Creato da socialismoesinistra il 28/06/2008
Rivista di approfondimento culturale e politico dell'Associazione SocialismoeSinistra
 

 

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Le tre fasi del socialismo

Post n°245 pubblicato il 26 Luglio 2009 da socialismoesinistra

 

 

 

Sinistra e Libertà è uno sforzo serio di ritrovare nella tradizione socialista europea un progetto di sinistra per governare, o almeno proporsi di farlo, l’attuale momento storico.

           

Abbiamo avuto in passato l’azione dei socialisti che si ponevano come obiettivo un’alternativa al capitalismo, un ordinamento politico-economico-sociale altro rispetto alla realtà economica-sociale-politica esistente ispirata alle idealità solidaristiche, marxiste, libertarie della sinistra socialista. La socialdemocrazia ha creato in Europa uno Stato sociale che rimane una pietra miliare nelle democrazie moderne; è grazie alle lotte socialiste se si sono creati spazi di libertà e di opportunità mai viste su questa terra. Quel tempo, vissuto in un secolo che ha conosciuto fenomeni politici quali il fascismo ed il nazismo, il comunismo reale e due guerre mondiali è definitivamente finito. Rimangono i frutti; ad esempio in Svezia la destra pur vincitrice delle elezioni politiche persegue le politiche welfariste della socialdemocrazie non immaginandosi neppure di volerle o poterle intaccare.  L’Inghilterra di Attlee ha dedicato il tempo dei laburisti alla creazione di uno stato sociale radicato. E’ risultato concreto di questa fase storica il radicamento sociale nelle leghe, nelle cooperative, nei sindacati, in tutte quelle istituzioni economico-sociali che si ispiravano ad un mondo altro rispetto all’esistente e che costituivano strumento di lotta di classe e di emancipazione, ponendosi come fine la formazione di una classe dirigente che non fosse generata dal censo. Tempi eroici e straordinariamente fecondi, rovinati dalla scissione del ’21, proprio in corrispondenza dell’offensiva fascista.

 Questo modello di socialdemocrazia è tramontato con l’avanzare di un neo-liberismo, o, come lo chiama Luttwack un turbo-capitalismo frutto della globalizzazione e dell’avanzata egemonica incontrastata del modello individualistico.

Il crollo dell’Unione Sovietica e un ventennio di crescita ininterrotta dell’economia mondiale e capitalistica in particolare hanno fatto eclissare il modello socialista.

Solo Blair, personaggio impensabile se non fosse stato preceduto dalla signora Tatcher, ha interpretato in modo innovativo il modello socialista. Senza opporsi al capitalismo imperante ne ha favorito anzi il percorso rimovendo ostacoli ideologici o sindacali che potessero interferire con la inesorabile marcia del capitale (più finanziario che produttivo) e ha perseguito una politica di “inclusione” nel processo da parte anche dei ceti subalterni. La guide-line era dunque di non essere antagonisti o alternativi ai processi di mondializzazione finanziaria dell’economia, ma di aprire le opportunità che il processo economico offriva a tutti i ceti mediante pratiche di inclusione, fors’anche di omologazione ad un modello egemone e vincente.

Ma in tal prospettiva il modello blairiano si presentava come un modello subalterno all’egemonia capitalistica anche se la politica dell’inclusione ha ricevuto per ben tre mandati, il consenso della popolazione.

Pochi altri partiti socialisti in Europa hanno seguito questa strada prevalendo tra gli stessi un’incapacità di elaborare scenari strategici diversi sommersi invece da un’incapacità di leggere la storia e reagire di conseguenza. Anche Craxi ha interpretato il suo ruolo più che come alternativa al capitalismo come svecchiatore di uno Stato imbalsamato, oppositore di un sindacato antagonista (penso al decreto sulla scala mobile) quindi un Blair ante-litteram che cerca di facilitare il capitale ma senza quella novità “includente” portata dal blairismo. E’ questa posizione subalterna o confus che porta alla perdita di consenso delle proposte socialiste verificatasi nelle ultime elezioni europee.

 La crisi del turbocapitalismo fa eclissare anche la posizione di Blair, il grande sconfitto dal default della finaziarizzazione dell’economia. Tutti i più attenti osservatori hanno capito che la mala-distribuzione della fase del capitalismo che ci siamo lasciati alle spalle era la causa principale della crisi del sistema. La creatività statunitense di finanziare il consumo con il credito è stata la risposta patologica ad un male generale pre-esistente. L’Italia pre-crisi viaggiava a livello di crescita zero, quel livello di crescita è ora un obiettivo strategico. Se non si rimuove la causa prima, la mala distribuzione del reddito, se non si riprendono politiche dei redditi che invertano il flusso storico di punti di PIL dai salari ai  profitti, non si uscirà da una crisi destinata a ripetersi sempre più grave..

E’ esplosa la grande contraddizione: se per fare più profitti si bloccano i salari, ovvero se tradendo il protocollo del 93 invece di usare i profitti permessi dalla moderazione salariale per investire in produttività si investono in strumenti finanziari, va a finire che il plusvalore esce dal circuito della circolazione e la domanda ristagna generando sovrapproduzione.

Il dire come fa il nostro “premier” che “chi doveva fallire è fallito, ora andiamo tutti al mare e aspettiamo che tutto torni come prima”. Ecco l’errore principe! Tutto non deve tornare come prima. O ci rendiamo conto che la contraddizione economica che abbiamo vissuta comporta il passaggio ad una nuova fase dove i liberisti devono mutare le loro regole, ma dove i socialisti possono fare le loro proposte o dimostriamo di non capire la gravità della contraddizione in stretta interpretazione marxiana.

Certo non basta, come tuttavia si dovrebbe, aumentare i salari e le pensioni per risolvere tutti i problemi. Occorre una sinistra che, diffidando del capitalismo, sappia coniugare i tre obiettivi di Keynes: a) efficienza produttiva, b) la giustizia sociale e c) la libertà individuale.

Ecco che allora una proposta di programma potrebbe essere:

  1. La sinistra si fa portabandiera della battaglia per la produttività; un obiettivo coniugato e declinato dalla parte dei lavoratori per maggior competitività, maggiori salari, maggior partecipazione
  2. La giustizia sociale ci chiama ad una lotta spietata contro l’evasione fiscale e la corruzione. Prendiamo le cifre della corte dei conti come base numerica su cui misurare i successi futuri.
  3. Per la libertà individuale anteponiamo la necessità di evitare che la costituzione sia violentata nei fatti anche se intatta da un punto di vista formale. I pericoli di deriva antidemocratica sono più forti che mai.

 Perché non partire di qui per una nuova iniziativa di “socialismo e sinistra? O meglio di “Sinistra e libertà”?”

 

RENATO GATTI

 
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