Ripeness is allun paese ci vuole per non essere soli (Cesare Pavese) |
CONTATTA L'AUTORE
Nickname: snoopy68
|
|
Sesso: M Età: 75 Prov: SV |
AREA PERSONALE
CERCA IN QUESTO BLOG
SITI E BLOG...
MENU
I MIEI BLOG AMICI
- antonia nella notte
- UNA PARTE DI ME
- TERRA
- formidabili i 70
- Pensieri in libertà
- starman2006
- VOMIWORLD
- occhipersonetendenze
- Pensieri
- Atuttotondo..
- Parole in cammino
- dagherrotipi
- Albarossa
- AIDS e dintorni
- Tra le mie parole...
- Betty Elena Marlene
- hunkapi
- LAVOROeSALUTEnews
- Sicurezza sul lavoro
- Religioni, Filosofie
- GUARDA FUORI...
- kora69
- RossoTrevi
- RadioBlogAustralia
- PETRONIUS ARBITER
ULTIMI COMMENTI
CHI PUÒ SCRIVERE SUL BLOG
Post n°1302 pubblicato il 06 Giugno 2009 da snoopy68
La sera del 7 giugno 1984 Enrico Berlinguer, nel corso di un discorso elettorale a Padova, fu colpito dal malore che lo avrebbe stroncato quattro giorni dopo. Dalla morte di Enrico iniziò lentamente la crisi del PCI che l'avrebbe portato alla sua scomparsa. Chi era un militante comunista in quegli anni ricorda ancora lo sgomento ed il dolore che fecero seguito a quella morte e il presagio negativo che niente sarebbe stato più come prima...
|
Post n°1301 pubblicato il 06 Giugno 2009 da snoopy68
Non chiederci la parola
|
Post n°1300 pubblicato il 06 Giugno 2009 da snoopy68
|
Post n°1299 pubblicato il 02 Giugno 2009 da snoopy68
|
Post n°1298 pubblicato il 02 Giugno 2009 da snoopy68
Ho rivisto "Il partigiano Johnny", il film tratto dal bellissimo e complesso romanzo di Beppe Fenoglio, con Stefano Dionisi. Era francamente impossibile rendere cinematograficamente la narrazione dello scrittore di Alba e per questo il regista Guido Chiesa ha anche attinto dall'altro bel romanzo resistenziale di Fenoglio, "Una questione privata", il risultato è un film sicuramente interessante ma molto lento, nonostante la bravura degli attori e l'ambientazione originale sulle Langhe.. Un film comunque da vedere... |
Post n°1297 pubblicato il 01 Giugno 2009 da snoopy68
2 giugno 1946 la seconda liberazione Il primo voto libero dopo la cacciata del fascismo Alla fine di maggio del 1946 c'erano ancora dappertutto case squarciate dai bombardamenti, gente ammucchiata in precari alloggi di coabitazione, famiglie in attesa degli ultimi militari prigionieri, campi inglesi e americani con la loro corte di piccoli traffici e malavita spicciola. I fascisti, prudentemente, stavano in ombra e in silenzio, i partigiani si preparavano ai compiti nuovi della pace: ricostruire case e fabbriche, aiutare la gente più colpita, dare un senso nuovo a un paese uscito da vent'anni di dittatura e da una guerra che aveva coinvolto, per la prima volta, i civili quanto gli eserciti. Gli italiani imparavano la politica negli antri perennemente fumosi e affollati che ospitavano le sezioni del Pci e nelle parrocchie ingombre di derrate alimentari e vestiti smessi arrivati dagli Stati Uniti e distribuiti con oculatezza ai poveri non sospetti di simpatie comuniste. Le prime elezioni libere e la campagna elettoraleLa campagna elettorale - che abbinava il voto per l'assemblea costituente al referendum monarchia/repubblica - si faceva nelle strade, nelle piazze, nei mercati, nelle case chiedendo consiglio ai più anziani che avevano vissuto nell'Italia prefascista e nei paesi del loro esilio ma soprattutto inventando modi e luoghi. I simboli e gli slogan attaccati ai muri, i comizi - tutti gremiti - erano l'aspetto più vistoso e nuovo ma la propaganda vera era quella di migliaia di attivisti che giravano casa per casa e creavano momenti di discussione al mercato, in piazza, nei bar, i più