dei beni d’investimento e, da un altro, la domanda dei beni di consumo; faranno cioè, come si dice in gergo, aumentare la ‘domanda aggregata’.L’aumento della domanda aggregata, produrrà un aumento tendenziale dei prezzi dei due tipi di beni, di talché  le ragioni di scambio profitti/investimenti e salari/consumi, (ciascuno dei quali, ‘a modo suo’, potere d’acquisto) pur posizionandosi ad un livello nominale più elevato, avranno un ‘valore reale tendenzialmente identico’ a quello che si aveva prima dell'aumento di produttività. (Attenzione: i valori reali dei due rapporti saranno coincidenti, quando i prezzi che si determineranno a seguito dell’aumento della domanda aggregata, saranno prezzi di equilibrio.5. In definitiva: sostenere che l’aumento salariale non può che essere legato ad un aumento della produttività è una tesi valida per ciò che attiene ai salari nominali e per il breve periodo. Per il periodo lungo, non dando risposte in tema di aumento reale stabile dei salari, essa è ingannevole. A meno qualcuno non pensa che i lavoratori siano perennemente disponibili a forme di relazioni sindacali, che abbiano come finalità l’aumento della produttività, e l’aumento della produttività non abbia limiti.Perchè un aumento salariale sia veramente vantaggioso per i lavoratori è necessario modificare il rapporto salari/profitti (quando c'è un aumento della torta, magari grazie ad un aumento di produttività, bisogna che  la fetta dei lavoratori sia relativamente maggiore di quella dell'imprenditore).6. In assenza di questa scelta, dire che i salari possono aumentare solo se aumenta la produttività non porta lontano.