Socialismo

La rivoluzione italiana


Nell’introduzione ad una delle sue opere più importanti e famose: “La vita di Giulio Agricola”, Tacito, non senza avere accennato alle antiche virtù morali dei cittadini romani, quelle che rendevano possibile narrare la vita di un uomo famoso, più per un senso di esempio e trasparenza, che per l’arroganza auto celebrativa di un fine apologetico, parla della sua epoca e dell’imperatore Traiano come di colui che è destinato, secondo le aspettative dei più, ad accrescere la felicità dei tempi e la sicurezza pubblica, tanto da suscitare molte aspettative e desideri.Poi però, l’amara consapevolezza della vita da lui vissuta in tempi in cui, nonostante l’impero fosse giunto all’apice della sua espansione, la decadenza già lo minava dall’interno come un tarlo insidioso il cui effetto sarebbe stato solo dilazionato, con rimedi di vario genere, giungendo poi ad effetto, in modo inesorabile, lo porta ad essere molto disincantatoVale la pena di leggere le sue parole e meditarle, specialmente considerando quanto siano adatte all’epoca in cui viviamo, ed in particolare alle vicende italiane.Vi propongo il testo latino con la traduzione, per nulla togliere alla prosa tacitiana.“natura tamen infirmitatis humanae tardiora sunt rimedia quam mala; et ut corpora nostra lente augescunt, cito extinguuntur, sic ingenia studiaque oppresseris facilius quam revocaveris; subit quippe etiam ipsius inertiae dulcedo, et invisa primo desidia postremo amatur.”“tuttavia, per effetto della natura dell’umana fragilità, i rimedi sono più lenti dei mali; e come i nostri corpi crescono lentamente, ma muoiono in un batter d’occhio, così le attività dell’ingegno è più facile soffocarle che richiamarle in vita; perché si insinua anche il gusto sottile dell’inazione e l’apatia, dapprima odiosa, si finisce per amarla.”Mai come oggi, nella storia contemporanea del nostro Paese ma anche in buona parte dell’umanità, si è assistito ad un vuoto tanto dirompente quanto esteso e dilagante, di valori morali. Tanto che l’etica sembra certe volte una specie di scienza archivistica, da relegare in un polveroso passato impossibile da riproporre, oppure una sorta di arrogante vituperio delle accorte necessità di un contingente fatto soprattutto di basso cabotaggio, di navigazione a vista, misurata solo in base all’utile personale, o di gruppo di appartenenza. E’ questa evidentemente la logica del clan, della cosca, piccola o grande che sia, potente o in fieri, con la sola ragione auto necessitante di esserlo a tutti i costi, naturalmente anche a quello della vita, propria o altrui, pienamente sacrificabile a tal scopo.In questa lenta ma inesorabile barbarie che va facendosi strada a tutti i livelli nel nostro tessuto sociale e istituzionale, gli squilibri e le disuguaglianze vanno configurandosi, non più come variabili di un sistema in crisi, e soggetto a revisione e riforme, ma come dati inequivocabili di una decadenza strutturale.Essa è dovuta in buona parte a quello che mette in risalto lo stesso Tacito: allo spegnersi progressivo delle attività dell’ingegno. Al taglio inesorabile di risorse necessarie ad incrementarlo, per la ricerca, per l’università e per la scuola, al crearsi e al consolidarsi di un monopolio mediatico di ciò che resta della cultura. Con offerte sempre più limitate e filtrate dai centri di potere che possono finanziarne la diffusione e che hanno come scopo principale, non la sua valorizzazione, ma l’accumulazione di profitto e la necessità di non disturbare mai “i manovratori” Per cui, oggi, veri testi fondamentali nella storia del pensiero li possiamo trovare, dopo una estenuante ricerca, soltanto nelle biblioteche, quelle che hanno ancora fondi per essere aperte e funzionare, oppure nelle librerie antiquarie, sempre finché ce ne saranno ancora in circolazione.Tacito nota giustamente che non è facile riportare in vita le opere dell’ingegno, quando lo stesso ingegno si è imbarbarito ed assuefatto all’inazione o al servilismo, tanto da non voler più riconoscere nemmeno l’evidenza. I mali che sono nostri, che derivano da una natura portata ad adattarsi sempre e comunque alle circostanze più favorevoli, a cercare e trovare lo spazio compromissorio dell’utile personale, coniugandolo attentamente con il gruppo, il clan, la cosca, ritenuti emergenti e per questo destinati ad espandersi in quell'ambito che si scommette possa essere inclusivo dei nostri bisogni ed interessi.Evidentemente l’ingegno è soprattutto quello che sa trovare ed affermare soluzioni originali, e non è piuttosto quello che si adatta alla contingenza per riceverne a tutti i costi un utile immediato. La furberia non è certamente sinonimo di ingegno.In Italia però non ce ne vuole molto per capire che i mali che ci stanno trascinando verso la barbarie e la lontananza dai paesi più evoluti d’Europa e del mondo, non sono imputabili tanto a fantomatici complotti messi in atto con studiata perfidia da chi non vuole altro che un’ Italia permanentemente “serva di dolore ostello, non donna di provincia ma bordello”, ma soprattutto a chi fa del bordello la sua principale occupazione, la sua professione, il suo modus vivendi, la sua forma mentis. E non da oggi evidentemente.I mali di un Paese passato fin troppo