preparati organizzando vere e proprie sceneggiate con pro e contro, spesso così realistiche da far rischiare le botte al compagno che si prestava al ruolo di monarchico. Scontri reali e cruenti erano invece all'ordine del giorno nel mezzogiorno d'Italia dove il partito monarchico era forte, organizzato e raccoglieva consensi anche in strati popolari e sottoproletari alternando la corruzione dei pacchi di pasta e delle scarpe nuove a vere e proprie aggressioni, come nella Napoli di Achille Lauro. La campagna per la repubblica non era semplice. La guerra di liberazione aveva visto combattere insieme i comunisti delle brigate Garibaldi, gli azionisti di giustizia e libertà, il fronte militare di fede monarchica, tutti rappresentati nel Cln e in contatto con gli alleati e con il governo Badoglio; la democrazia cristiana aveva deciso di lasciare "libertà di coscienza" ai suoi elettori. Ricordo una coppia di contadini toscani decisi a votare Pci e Monarchia perché «quel povero principino è un bimbo, non si può cacciarlo via». I loro figli, partigiani comunisti, furibondi e sfiniti dalle discussioni chiesero aiuto al partito per convincerli. Ci riuscì a fatica il compagno Remo Scappini, forte per età e prestigio. I protagonisti furono i giovaniMa i principali protagonisti della campagna elettorale furono i giovani, la presenza più visibile nelle manifestazioni con cartelli fatti a mano, bellissimi con caricature, fotomontaggi, scritte fantasiose, bandiere, canzoni. Erano loro ad affiggere i manifesti con la colla casalinga, acqua e farina cucinate dal madri compiacenti, a fare le scritte di vernice rossa o inchiostro da stampa, se c'era qualche tipografia amica. Erano loro a distribuire volantini, a animare i dibattiti di strada e a insegnare a votare. Alla generazione che non aveva mai esercitato il diritto di voto si aggiungevano gli anziani che lo avevano dimenticato, molti dei quali analfabeti, e infine le donne. Per la prima volta c'erano donne in lista, per la prima volta, fra dubbi, perplessità, sfiducia di molti progressisti, tutte le donne italiane andavano a votare e a loro si poneva, oltre al problema dell'orientamento politico, quello dell'esercizio materiale del voto. Furono proprio ragazzi e ragazze a studiare i regolamenti e a spiegare ai coetanei e ai più anziani, cominciando dalla propria famiglia, «come si vota». C'erano gli antifascisti riottosi che insistevano per firmare la scheda «perché io non ho paura di nessuno», repubblicani decisi a cancellare con una croce il simbolo degli odiati Savoia e soprattutto uomini e donne che temevano di sbagliare, di confondersi, di farsi vincere dall'emozione e chiedevano di portarsi nella cabina un congiunto o un compagno più preparato. Quanta pazienza, quanto fiato, quanti pacchi di facsimili di scheda! E per molti amarezza di non poter votare. Ragazzi di 19-20 anni appena scesi dalle montagne dove avevano combattuto, comandato formazioni partigiane, subito carcere e tortura, ragazze che avevano rischiato la vita ogni giorno portando armi, viveri e ordini nelle borse della spesa, arrancando in bicicletta fra un posto di blocco tedesco e un ponte crollato, non accettavano facilmente di non essere considerati idonei ad una operazione semplice e non rischiosa come il voto, di non essere chiamati a decidere sulla sorte del paese che avevano liberato. Ma si votava a 21 anni compiuti, bisognava rassegnarsi a insegnare agli altri a votare. E a spiegare che il re Vittorio Emanuele aveva aperto le porte al fascismo, l'aveva sostenuto e alla fine era scappato insieme a suo figlio Umberto, lasciando l'Italia in