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Innovazione creatività e crescita


1. E’ in corso un dibattito sul futuro prossimo che ci attende, relativamente a sviluppo economico e sviluppo sociale e civile più in generale. Avviato in America, è giunto in Italia per merito di alcuni articoli pubblicati sulla stampa specialistica, fra i quali segnalo quello di R. Sorrentino e quello di D. Roveda, apparsi sul ‘Sole 24 Ore’, in ordine, il 17 e il 19 febbraio scorsi.Le tesi, non tanto contrapposte, sono per il momento quelle riconducibili a due signori che hanno già suscitato tanto interesse intorno a loro. Dei quali signori, qualunque cosa si volesse pensare o dire, ciò che sicuramente non si può pensare o dire è che non abbiano idee chiare.Il primo è Tyler Cowen, economista ed animatore del blog ‘The great stagnation’. Egli sostiene che le nuove tecnologie  non hanno indotto l’aumento di produttività che ci si sarebbe aspettato. Per questo, allo stato in cui attuale, non sono la via sicura per la crescita. Se davvero si vuole la crescita, occorrono tecnologie altre, che siano in grado, poi, di sostenere gli effetti nuovi che da essa possono scaturire. Sicché, non è più tempo di pensare alla crescita solo nel suo aspetto dimensionale (aumento della quantità di ciò abbiamo e sappiamo), c’è bisogno, invece, di immaginarla anche e soprattutto come innovazione, perché solo con l’innovazione la crescita sarà anche qualitativa, quella che occorre per misurarci con le nuove sfide che ci attendono.A fronte di simili tesi, ovviamente ci sono già quelle contrapposte, che possono essere così sintetizzate: con le nuove tecnologie e lo sviluppo esponenziale delle stesse abbiamo ciò che ci serve per crescere. Piuttosto quello che manca è una governance adeguata.L’altro, studioso è stato un gestore di hdge fund e si chiama Andy Kessler. Le tesi che sostiene questo signore rafforzano e vanno oltre le convinzioni di Cowen, e sono contenute in un libro da un titolo eloquente: ‘Eat people’ (più o meno: ‘Gente mangiata’); che si possono riassumere come segue. Le nuove tecnologie elimineranno molte figure professionali (fra queste, non solo quelle minori, ma persino medici, avvocati ecc.) e solo un’innovazione creativa offrirà occasioni di lavoro e, quindi, crescita. Cioè: non sarà sufficiente per crescere la sola innovazione, ancorché qualitativamente nuova. Per crescere sarà sempre più necessario essere creativi. Per innovare nella natura del lavoro, dei lavori, nella gestione delle migrazioni geografiche dei fattori produttivi, ecc., dimenticando per sempre le idee che abbiamo avuto in passato su questi temi. Il lavoro che non dovrà più essere fuori di noi, in posti fissi, ma essere parte di noi, per essere speso dove saremo o vorremo essere.2. Come è evidente, le tesi riportate in estrema sintesi, ci conducono direttamente ad un liberalismo perfetto.Sul quale non aggiungo altro a quanto ho già ripetuto in precedenza su questo blog. Per chi volesse averne un’idea, rimando al post n. 74 del 22 agosto 2010.Qui mi limito a fare una sola considerazione.Anche io sono convinto che senza innovazione, o innovazione creativa, difficilmente si creeranno nuovi posti di lavoro. Ma questo vale in una visione del mondo ridotto all’insieme dei paesi sviluppati, dove effettivamente se non ci si inventa giorno per giorno, c’è davvero poco da fare. Perché abbiamo tutto.Per questo penso che, mentre lasciamo lavorare le intelligenze per innovare e creare (magari con qualche sostegno da parte degli stati, cosa che certamente non avviene nel nostro paese, dove la spesa in ricerca e sviluppo è ridotta al minimo simbolico) potremmo impiegare le tecnologie disponibili in luoghi dove mancano persino i beni comuni come l’acqua, senza parlare di quelli di prima necessità, come la corrente elettrica, i medicinali ecc.Non sarebbe questa una via per crescere subito, in attesa che innovazione e creatività facciano il resto?