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Ripresa ed occupazione


1. Da un po’ di tempo il mondo dell’economia (accademia, policymakers, finanza) mandava messaggi angosciati: la ripresa s’intravede, ma l’occupazione resta al palo; qua e là, addirittura diminuisce. E poiché il fenomemo si verificava in contesti di economia liberale, era considerato anomalo e nessuno provava a spiegarlo.Fra ieri ed oggi ho avuto modo di leggere due interessanti articoli, uno di un professore dell’Univrsità della California ed un altro del professore dell’Università di Chicago. Ad una prima lettura sembravano distanti dalle vulgate correnti. Ad una lettura più attenta, invece, non appaiono significativamente diversi: opposti nel contenuto, denunciano uno certo smarrimento dell’accademia esperta; entrambi, rinunciano ad esprimersi apertamente sul nodo centrale dell’anomalia liberista 'ripresa si, occupazione no'.2. Nel primo articolo si legge.“Una delle intuizioni centrali della macroeconomia è un fatto ben noto  a John Stuart Mill già dal primo terzo del diciannovesimo secolo: ci può essere un scostamento tra domanda e offerta per praticamente tutti i beni e servizi correntemente prodotti (così come fra i tipi di lavoro) se vi è un sufficiente eccesso di domanda per gli assets finanziari. Questa importante verità è causa di gravi problemi.” L’autore, dopo aver chiaramente spiegato il perché, conclude il suo scritto rafforzando la sua convinzione, ma non nascondendo un rammarico. Così: “…gli economisti del diciannovesimo secolo”, egli afferma, “… capirono come il settore finanziario sia all’origine delle depressioni industriali”.  Sembra tuttavia che questo oggi colga di sorpresa “…non soltanto un gran numero di osservatori, ma anche molti decisori politici chiave”. L’altro articolo non è meno impegnato.“L’economia è solo una questione di domanda e offerta.” - è l’inizio -“ Sicuramente esiste una situazione di equilibrio e, in caso contrario, subentrano forze potenti in grado di spingere il mercato verso tale equilibrio. Eppure, visti gli elevati e persistenti livelli di disoccupazione negli Stati Uniti ci si pone una domanda sulla natura del problema: è la domanda aggregata che è troppo bassa, o sussistono problemi di offerta?”.Seguono una serie di argomenti sui determinanti di domanda e offerta, che si concludono come segue. “La lezione per il policymakers è chiara: invece di cercare costantemente di incentivare la spesa e creare potenzialmente problemi per il futuro, sarebbe più logico incoraggiare la crescita occupazionale facilitando la ‘riqualificazione’ dei disoccupati, soprattutto quelli legati al settore edilizio. Alla fine, una migliore offerta di forza lavoro creerà una domanda più florida”. 3. La divergenza dei contenuti dei due scritti è evidente. Il primo, suggerisce di affrontare la disoccupazione, intervenendo sulla composizione della domanda (aggregata) con politiche di deficit-spending;  il secondo, al contrario, d’agire dal lato dell’offerta (di lavoro), qualificandola, di tal ché possa incrociare la moderna domanda.  Entrambi i suggerimenti implicano spese a carico del bilanci degli Stati.Quello che nei due scritti si trascura, o, comunque, non emerge chiaramente, è ciò che ho indicato come nodo centrale di un’anomalia liberista.Che accennerei così.Primo. Le spese a carico dei bilanci degli Stati ci sono state e, a quanto pare, ci saranno ancora.Secondo. Nessuno ha il coraggio di dire apertamente che i fondi provvisti da tali spese sono serviti per rimettere il piedi la speculazione, a tutto danno del credito e degli investimenti.Terzo. Seguendo questa logica, ‘le potenti forze’ che raddrizzano i mercati non agiranno e, quindi, l’occupazione riprenderà solo nei rari momenti in cui la speculazione avrà rendimenti poco convenienti, e nel tempo lungo sarà un problema, come è sempre stato.4. E concludo da uomo della strada: se i soldi non diventano credito e investimento, altro che occupazione e crescita!