balia dei tedeschi. Che bisognava fare una repubblica democratica, con un presidente eletto. Ognuno si sbizzarriva in esempi e citazioni da Garibaldi a Lenin, dalla repubblica romana a quella dei soviet a quella partigiana dell'Ossola della quale si aveva appena avuto notizia. La Repubblica ha vintoArrivò così il 2 giugno e gli entusiasmi si smorzarono in diffuso timore: come avrebbero votato i vecchi? E le donne ritenute dal diffuso maschilismo dell'epoca succubi di scrupoli religiosi o pietistici? Come avrebbe votato il sud? E i carabinieri? Si presidiarono i seggi tutta la notte per paura dei brogli dai quali qualcuno aveva messo in guardia. I risultati tardavano alimentando i peggiori sospetti. Poi il comunicato liberatore: la repubblica ha vinto. Fu come una seconda liberazione: mentre i rotocalchi preparavano i servizi fotografici di Umberto in borghese col solito fatuo sorriso sulla scaletta dell'aereo che ce lo avrebbe alla fine portato via, giovani e anziani, elettori e non invasero le strade cantando, gridando, abbracciandosi, sventolando, insieme a tante bandiere rosse, il tricolore con un gran buco in mezzo al bianco, dove era stato lo stemma sabaudo. Bianca Bracci Torsi Roma, 2 giugno 2002 da "Liberazione" |
Post n°1296 pubblicato il 30 Maggio 2009 da snoopy68
Comunicato Stampa |
Post n°1295 pubblicato il 29 Maggio 2009 da snoopy68
|
Post n°1294 pubblicato il 29 Maggio 2009 da snoopy68
L'Einaudi censura il premio Nobel Samarago di: Antonio Rispoli Il poeta Josè Samarago, premio Nobel per la letteratura nel 1998, non pubblichera la sua ultima opera "O caderno" ("Il quaderno" in portoghese, ndr) con la società editrice Einaudi. Questo perchè Samarago osa giudicare in maniera negativa il Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, che è il proprietario della casa editrice, e il popolo italiano che l'ha eletto. Infatti usa frasi come "Nella terra della mafia e della camorra che importanza può avere il fatto provato che il primo ministro sia un delinquente?". In un altro punto definisce Berlusconi addirittura un "capo mafioso". Di conseguenza nulla di questo verrà edito in Italia. Intervistato da un giornalista del Corriere della Sera, via e-mail (Samarago ha 87 anni e vive alle Canarie), lo scrittore ha confermato la notizia, dicendo che i giudizi che lui esprime sono duri, ma sono basati sulle cronache giornalistiche provenienti dall'Italia e dal resto del mondo, commentando: "La verità è che quella che si è creata potrebbe essere definita una situazione pittoresca se il fatto che un politico accumuli tanto potere non facesse temere per la qualità della democrazia". E quando il giornalista gli fa notare che l'ha paragonato ad un capo mafioso, il premio Nobel gli fa notare: "Davvero le sembra esagerato? È sicuro? Almeno mi concederà che ha una mentalità mafiosa". E sulla censura da lui subita: "Ho conosciuto la censura durante la dittatura portoghese, l’ho sofferta e combattuta e nessuno in una situazione di apparente normalità democratica mi potrebbe chiedere di amputare una mia opera". Insomma, sappiamo farci conoscere, se da noi c'è meno libertà che in Portogallo sotto la dittatuta di Salazar. RICORDO CHE L'EINAUDI PRE BERLUSCONI E' STATA LA CASA EDITRICE DI PAVESE, FENOGLIO, PRIMO LEVI, NUTO REVELLI, ITALO CALVINO...E MOLTISSIMI ALTRI SCRITTORI ITALIANI E STRANIERI DI ALTISSIMO LIVELLO... |
Inviato da: CoachFactory
il 20/12/2011 alle 08:42
Inviato da: CoachFactory
il 20/12/2011 alle 08:19
Inviato da: Alexwilliams
il 12/02/2010 alle 13:51
Inviato da: snoopy68
il 14/09/2009 alle 17:10
Inviato da: proviamocidgl0
il 14/09/2009 alle 16:57