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Rivista di approfondimento culturale e politico dell'Associazione SocialismoeSinistra
 

 

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Post N° 66

Post n°66 pubblicato il 26 Gennaio 2009 da socialismoesinistra

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Legge Biagi: aut aut, applicazione integrale secondo modelli europei o abolizione immediata.

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Oggi la questione di una vera sinistra che manca in Italia non può che ripartire da un argomento molto serio: il lavoro e come esso debba essere creato, mantenuto ed innovato. L'Italia si trova a dover affrontare, nel contingente, una crisi sociale senza precedenti, perché se quella internazionale è destinata ad aggravarsi, il rischio è che le già deboli strutture di contenimento del crescente disagio sociale, che già si sono rese abbondantemente più fragili e precarie, saltino del tutto.

 

La legge Biagi nacque in parte per dare una risposta efficace alle sfide della globalizzazione, considerando che la flessibilità nel mercato del lavoro poteva essere un'opportunità per rendere più competitivo un intero sistema economico già molto in affanno.

Soprattutto a causa di un enorme debito pubblico, aumentato scelleratamente anche perché il sistema politico ha sempre deciso di privilegiare la sua crescita a danno di quella del debito del settore privato, e naturalmente questo ha sempre dato al settore privato in Italia ampi margini per politiche tese alla capitalizzazione dei profitti e per manovre speculative.

In questi frangenti, dunque, la precarizzazione è solo servita a contenere perdite e a capitalizzare gli investimenti speculativi, soprattutto in settori finanziari e commerciali.

 

La legge Biagi, ricordiamolo bene, conteneva una precisa indicazione riguardante gli ammortizzatori sociali e la possibilità di riqualificazione del lavoratore, attraverso una sua opportuna formazione professionale o un suo aggiornamento specifico.

 

Evidentemente la realizzazione di un mercato del lavoro che sia flessibile al punto da consentire un aggiornamento del lavoratore e una sua riqualificazione, oltre che un suo rientro nel meccanismo produttivo, è la discriminante tra le vere opportunità di crescita e la schiavitù salariale, accompagnata dalla precarizzazione del senso stesso della vita dell'individuo, fino alla marginalizzazione

della sua dignità di essere umano.

 

Ebbene, sappiamo con molta chiarezza che né i governi guidati dal centrodestra e nemmeno quelli guidati dal centrosinistra sono stati in grado o hanno voluto affrontare questa questione specifica fondamentale per rendere utile ed applicabile la stessa legge Biagi.

Già da vari anni gli indicatori mostrano inequivocabilmente le cifre del suo fallimento, e in particolare dal 2005, un anno prima che il centrosinistra tornasse al governo.

 

Di fatto la legge era già stata allora applicata poco, il 48% dei chiamati in causa nel merito di tale norma, dichiarò infatti la necessità di soggetti esterni per poterla mettere in atto.

Le forme contrattuali più utilizzate, sempre secondo le stime delle associazioni sindacali, erano il lavoro interinale, da adottare nel 79% dei casi nei futuri 12 mesi, e il lavoro a progetto, utilizzato nell'85% dei casi nell'anno precedente. Tra i contratti in ascesa, vi era lo staff leasing, o contratto di somministrazione, utilizzato dal 17% delle aziende; mentre il job-sharing e il lavoro a chiamata o job on call non riscuotevano già allora il favore dei dirigenti, poiché solo un esiguo 1,5% dichiarava di voler adottare il primo e il 12% il secondo. Anche L'Euripses dimostrò che già dal biennio 2002 2003 l'occupazione creatasi si rivelò precaria e funzionale ad un sistema produttivo basato per metà su lavoratori atipici, senza sostegni previdenziali, creditizi e professionali.

 

La situazione quindi già nel 2006, anno dell'insediamento di Prodi, avrebbe dovuto essere affrontata con molta decisione, agendo in particolare sull'applicazione degli articoli che prevedevano ammortizzatori sociali per un' opportuna riqualificazione del lavoratore, come già allora faceva notare anche la CISL per bocca di Pezzotta, il quale invitava a non abolire la legge ma ad applicarla nella sua integrità.

Fatto sta che sono poi passati ben due anni e la questione principe non è stata per niente affrontata, a causa dei veti incrociati in un governo che aveva dentro tutto e il contrario di tutto, e che stava in piedi solo per il rotto della cuffia.

Governi così, che non hanno affrontato con decisione né risolto tempestivamente delle vere e proprie emergenze e priorità di tipo economico e sociale, è meglio che non nascano, perché non hanno una solida base programmatica su cui fondarsi e reggere

all'impatto con i problemi e con il giudizio dell'opinione pubblica.

La prova è stata lampante, quel governo è caduto miseramente dopo circa due anni, vittima della sua inerzia e delle sue contraddizioni, e il prezzo che la sinistra ha pagato, per non essersi  voluta smarcare in tempo da una politica che non ha affrontato responsabilmente le fondamentali questioni del lavoro, è stato pesantissimo, e cioè l'esclusione dalla rappresentanza parlamentare.

Il governo di centrodestra, d'altra parte, appena si è insediato non ha certo brillato per iniziativa in tale senso, e nulla di sostanziale pare voler fare sul fronte della riconversione e riqualificazione del lavoratore, né su quello degli ammortizzatori sociali, concede anzi una lunghissima cassa integrazione solo a certe categorie, che per altro rifiutano di riqualificarsi nello stesso settore di provenienza come nel caso Alitalia.

