Socialismo

Buon primo maggio


  Olaf Cramme direttore del think tank Policy Network presieduto da Peter Mandelson analizza le ragioni per cui come risposta alla crisi che ha colpito il capitalismo finanziario, non si riscontra un automatico ritorno al consenso a sinistra.Le ragioni indicate da Cramme sono fondamentalmente lo scetticismo che le soluzioni socialdemocratiche, percepite come “politiche grigie e statiche” possano essere la via d’uscita dalla crisi che stiamo attraversando. I cittadini “non credono cioè che semplici logiche di redistribuzione consentano di superare quella delicata impasse che fa loro dire: i miei figli avranno una vita peggiore della mia. Si deve spostare l’accento dal concetto fermo, inflessibile, punitivo di semplice redistribuzione a quello evolutivo di lotta alla disuguaglianza”“Le forze di stampo socialdemocratico sono brave a distribuire la torta, ma incerte nel cuocerla. L’iniziativa politica si riconquista solo inventandosi uno slogan capace di declinare uguaglianza sociale e prosperità crescente. Molti elettori poi  sono insoddisfatti dei sevizi prestati dallo stato e cercano alternative private; in Inghilterra il fenomeno è macroscopico; i cittadini vogliono qualità nel servizio pubblico. Il centro sinistra saprà rispondere a questa domanda o si arroccherà al dogma statalista? In ultima analisi si tratta di mettere in discussione il credo socialdemocratico sulla capacità di azione della mano pubblica. Non basta più dire lo Stato è la risposta al fallimento del mercato:  anche in questa epoca che vede il mercato fallire e lo Stato recuperarlo”. Se un analista laburista vede la socialdemocrazia come un incapace progetto statalista, grigio e ferma sui suoi dogmi punitivi, incapace di prospettare un futuro di sviluppo, vuol dire che siamo percepiti molto male o che forse non siamo abbastanza chiari nelle nostre indicazioni.E’ vero che abbiamo individuato nella mala-redistribuzione una delle cause di economia reale (as opposed alla economia di carta) che per anni ha depresso la crescita del PIL. Ma questa accusa alla mala-redistribuzione non è  la sessantottina richiesta di una eguaglianza dei punti di arrivo, ma è la denuncia di una contraddizione del modello di sviluppo capitalista per cui a bassi salari corrispondono bassi consumi a scapito quindi di una crescita ritenuta irrinunciabile dalla logica del profitto. Noi sosteniamo che la concorrenza mondiale nei tempi della globalizzazione non si combatte sul basso costo della mano d’opera (responsabile poi dei bassi consumi interni) ma si combatte sul fronte dell’aumento del contenuto tecnologico e scientifico dei nostri prodotti e processi di produzione, sullo sviluppo di rapporti di lavoro che premino la produttività; sul ruolo dello stato, non come gestore diretto di imprese o servizi, ma come elaboratore di politiche industriali strategiche, proprio perché siamo convinti dei limiti del mercato e soprattutto dei limiti culturali della stragrande parte della classe dirigente imprenditoriale (fatta eccezione per quel migliaio di imprese eccellenti). La limitatezza culturale della classe imprenditoriale è figlia legittima dell’inesistente mobilità sociale.Nella Repubblica Platone ricordava che ci sono cittadini d’oro, d’argento e di bronzo. Guai a quel paese governato da uomini di bronzo solo perché figli di uomini d’oro. Nel nostro paese, vecchio e maleodorante, la mancanza di mobilità sociale porta ad una classe dirigente fatta di uomini di bronzo con il solo merito di essere figli di uomini d’oro.Ecco allora che la cultura socialdemocratica si presenta invece come una ventata di aria pura e fresca nelle vecchie stanze polverose di un capitalismo asfittico, che non investe in ricerca e sviluppo, di un governo che si lascia vivere nella crisi più grave del secolo senza porsi la domanda di come ne usciremo, affermando demagogicamente che ne usciremo meglio, senza dire né come né perché. Un governo che non ha analizzato le ragioni della crisi, aspettando che passi, così come passa un’influenza, è convinto che tutto torni come prima, non volendo vedere che se non si agisce con un progetto, tutto sarà peggio di prima.La ventata di aria fresca del progetto socialdemocratico non crede allo statalismo, non difende i fannulloni (siano essi lavoratori parassiti o imprenditori che non reinvestono in azienda); punta all’eccellenza dei servizi; crede profondamente nel ruolo di stimolo della funzione del sindacato elemento dialettico che porta necessariamente ad una sintesi che migliora l’accidia imprenditoriale. Il progetto socialdemocratico che ho in mente vede nei ricercatori, nei giovani specializzati nelle moderne tecnologie (dalle tecnologie energetiche alle nanotecnologie, dalle tecnologie dei nuovi materiali alle tecnologie che possono derivare dalle ricerche fatte al CERN – a proposito il 30 aprile 1999 il CERN di Ginevra rese libero l’accesso al world wide web facendo nascere Internet e la moderna economia elettronica), nella ricerca della produttività di cui l’Italia è maglia nera; di nuove forme di rapporti di lavoro che esaltino la meritocrazia (il metodo Mussi per la scelta di Luciano Majani a capo del CNR è un metodo che dovremmo fare nostro). Non parlo di aristocrazia operaia, ma indico nei giovani lavoratori in camice bianco la classe di riferimento per una nuova fase del modello di sviluppo e per una nuova fonte della classe dirigente.Se ci scolliamo di dosso lo stereotipo del difensore romantico dei deboli, per assumere la figura di propugnatori dell’eguaglianza dei punti di partenza (chiodo fisso di Luigi Einaudi e premessa per una mobilità sociale del nostro paese) per una seria politica dell’inclusione con le garanzie offerte dalla flexsecurity; se ci presentiamo come innovatori che si affidano alla scienza piuttosto che ai magheggi tremontiani, che puntano alla qualità piuttosto che alla volgarità, potremo anche porci come quella guida che può far cessare ai cittadini italiani di vergognarsi di vivere in questo Paese.Buon primo maggio Renato Gatti