rapidamente dalla pletora fascista, capace solo di inculcare valori morali di cartapesta, tutti naturalmente crollati miseramente di fronte alle prime vere sfide nazionali ed internazionali, ad una Repubblica ancora preda di manicheismi ideologici, residui neoclericali, vincolata ai suoi difetti strutturali, ma pur tesa verso il rinnovamento operato in gran parte da minoranze colte e non da una diffusa coscienza civica, sono perduranti. Perché nel passato sono stati “trascurati e tollerati”, pur diventando endemici, per impedire che l’Italia si spostasse anche di una virgola da quegli assetti geostrategici che l’avevano vincolata ad un esclusivo modello di sviluppo, in cui accumulazione di profitto e corruzione restano due facce della stessa moneta falsa, con cui non si costruisce una vera civiltà ma solo una dilagante e sofisticata barbarie.La barbarie padronale in cui non è la legge ad orientare la persona, ogni persona, ma viceversa è la persona più potente che orienta la legge a suo esclusivo vantaggio. Lo Stato non è Costituzione messa in atto concretamente, ma proprietà di chi se lo compra e vende ad altri ciò che non ritiene per sé indispensabile.Quando gli equilibri geostrategici sono cambiati e non ha fatto più comodo tollerare e capitalizzare la conseguente gratitudine servile, ma anche furbescamente attenta al suo “particolare”, il sistema che avrebbe potuto rinnovarsi e competere solo grazie ad una vera reazione civica e popolare, derivante da una diffusa coscienza civile, in mancanza di essa, si è sfilacciato e a poco a poco disgregato. Così nel suo disfacimento, i barbari, le cosche i profittatori, mascherati da salvatori della Patria, da medici taumaturghi, si sono fatti avanti e hanno conquistato il potere.Oggi i mali sono pertanto diventati endemici, tanto che anche i profittatori al potere non possono nasconderli, e così, pur di trovare ad essi un capro espiatorio, cosa fanno? Denunciano una sorta di complotto che sarebbe messo in atto da coloro che per tanto tempo sarebbero stati solo i loro complici privilegiati del saccheggio e del degrado collettivo. E che ora semplicemente cercano di metterlo in opera senza più dovere pagare alcun prezzo, senza più tanti sconti o compromessi con il loro vassalli di sempre. Per il semplice fatto che noi siamo considerati, come sistema Paese, alla stregua di una moneta svalutata.Temo per questo che in Italia non serva più il riformismo, ma una vera e propria rivoluzione, però non necessariamente di quelle con i morti, le barricate e le ghigliottine, una di quelle che avvengono anche in modo pacifico ma inesorabile, come è accaduto in alcuni paesi dell’est, o come sta accadendo ed è già accaduto in altri in Sudamerica, e naturalmente non senza i rischi annessi e connessi, quando si va ad interferire nelle aspettative in un imperialismo economico e politico che in gran parte, per meri fini di profitto, è ancora in piedi, anche se con i piedi sempre più spesso di coccio o di argilla. Tale rivoluzione non è perciò meno indispensabile e necessaria.In Italia per farla, in fondo, non serve molto, occorre solo una determinazione inflessibile, un affondo di bisturi, senza esitazioni e tentennamenti e naturalmente una mano molto ferma da parte di chi vuole compiere tale operazione.Essenzialmente servono solo tre cose essenziali.Primo, far pagar le tasse a chi non le paga, affinché il debito e l’apparato pubblico non debbano gravare più sulle stesse categorie di cittadini, sempre più sospinte verso un ruolo di servitù e miseria.Secondo, combattere alla radice la criminalità organizzata, colpendola nei suoi luoghi di origine e nelle sue ramificazioni finanziarie con mezzi sofisticati e specialisti destinati a crescere e non a diminuire.Terzo, liberarci di una classe politica inetta, corrotta e tesa esclusivamente a trarre il suo utile personale nel costituire un raccordo efficace tra criminalità organizzata ed istituzioni, tanto da renderle fragili e prive di mezzi efficaci per contrastarla. E naturalmente per accumulare conseguentemente profitto, monopolio e potere in misura sempre maggiore.Un popolo che sa riscattare la sua civiltà, non può che far suo il motto latino “faber est suae quisque fortunae” Ciascuno è artefice della sua sorte.La vera rivoluzione comincia all’interno della coscienza di ciascuno di noi, ma giunge a compimento solo quando matura una vera coscienza collettiva, una coscienza popolare nazionale, che non ha più condizionamenti e nemmeno voglia di illudersi, e pertanto è indotta ad agire solo dalla consapevolezza che il futuro deve necessariamente essere meglio del passato, per cambiare radicalmente le cose.Scriveva Tacito “et ut corpora nostra lente augescunt, cito extinguuntur” “e come i nostri corpi crescono lentamente, però muoiono in un batter d’occhio” La nostra civiltà italiana è cresciuta lentamente nei secoli ed è stata apprezzata in tutto il mondo, ma può anche morire all’improvviso. Ora è in agonia, in un coma che si spera possa non essere irreversibile, si può solo pensare ed operare consapevolmente affinché non siano l’inazione e l’apatia: l’ “inertiae dulcedo” a staccarle la spina o a continuare a tenerla in vita, e forse sarebbe pure peggio, solo attaccata permanentemente ad un decoder. C.F.