Spread

La guerra vlutaria di cui si parla


1.Dopo la crisi della finanza e quella dell’economia reale, è in corso la cosiddetta ‘guerra delle valute’, cioè, una nuova crisi che, questa volta, si manifesta mediante l’altalena dei cambi delle monete dei paesi che contano di più nei mercati internazionali.Gli esperti ci raccontano così.Il commercio mondiale è squilibrato perché:a. i paesi che prima della crisi finanziaria erano paesi consumatori (e, quindi, importatori), dopo la crisi non possono esserlo più, in dipendenza del fatto che la gente non ha più le risorse necessarie per sostenere i consumi; per non subire conseguenze peggiori (crollo delle produzioni, disoccupazione, disordini sociali) questi paesi, da importatori,  dovrebbero trasformarsi in paesi esportatori. Perché ciò si verifichi è necessario che la loro moneta abbia un valore più basso di quella dei paesi in cui dovrebbero esportare;b. i paesi  da sempre esportatori  non riescono a tenere le precedenti  quote di mercato, e se non vogliono andare al collasso, devono esportare ai  prezzi i più bassi possibili. Per questo motivo non possono far crescere il valore della propria moneta, rispetto a quello della moneta dei paesi destinatari delle loro esportazioni. Per farlo, tengono la propria moneta legata a quella del paese leader fra gli importatori.Al primo gruppo di paesi appartengono gli Stati Uniti d’America e molti altri paesi avanzati, fra cui l’Italia; al secondo, la Cina, in qualche misura la Germania, un po’ la Francia e, in qualche modo alcuni paesi emergenti (Brasile, India cc.). Ma s’intuisce che i rappresentanti emblematici dei due gruppi sono, rispettivamente, Stati Uniti d’America e Cina. 2.La disputa (cosiddetta guerra) fra questi paesi per il momento  è fatta di pressioni sulla Cina perché si convinca a far lievitare il valore del proprio Yuan in maniera da far alzare i prezzi della produzione, con due evidenti conseguenze:a.renderla meno competitiva nei mercati internazionali, con il risultato di un abbassamento delle esportazioni;b.incoraggiare le importazioni dall’estero.Se questo la Cina decidesse, favorirebbe una ripresa del commercio mondiale, a vantaggio di tutti e, in definitiva - con l’accrescimento dei consumi interni - anche di sé stessa.In mancanza di una decisione del genere, si dovrebbe passare ad azioni drastiche.Le zioni drastiche, secondo Martin Wolf, giornalista esperto di cose economiche di fama internazionale, potrebbero essere:a. inasprimento dei tributi all’importazione;b.interventi valutari compensativi, come suggerito da Fred Bergsten sul Financial Times di questa settimana;c. reciprocità di accesso ai rispettivi strumenti finanziari, come suggerito da Daniel Gros del Centre for European Policy Studies di Bruxell.Secondo lui non c’è più tempo da perdere, bisogna agire subito:  col negoziato, o con le azioni drastiche indicate bisogna ottenere dalla Cina una rivalutazione della sua moneta. 3.Su tutto quanto precede ho delle perplessità.Si può discutere sul come affrontare una crisi valutaria, tra l’altro in corso, senza fare alcun riferimento alle tempeste finanziaria ed economica per le quali ancora ci lecchiamo le ferite (risparmi perduti, disoccupazione, disperazione sociale), come se non ne fossero state la causa determinante?Credo di no: se non si parte dalle cause ogni misura per evitare o fare una guerra fra valute è destinata al fallimento.La proposta di inasprimento dei tributi mi sembra contraria allo spirito delle regole del commercio mondiale, per come sono state scritte e sono lette dal WTO. Ma indipendentemente da quest’aspetto, quando si parla di tributi negli scambi commerciali internazionali, dove si colloca il totem della Globalizzazione?Le altre due proposte sembrano più ragionevoli, ma evidentemente la loro natura implica una forte capacità di negoziato.Che, per i momento, manca, o è inadeguata.