Socialismo

Il Centro socialista interno (1934-1939)- parte 5


Eugenio Colorni L’accadimento reale che permette al Centro socialista interno di penetrare attraverso le rigide maglie del controllo  fascista e di istituire i collegamenti di classe tra il proletariato nazionale e quello internazionale è senza dubbio la Guerra di Spagna che- come si legge  nel documento elaborato collettivamente-“ha messo finalmente in evidenza, chiari agli occhi di tutti, i termini della lotta di classe, come necessariamente si riduce al suo estremo”. Più avanti si legge “la necessità che vi è dovunque, per il proletariato di prepararsi all’urto, di forgiare le proprie armi rivoluzionarie” e che in Spagna in quel momento “si gettano le basi del prossimo avvento del socialismo spagnolo; si adottano successivi provvedimenti, si estende il controllo operaio, si limita l’impresa capitalistica, rendendo ormai  impossibile un ritorno dello sfruttamento capitalistico […]”(“La guerra spagnola”, 1937).Oggi sappiamo che le cose che non sarebbero andate così: i rivoluzionari che sostenevano la causa repubblicana furono sconfitti e nel 1939 iniziò la dittatura di Francisco Franco. Ma in quel momento, con quelle parole, il gruppo milanese aveva dato ai lavoratori italiani sfruttati la speranza del cambiamento e nella rivoluzione gli aveva indicato la strada per realizzarlo. Ma facciamo attenzione al metodo: se la Guerra civile spagnola è un esempio concreto di rivoluzione in atto da praticare anche in patria, questa si può realizzare solo partendo dalle contraddizioni materiali del Capitalismo italiano. Cioè non si può calare dall’alto la guida di un processo ma bisogna costruire la propria azione e il proprio ruolo a stretto contatto con le masse ed in realazione alla loro capacità di organizzare una forma matura di lotta. Cioè non si vuole limitare la rivoluzione alla conquista del potere, sostituendo “all’autorità della borghesia quella di un Comitato centrale socialista”, come diceva Rosa Luxemburg, ma si vuole tendere a fare della rivoluzione lo strumento per la liberazione totale della classe oppressa portandola a gestire direttamente gli strumenti della produzioneMa oltre che nel metodo, il loro scarto qualitativo sostanziale sta nella strategia rivoluzionaria rispetto a quella elaborata dal PCI di quegli stessi anni, fino a Gramsci compreso:”Il problema gramsciano del tradurre nella esperienza italiana l’esperienza leninista era superato nel ’37 - scrive Stefano Merli nel suo saggio- e a questa constatazione vanno riportate le osservazioni identiche a quelle originarie; la classe operaia tentava esperienze in base alle quali il rapporto tra essa e il partito […] andava posto in altro modo e soprattutto non era più al centro della coscienza rivoluzionaria. Il programma centrista è giocoforza un programma di governo rivoluzionario che ha davanti non il partito ma la nuova società.” Il Regime fascista aveva capito perfettamente la pericolosità di un lavoro clandestino impostato in questo modo. Lo dimostrano la cura estrema con cui vengono programmati ed esguiti gli arresti del 1937 e gli atti del processo – li riporta Aldo Agosti nel suo saggio- in cui a Morandi, Luzzatto, Sassu e ad altri viene imputato di “aver promosso e organizzato una associazione avente il fine di compiere […] fatti diretti a mutare la forma del governo con mezzi non consentiti dall’ordinamento dello Stato” e di aver partecipato nel territorio dello Stato ad associazione diretta a sovvertire violentemente gli ordinamenti economici e sociali costituiti dello Stato.”L’esperienza poltica del Centro socialista interno però non finisce con gli arresti del 1937:  continua a lavorare  sotto la guida di Eugenio Colorni mentre il testimone di questa esperienza verrà raccolto dal Gruppo  Rosso e dal Gruppo Erba, dai quali usciranno i quadri della Resistenza.Ma anche il gruppo fondatore darà un contributo importante alla lotta di liberazione: nel 1942 Lucio Luzzatto si unirà alla Resistenza, di ritorno dal confino; un anno dopo  Lelio Basso, che era stato recluso in un campo di concentramento, poi Morandi, dopo sei anni di carcere, insieme a Eugenio Curiel e ad altri coraggiosi sopravvissuti. Ci si potrebbe chiedere legittimamente come abbiano lavorato questi compagni in un clima così cambiato di insurrezione diffusa dopo l’Armistizio. Come abbiano interagito con la Resistenza e la politica di unità nazionale. Ebbene la risposta è: esattamente come avevano fatto prima, cioè guardando con gli occhi aperti la realtà, spingendo l’insurrezione partigiana verso un rivolgimento