Ripeness is all

Pavese


Il ragazzo che era in me Va' a sapere perché fossi là quella sera nei prati. Forse mi ero lasciato cadere stremato di sole, e fingevo l'indiano ferito. Il ragazzo a queí tempiscollinava da solo cercando bisonti e tirava le frecce dipinte e vibrava la lancia. Quella sera ero tutto tatuato a colori di guerra. Ora, l'aria era fresca e la medica pure vellutata profonda, spruzzata dei fiori rossogrigi e le nuvole e il cielo s'accendevano in mezzo agli steli. Il ragazzo riverso che alla villa sentiva lodarlo, fissava quel cielo. Ma il tramonto stordiva. Era meglio socchiudere gli occhi e godere l'abbraccio dell'erba. Avvolgeva come acqua. Ad un tratto mi giunse una voce arrochita dal sole: il padrone del prato, un nemico di casa, che fermato a vedere la pozza dov'ero sommerso mi conobbe per quel della villa e mi disse irritatodi guastar roba mia, che potevo, e lavarmi la faccia. Saltai mezzo dall'erba. E rimasi, poggiato le mani, a fissare tremando quel volto offuscato. Oh la bella occasione di dare una freccia nel petto di un uomo! Se il ragazzo non ebbe il coraggio, m'illudo a pensare che sia stato per l'aria di duro comando che aveva quell'uomo. lo che anche oggi mi illudo di agire impassibile e saldo me ne andai quella sera in silenzio e stringevo le frecce borbottando, gridando parole d'eroe moribondo. Forse fu avvilimento dinanzi allo sguardo pesante di chi avrebbe potuto picchiarmi. O piuttosto vergognacome quando si passa ridendo dinanzi a un facchino. Ma ho il terrore che fosse paura. Fuggire, fuggii. E, la notte, le lacrime e i morsi al guanciale mi lasciarono in bocca sapore di sangue. L'uomo è morto. La medica è stata diverta, erpicata ma mi vedo chiarissimo il prato dinanzi e, curioso, cammino e mi parlo, impassibile come l'uomo alto e cotto dal sole parlò quella sera.