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Una parola fuori dal coro


1. Grazie al professor Dani Rodrik dell’Università di Harvard oggi abbiamo letto sul ‘Sole 24 Ore’ un articolo originale e intelligente, sulle vicende economiche che sono all’attenzione internazionale di scienza  e policymakers. Originale perché non ripete le noiose vulgate pro o contro il mercato, pro o contro  la finanza, pro o contro alcune scelte di politica economica. Intelligente perché, da un lato ha il coraggio dell’originalità, da un altro, rappresenta una proposta che non parla ex cattedra. 2. In estrema sintesi  l’economista afferma: - l’economia mondiale è malata,- ciascun paese pensa che la causa sia di qualche altro paese,- tutti, chi più chi  meno, ritengono che la mancanza d'istituzioni e regole globali aggravano la situazione;- nel frattempo si sta innescando, non tanto lentamente, una pericolosa guerra valutaria. Che fare?- I tecnocrati e la maggior parte dei policy makers suggeriscono di ‘cercar conforto in una maggiore governance globale’ (rafforzamento del Fondo Monetario Internazionale, del G20 cc.).- Altri ritengono questa una scelta non convincente, dal momento che in passato il rafforzamento delle regole è stato facilmente aggirato dalle ‘politiche domestiche’, con il semplice giochino: tutto ciò che è vietato non si fa, tutto ciò che non è regolato si può fare (v. Cina, sulle regole del WTO) . E’ meglio frenare in qualche modo l'economia globale - gettando ‘sabbia degli ingranaggi’ dice l’autore -  a costo di sembrare protezionisti.3. L’opzione da privilegiare, per l’autore, è la seconda, sulla base del seguente semplice ragionamento: ‘Gli economisti insegnano le virtù del libero scambio, perché sono vantaggiose per noi e non per altri. Esporre l’economia nazionale ai mercati globali, invece di contenere l’emissioni in casa, ha il proprio tornaconto. Un’economia mondiale fatta di paesi che perseguono i propri interessi nazionali, forse non sarà ultra globalizzata, ma sarà, nell’insieme un’economia aperta’.4. Come dire: se davvero vogliamo essere liberali, diamo a ciascun paese, cioè agli Stati, la possibilità di agire sui mercati come soggetti economici, portatori degli interessi previsti dalle loro regole interne, e accettiamo che sia la politica (internazionale) a determinare ‘l’equilibrio tra prerogative nazionali e regole internazionali ‘ che dovessero occorrere.