Socialismo

LETTURA POLITICA DELLA CRISI ECONOMICA ATTUALE (parte seconda)


  Che fare dunque?Non si può uscire dalla crisi se non la si smette di dire che la crisi è frutto di errori finanziari, della mancanza di regole o dell’avidità di pochi corrotti, ma si assume con forza la convinzione che essa è frutto delle deliberate politiche delle destre e degli errori di valutazione e di ritardo politico-culturale delle sinistre. L’uscita dalla attuale crisi, che è crisi di visione politico-culturale nella quale il consumo è stato privatizzato ed individualizzato, non può avvenire se non si stabilirà un diverso rapporto tra le nazioni basato su un diverso modo di intendere lo sviluppo mondiale, le integrazioni tra i popoli, le loro culture le loro economie e se non si stabilirà un diverso rapporto con l’ambiente e con le risorse naturali. Una nuova risocializzazione tra le persone e tra queste e l’ambiente. Un ritornare a privilegiare il Progresso, che è sviluppo connesso ad una visione della vita e del mondo, rispetto al solo sviluppo che finisce per essere mercificazione di tutto, compreso il lavoro e dunque l’uomo stesso. Ma ciò non può avvenire attraverso semplificazioni massimaliste o altrettanto individualiste, che promettono soluzioni rapide ed immediate che, nell’attuale contesto, altro non farebbero che far collassare del tutto l’attuale sistema economico mondiale, impoverendo ulteriormente le masse lavoratrici e spingendo queste in ancora più profonda povertà e, per reazione, ad una pericolosa richiesta di sistemi politici populistici e di destra.Ma occorre anche respingere la posizione della sinistra antagonista caratterizzata da un anticapitalismo assoluto che rifiuta la necessità o la possibilità di contrapporre al neocapitalismo conservatore americano un diverso capitalismo sul modello di quello europeo sperimentato dalle socialdemocrazie nei primi 30anni del secondo dopoguerra. Una posizione massimalista pericolosa perché ritiene che la grave crisi economica e la grave crisi sociale che da essa deriverà potrà costituire lo strumento per l’avvio della nuova rivoluzione comunista. E non si avvede invece che essa rischia di minare alle fondamenta le libertà democratiche e dare il via ai nazionalismi e ai peggiori populismi di destra e di cui le emergenti pulsioni razziste, riemergenti anche in Europa, costituiscono i primi pericolosi segnali.Sul piano ambientale, come ha scritto il filosofo Andrè Gorz nel libro “Ecologica” pubblicato postumo in questi giorni, per poter cambiare occorre un ecologismo politico che partendo dalla critica del capitalismo, si riconosca nell’idea socialista di cui l’ecologia politica è una dimensione essenziale. Perché partendo solo “dall’imperativo ecologico, si può arrivare tanto ad un anticapitalismo radicale quanto ad un pétanismo verde, un comunitarismo naturalista”. In tale senso, l’ecologismo non può dirsi indifferente tra socialismo e neocapitalismo. Ma anzi, il pensiero ecologico è necessario al socialismo proprio per impedire che esso, per motivi elettoralistici, in nome del solo principio della ricchezza da distribuire, smarrisca parte dei propri principi allineandosi alla cultura mercatistica della destra come in parte è avvenuto in questi ultimi 20anni.La gran parte delle masse lavoratrici è oggi avvolta nella contraddizione tra l’essersi assuefatta al ruolo di consumatore e l’accorgersi ora drammaticamente che questo ruolo non le ha consentito di avere nulla di certo, nulla di sicuro, neppure il lavoro delle proprie braccia. Essa, come diceva Pasolini, vive questa acuta contraddizione nel profondo della coscienza, e della vita quotidiana, ma non sa come porvi rimedio perché l’individualismo connesso al diventare solo consumatore gli ha tolto i rapporti di quotidiana solidarietà con i propri simili; con coloro con i quali condivideva la stessa cultura di vita, la stessa quotidianità e quindi la convinzione che comunque uniti si può aspirare ad una propria migliore condizione di vita. Oggi il lavoratore, dipendente o autonomo, vive nel profondo l’inquietudine della propria solitudine e non potendo più cercare la risposta rassicurante nell’ambito della solidarietà e forza di appartenenza ad un classe, comunque unificante, la cerca, individualmente, all’esterno inseguendo di volta in volta il presunto colpevole della sua insicurezza (l’immigrato che lo deruba del lavoro, il diverso, ecc.) o cercandola nel leader carismatico che lo possa rassicurare, avendo perso, con i legami sociali, la fiducia nelle capacità collettive. Lo sviluppo voluto in modo cosi totalizzante dalla destra, a partire dalle politiche reaganiane, si è comportato come una vera e propria droga dalla quale sarà difficile recedere, perché esso ha svuotato la coscienza di milioni e milioni di persone sostituendovi in essa solo il rito gratificante del consumismo “senz’anima”. Si comprende dunque perché chi lo