 

Come sostiene Ichino: «La direzione in cui vogliamo muoverci è quella della migliore flexicurity europea, per conciliare e adattare strutture produttive con il massimo possibile della sicurezza e del benessere economico delle persone. Che non sempre si possono costruire su un singolo posto di lavoro, bensì su un mercato del lavoro efficiente e con sostegni ai lavoratori in mobilità o in attesa di una nuova occupazione».

Quali sono dunque i casi europei da cui si può prendere esempio?

Quello francese, che prevede l'introduzione graduale di forme di protezione dell'impiego, mediante una indennità di licenziamento, che dovrebbe aumentare gradualmente, in maniera parallela alla sua permanenza in un'impresa. Tutto questo però dovrebbe avvenire con un contratto a tempo indeterminato, uguale per tutti e a prescindere dalletà del lavoratore. Nello stesso tempo, la durata massima dei contratti a tempo determinato dovrebbe ridursi al massimo a dieci-dodici mesi.

Naturalmente, in  questo caso, si tratta di scommettere se i giovani lavoratori accetteranno un percorso verso la stabilità a partire da un contratto che, solo in linea teorica, non presenta limiti di durata.

Oppure quello danese detto anche della "flexsecurity", che unisce la flessibilità economica alla sicurezza sociale. In Danimarca un impiego dura in media pochi anni, e ogni danese cambia varie volte datore di lavoro nel corso della sua vita lavorativa.

Gli imprenditori sono molto liberi di licenziare, però il lavoratore licenziato, dal primo giorno di disoccupazione, percepisce un assegno da parte dello Stato pari all'80-90% del suo stipendio per quattro anni. E un modello sociale che privilegia la persona rispetto al posto di lavoro, e che investe fortemente sulla formazione dei lavoratori per indirizzarli verso nuovi settori. E' un modello che costa parecchio e che non è vero che l'Italia non potrebbe permettersi, lo potrebbe solo se sapesse recuperare pienamente l'evasione fiscale, perché, ricordiamolo bene, questa equivale a ben 5 corpose finanziarie ogni anno.

 

Comunque si voglia procedere, alcuni dati sono evidenti.

Non si può restare fermi ad un modello che umilia il lavoratore portandolo alla schiavitù salariale e mortificando la sua dignità di essere umano, oltre che esporlo ad una vecchiaia di miseria ed emarginazione. La legge Biagi deve essere profondamente riformata nei suoi meccanismi applicativi, seguendo le grandi linee già in atto nei paesi europei più avanzati.

Nel caso in cui tale azione tempestiva non verrà messa in atto, ma continuamente procrastinata a tempo indeterminato, sarà più opportuno promuovere, come ultima ratio, un referendum per abolirla, qualora le forze politiche non possano prendere  in considerazione tale eventualità. Perché, non nascondiamocelo, oggi proliferano gli squali che mordono i lavoratore, capitalizzano sul suo sfruttamento e poi scappano allestero, i sindacati lo sanno bene, dato che in questo periodo sono oberati di cause e di denunce alle autorità di finanza per poter almeno tamponare tale prassi criminale.

 

Le forze della sinistra democratica che vogliono unirsi e ripresentarsi in Parlamento, con un progetto efficace e duraturo, per raccogliere consensi crescenti da un'opinione pubblica sempre più afflitta e disorientata e colpita nei suoi bisogni primari, devono elaborare una piattaforma comune in tal senso: profonda riforma della legge Biagi, su base europea o mobilitazione di massa per la sua abolizione.

I sindacati che maggiormente sentono di rappresentare le istanze della sinistra non devono indulgere nella tentazione di autocrogiolarsi in una opposizione sterile ed autoreferenziale, non mirata ad incalzare le forze di governo su questioni vitali. E debbono altresì trovare un modo di reagire duramente ad ogni tentativo di dividere il fronte sindacale per poter meglio imporre una linea che, di fatto, riduce progressivamente i diritti dei lavoratori, imponendo loro la necessità dello status quo, come se ad esso non vi fosse alcuna alternativa. E che è aggravata dalle incoerenze e dalle menzogne governative, le quali portano prima a promettere gli sgravi fiscali sul lavoro straordinario e poi a smentire il tutto, consentendo alle aziende di abolire gli straordinari per imporre al lavoratore solo dei recuperi.

Invece l'alternativa va trovata ristrutturando l'apparato produttivo e quello pubblico con l'intento di valorizzare le professionalità, e senza per questo mettere in atto una politica repressiva e punitiva che spara nel mucchio, riducendo a tutti diritti fondamentali, con il misero intento di colpire le "mosche fannullone" con un fucile a pallettoni, che fa più danno che altro.

 

Pertanto, o la legge Biagi trova per la sua integrale applicazione una convergenza di forze politiche e sindacali, tese a reperire le risorse essenziali per la concretizzazione a vantaggio del merito e della professionalità del lavoratore, per inserirla e riconvertirla, senza limiti di età, solo in base alla capacità del lavoratore stesso di autopromuoversi con uno sforzo di autoformazione permanente, oppure va abrogata senza se e senza ma.

 

Perché applicare solo la parte che costringe i lavoratori ad una sudditanza a tempo indeterminato di precarietà e licenziamenti, vuole dire truffarli della loro stessa dignità di persone umane.

E tutte le forze che ambiscono ad essere concretamente di sinistra non devono trascurare che in questo aut aut, si gioca l'intera civiltà di un popolo, la sua stessa identità culturale, non solo un'alternativa politica o la loro credibilità.

Da qui si deve ripartire per unirsi, insorgere e risorgere, per dirla come i fratelli Rosselli, a beneficio della stessa civiltà di un intero Paese, e per il pieno rispetto del primo articolo della Costituzione Italiana.

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Prof.  Carlo Felici

 
 
 
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