complessivo della società e dando centralità alle istanze dei lavoratori nel costruire una politica unitaria coi comunisti. Così mentre Curiel nel 1943 dirà ai partigiani che: “Conquistare l’indipendenza non significa quindi soltanto cacciare il tedesco ma spezzare le reni al fascismo e ai gruppi del grande capitale finanziario che esso rappresenta” (“Fronte Nazionale, Società Nazionale, Blocco Nazionale”); sarà ancora Morandi nel 1944 a intervenire nel dibattito del CLN dicendo: “A noi pare che socialisti e comunisti non debbano perdere la sensibilità di classe nel praticare la politica d’unità. D’altra parte ciò che i socialisti hanno in vista è semplicemente di rimettere alla classe lavoratrice i suoi diritti, garantendone la possibilità di far dal basso, attraverso forme rappresentative che essa stessa nel corso della lotta si dà” (“Politica di classe”).Prospettive attuali Oggi che pure la situazione politica italiana è fortunatamente differente dagli anni della Dittatura fascista, perché, come recita l’artcolo 1 della nostra Costituzione:“L'Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro. La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione” e abbiamo una stampa libera di esprimersi e dei liberi sindacati cui è possibile associarsi ed ai quali è garantito il diritto di sciopero,  non dobbiamo  mai dimenticare che la minaccia autoritaria é sempre dietro l'angolo e che é dovere di tutti noi difendere il nostro ordinamento costituzionale e le conquiste democratiche che i nostri padri hanno conquistato anche a costo della vita. Ma il Partito Socialista (e così la sinistra comunista e ambientalista) vive un momento di grande difficoltà. Per la prima volta dalla nascita della Repubblica, non ha più una rappresentanza in Parlamento e il meccanismo della legge elettorale attuale gli rende molto difficile riacquistarla.Però il Partito Socialista ha storia lunga più di cento anni, una struttura territoriale ancora efficiente e ramificata sul territorio nazionale e soprattutto una grande storia fatta di grandi battaglie al fianco dei lavoratori e dei sindacati, per la conquista dei diritti civili e sociali. Gli strumenti per far tornare in Parlamento le grandi battaglie socialiste, ricostruire una società più giusta,  una democrazia più equilibrata, ci sono già. Basta volerli usare correttamente con coraggio e determinazione.  La coalizione Sinistra e Libertà in cui ci presentiamo alle prossime elezioni, con un programma chiaro di ricostruzione della Sinistra, se sapremo lavorarci seriamente, ci darà una mano. Ma  dobbiamo essere chiari con noi stessi: la vittoria di Sinistra e Libertà, la durata della coalizione, la ricostruzione di una prospettiva di Sinistra valida e capace, in grado di pesare nelle scelte di un prossimo governo dipende moltissimo da noi. Il ritorno in Parlamento del Partito Socialista non può e non deve essere il ritorno di una sigla piuttosto che un’altra. I lavoratori hanno bisogno oggi più che mai di un Partito Socialista che voglia veramente stare dalla loro parte, farsi carico dei loro problemi di ogni giorno, che sappia interpretare i loro bisogni e articolare delle politiche sociali che ne determinino l’inserimento corretto nel mondo del lavoro, ne tutelino i diritti in piazza e in Parlamento, ne garantiscano la difesa e il miglioramento della pensione. In Sinistra e Libertà, assieme a noi lavorano alla ricostruzione di un fronte unico della Sinistra i compagni che vengono dall’esperienza della ricostruzione di un comunismo basato sulla partecipazione e la difesa dei diritti dei lavoratori. Comunisti e socialisti sono chiamati a lavorare di nuovo insieme per difendere ed unire i lavoratori, difendere la democrazia, costruire le regole più giuste di una società nuova. Se sapremo con modestia e intelligenza lavorare insieme a questi compagni prima e dopo le elezioni saremo stati utili alla causa dei diritti dei lavoratori perché avremo gettato le basi di una forte politica unitaria. Se  con metodo e serietà sapremo individuare i bisogni materiali dei lavoratori e costruire le politiche sociali in grado di risolvere i loro problemi, dandogli una nuova centralità nell’elaborazione delle politiche per lo sviluppo, avremo gettato le basi della costruzione di una prospettiva di lunga durata: la trasformazione della società nella direzione del Socialismo. Se tutto questo lo hanno già fatto i nostri compagni col Centro socialista interno in anni molto più difficili dei nostri, certamente anche noi possiamo farlo oggi.Marco ZanierFederazione Romana del Partito Socialista- Responsabile Cultura