ha utilizzato (a destra) come vera e propria clava politica e chi è stato tiepido (a sinistra) nel contrastarlo oggi cerca di ridurre l’attuale gravissima crisi solo ad un fatto tecnico, ad un ciclo economico come se ne sono visti già nel passato, ad un incidente di percorso per l’avidità di pochi e non sa proporre se non di tornare a spingere la ruota dello sviluppo consumistico.Occorre invece tornare allo spirito della socialdemocrazia europea - quello della svolta della SPD del ’59 a Bad Godesberg – dove accanto alla elencazione dei principi e dei valori che erano a fondamenta del socialismo erano altresì indicati i percorsi e gli strumenti necessari per realizzarli, tra i quali centrale (in netto contrasto con le politiche reaganiane e thacheriane ma anche con il marxismo), il ruolo forte dello Stato come regolatore del mercato, ridistributore della ricchezza attraverso lo stato sociale e proprietario dei beni pubblici primari che non possono essere lasciati al libero mercato senza mercificare l’uomo stesso (la scuola pubblica, la tutela della salute, le pensioni, l’acqua, i trasporti pubblici, ecc.). Uno Stato che assume, contro il rischio di strapotere del mercato, la difesa della parte più debole della popolazione, quella dei lavoratori dipendenti, come sua finalità prevalente allo scopo di promuovere la solidarietà e le pari opportunità. Uno Stato che assume su di se l’idea di progresso, contrastando l’idea fredda del solo sviluppo. La ripresa del socialismo non può dunque avvenire se non si torna a portare al centro del dibattito culturale e politico il dualismo tra sviluppo e progresso. L’aver abbandonata la battaglia culturale, prima ancora che politica, per quest’ultimo ha portato la sinistra verso una sorta di acquiescenza, quando non corresponsabilità, nel privilegiare la ricchezza delle merci (il mercato), rispetto all’idea più globale ed inclusiva di progresso, ritenendolo più capace di pagare in termini di consenso elettorale. O quantomeno a ritenere che, per governare, occorresse prima privilegiare lo sviluppo pensando di realizzare in un secondo tempo il progresso. Ma assumendo in modo così aperto i modelli della parte avversaria la sinistra si allontana sempre più dai propri valori e dal proprio modello culturale di società e finisce per essere percepita come così liquida da non fare più presa nella coscienza profonda della società. E finisce per assomigliare ed essere percepiti come una brutta copia dell’avversario.Guardiamo a ciò che sta avvenendo in America oggi. Nell’America di Bush la destra, tramite i soggetti dominanti dell’industria e della finanza, era arrivata far credere che fosse l’individuo che trionfava: il suo individualismo esasperato, la sua centralità definita dalla ricchezza e dagli status symbol di cui poteva circondarsi, non importa se in proprietà o a credito. E vediamo come sta finendo con un presidente che proprio perché era solo individuo ha finito per rappresentare più nessuno. Nell’America di Obama è lo Stato che torna a essere centrale, che torna ad essere l’entità attorno alla quale la gente si stringe per recuperare un senso di fiducia collettiva. Per ritrovare un’idea di progetto per la vita di tutti all’interno del quale si collocano anche le aspettative della propria vita. Ed è questa idea di “progetto per la vita di tutti” che definisce l’idea di “progresso” che va ben oltre il semplice sviluppo.In Europa è la socialdemocrazia, uscita dal manifesto di Bad Godesberg, che più di ogni altra cultura politica ha rappresentato, dal dopoguerra ad oggi, questa sintesi tra sviluppo e progresso coniugando, nella prassi politica democratica, la valorizzazione dei diritti e delle energie individuali, senza le quali non c’è libertà, con la giustizia sociale, senza la quale non vi è diritto di cittadinanza per tutti. E aveva individuato nello Stato democratico (individuato ad un tempo sia dal capitalismo estremo che dal marxismo come un inutile intoppo) il soggetto cui demandare tale compito. Di fronte alla grave crisi economica attuale, che è crisi non tecnicistica, ma del modello politico della destra, l’alternativa del modello socialista, quale conosciuto in Europa, riappare come vincente. Per questo esso può e deve tornare a parlare alla gente d’Europa, a tutti i popoli ed in particolare ai giovani per ridare alle loro drammatiche incertezze quotidiane e di prospettiva una risposta alta che l’individualismo solo, per quanto esasperato, non sarà mai in grado di dare. Alberto FerrariCoordinamento Sinistra e Liberà di Pavia__________________bibliografia:Pier Paolo Pasolini. Sviluppo e progresso da Scritti corsari – GarzantiMassimo L. Salvadori . L’Idea di Progresso – Donzelli editore- SaggineMichel Albert. Capitalismo contro Capitalismo – Il Mulino/ContemporaneaAndré Gorz. Ecologica – Jaka BookRifkin Jieremy- Il sogno europeo – MondadoriRaffaele Simone – Il Mostro Mite - Garzanti