Stupefatto del mondo mi giunge un'età che tiravo dei pugni nell'aria e piangevo da solo. Ascoltare i discorsi di uomini e donne non sapendo rispondere, è poca allegria. Ma anche questa è passata: non sono più solo e, se non so rispondere, so farne a meno. Ho trovato compagni trovando me stesso. Ho scoperto che, prima di nascere, sono vissuto sempre in uomini saldi, signori di sé, e nessuno sapeva rispondere e tutti eran calmi. Due cognati hanno aperto un negozio - la prima fortuna della nostra famiglia - e l'estraneo era serio, calcolante, spietato, meschino: una donna. L'altro, il nostro, in negozio leggeva romanzi - in paese era molto - e i clienti che entravano si sentivan rispondere a brevi parole che lo zucchero no, che il solfato neppure, che era tutto esaurito. È accaduto più tardi che quest'ultimo ha dato una mano al cognato fallito. A pensar questa gente mi sento più forte che a guardare lo specchio gonfiando le spalle e atteggiando le labbra a un sorriso solenne. È vissuto un mio nonno, remoto nei tempi, che si fece truffare da un suo contadino e allora zappò lui le vigne - d'estate - per vedere un lavoro ben fatto. Così sono sempre vissuto e ho sempre tenuto una faccia sicura e pagato di mano. E le donne non contano nella famiglia. Voglio dire, le donne da noi stanno in casa e ci mettono al mondo e non dicono nulla e non contano nulla e non le ricordiamo. Ogni donna c'infonde nel sangue qualcosa di nuovo, ma s'annullano tutte nell'opera e noi, rinnovati così, siamo i soli a durare. Siamo pieni di vizi, di ticchi e di orrori;noi, gli uomini, i padri -; qualcuno si è ucciso, ma una sola vergogna non ci ha mai toccato, non saremo mai donne, mai ombre a nessuno. Ho trovato una terra trovando i compagni, una terra cattiva, dov'è un privilegio non far nulla, pensando al futuro. Perché il solo lavoro non basta a me e ai miei; noi sappiamo schiantarci, ma il sogno più grande dei miei padri fu sempre un far nulla da bravi. Siamo nati per girovagare su quelle colline, senza donne, e le mani tenercele dietro la schiena. Cesare Pavese
Antenati
Stupefatto del mondo mi giunge un'età che tiravo dei pugni nell'aria e piangevo da solo. Ascoltare i discorsi di uomini e donne non sapendo rispondere, è poca allegria. Ma anche questa è passata: non sono più solo e, se non so rispondere, so farne a meno. Ho trovato compagni trovando me stesso. Ho scoperto che, prima di nascere, sono vissuto sempre in uomini saldi, signori di sé, e nessuno sapeva rispondere e tutti eran calmi. Due cognati hanno aperto un negozio - la prima fortuna della nostra famiglia - e l'estraneo era serio, calcolante, spietato, meschino: una donna. L'altro, il nostro, in negozio leggeva romanzi - in paese era molto - e i clienti che entravano si sentivan rispondere a brevi parole che lo zucchero no, che il solfato neppure, che era tutto esaurito. È accaduto più tardi che quest'ultimo ha dato una mano al cognato fallito. A pensar questa gente mi sento più forte che a guardare lo specchio gonfiando le spalle e atteggiando le labbra a un sorriso solenne. È vissuto un mio nonno, remoto nei tempi, che si fece truffare da un suo contadino e allora zappò lui le vigne - d'estate - per vedere un lavoro ben fatto. Così sono sempre vissuto e ho sempre tenuto una faccia sicura e pagato di mano. E le donne non contano nella famiglia. Voglio dire, le donne da noi stanno in casa e ci mettono al mondo e non dicono nulla e non contano nulla e non le ricordiamo. Ogni donna c'infonde nel sangue qualcosa di nuovo, ma s'annullano tutte nell'opera e noi, rinnovati così, siamo i soli a durare. Siamo pieni di vizi, di ticchi e di orrori;noi, gli uomini, i padri -; qualcuno si è ucciso, ma una sola vergogna non ci ha mai toccato, non saremo mai donne, mai ombre a nessuno. Ho trovato una terra trovando i compagni, una terra cattiva, dov'è un privilegio non far nulla, pensando al futuro. Perché il solo lavoro non basta a me e ai miei; noi sappiamo schiantarci, ma il sogno più grande dei miei padri fu sempre un far nulla da bravi. Siamo nati per girovagare su quelle colline, senza donne, e le mani tenercele dietro la schiena. Cesare Pavese