Socialismo

Nasce il popolo della libertà


Alcune considerazioni in fatto di egemonia culturaleVorrei fare alcune riflessioni, sostanzialmente una riflessione, sulla nascita del “Partito degli italiani”; vorrei tenermi lontano dal rigetto viscerale che ho per questo partito e vorrei sforzarmi di pormi come osservatore esterno ed obiettivo. Ciò servirà forse a delineare una analisi che possa suggerire proposte per combattere una battaglia con speranze di vittoria.Ciò che più preoccupa nella nascita di questo partito è l’idea di democrazia di cui questo partito è portatore. L’idea di democrazia è in ogni atto, parola, discorso del Cavaliere, ma può essere perfettamente sintetizzato dalla conferenza stampa che il Cavaliere rilasciò dopo che il Presidente Napolitano gli preannunciò la non sottoscrizione del decreto Englaro.In quella conferenza stampa il Cavaliere disse che l’efficienza del suo modello di governance era: decreti legge, voto di fiducia, rimuovere ostacoli istituzionali al suo agire (minacciò Napoletano che se non avesse firmato avrebbe chiamato il popolo a cambiare la Costituzione). Il modello è quindi un presidenzialismo senza contrappesi, un colloquio diretto con il popolo (il “genere” direbbe Kierkegaard) by-passando quel votificio del Parlamento, e riducendo la magistratura ad applicatore della legge senza interpretazioni. (Alcune correnti della magistratura ritengono che la legge ordinaria non è più una russoviana legge della volontà generale, ma è una legge di una parte, per cui il giudice deve sottomettersi alla sola costituzione ed interpretare le leggi alla luce di quella).Il modello presidenziale di Fini, ad esempio è molto più “liberale” ed istituzionale, tale da dover essere appoggiato ( vedi Sansonetti sul Riformista) da chi ha a cuore un futuro respirabile per il Paese.Nel modello Berlusconiano mancano i contrappesi, osserva Stefano Folli che per Berlusconi l’opposizione non è la sinistra (che non piace più) ma sono le istituzioni che si mettono di traverso al suo disegno di governance. Netto è il suo rifiuto dei contrappesi, unica condizione per avere un premierato che conti di più (come in effetti serve che conti di più). Nel modello Berlusconiano l’idea “innata” che il Cavaliere persegue dal 1994 sta in una frase che si lasciò sfuggire (sfuggire?) ovvero “voglio sapere chi comanda in Italia”. La categoria “comandare” versus la categoria “governare” racchiude in sé la vera natura del modello di governance Berlusconiano.Ma da questa riflessione che non ha nulla di nuovo rispetto al comune sentire a sinistra, vorrei fare un salto ulteriore ad un più alto livello di analisi.Nella mia formazione politica il pensiero di Gramsci ha un peso notevole. Il concetto che il potere si conquista con il consenso ed il consenso si conquista con l’egemonia culturale è padre della strategia politica gramsciana da cui deriva il partito come intellettuale collettivo, l’intellettuale organico, la creazione di un senso comune che egemonizzi ogni uomo che è filosofo in tutti quei momenti in cui è chiamato a scegliere o decidere o soltanto a vivere.Le figure egemoniche del mondo gramsiano: il parroco il cui senso religioso era senso comune egemonizzante; il notaio la cui superiorità aristocratica era senso comune per il proletario subalterno; il dottore, l’avvocato etc. Il nuovo intellettuale gramsciano non poteva essere il singolo operaio, il singolo contadino se non attraverso l’intellettuale collettivo rappresentato dal partito, novello “Principe”.Ebbene se applichiamo quelle categorie al giorno d’oggi dobbiamo rilevare che il berlusconismo è diventato l’intellettuale organico che egemonizza il senso comune della “gente”. I responsabili di AN prima del congresso di scioglimento assicuravano che non c’è, nel popolo della libertà, un “pensiero unico”. Ma a piazza S.Giovanni c’era palpabile il pensiero unico; attenzione non imposto dal “duce” di turno ma introitato, assimilato, metabolizzato da gran parte della gente. Quindi un pensiero unico non imposto ma frutto di una egemonia; l’egemonia dell’era berlusconiana. Ma tale egemonia non ha conquistato solo il popolo di destra, come una vera egemonia è penetrata nel pensiero della sinistra, come un virus si infilato nei neuro trasmettitori, nell’RNA e trasporta il suo messaggio di soggetto in soggetto.Vorrei fare un esempio; ritenere che quando la finanza impazza per colpa di qualche post-reganiano l’economia crolli e i lavoratori siano licenziati sia una cosa “naturale” è evidente dimostrazione che nel senso comune questo meccanismo causale sia ineluttabile. La “naturalità” dei fenomeni economici è sempre stato un mito che Marx si è preposto di abbattere. Ebbene Marx ha perso! Il licenziare l’innocente e correre in soccorso del colpevole è diventato senso comune, perché si ritiene che tali processi siano “naturali”, “ineluttabili”, “senza alternativa”, figli del “fato”.Ma i fatti economici sono figli dei rapporti sociali, dello scontro di classe, della dialettica degli interessi e non del sincretismo veltroniano.E’ dunque sul piano culturale che la sinistra ha perso; nel dopoguerra la cultura era patrimonio del P.C.I.; quarant’anni fa durante il ’68 vigeva un’altra egemonia ma era egemonia di sinistra. Oggi gli intellettuali tacciono; si mimetizzano, si omologano e corrono in soccorso al vincitore.Se vogliamo vincere è di lì che dobbiamo partire, ed io torno ad oliare il mio fucile ideologico resistenziale.  Renato Gatti