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OSSERVATORIO INTERNAZIONALE

LIBERTA' E GIUSTIZIA PER IL POPOLO PALESTINESE

 
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Davvero, vivo in tempi bui!
La parola innocente è stolta. Una fronte distesa
vuol dire insensibilità. Chi ride,
la notizia atroce
non l'ha saputa ancora.

Quali tempi sono questi, quando
discorrere d'alberi è quasi un delitto,
perchè su troppe stragi comporta silenzio!
E l'uomo che ora traversa tranquillo la via
mai più potranno raggiungerlo dunque gli amici
che sono nell'affanno?

È vero: ancora mi guadagno da vivere.
Ma, credetemi, è appena un caso. Nulla
di quel che fo m'autorizza a sfamarmi.
Per caso mi risparmiano. (Basta che il vento giri,
e sono perduto).

"Mangia e bevi!", mi dicono: "E sii contento di averne".
Ma come posso io mangiare e bere, quando
quel che mangio, a chi ha fame lo strappo, e
manca a chi ha sete il mio bicchiere d'acqua?
Eppure mangio e bevo.

Vorrei anche essere un saggio.
Nei libri antichi è scritta la saggezza:
lasciar le contese del mondo e il tempo breve
senza tema trascorrere.
Spogliarsi di violenza,
render bene per male,
non soddisfare i desideri, anzi
dimenticarli, dicono, è saggezza.
Tutto questo io non posso:
davvero, vivo in tempi bui!

Nelle città venni al tempo del disordine,
quando la fame regnava.
Tra gli uomini venni al tempo delle rivolte,
e mi ribellai insieme a loro.
Così il tempo passò
che sulla terra m'era stato dato.

Il mio pane, lo mangiai tra le battaglie.
Per dormire mi stesi in mezzo agli assassini.
Feci all'amore senza badarci
e la natura la guardai con impazienza.
Così il tempo passò
che sulla terra m'era stato dato.

Al mio tempo le strade si perdevano nella palude.
La parola mi tradiva al carnefice.
Poco era in mio potere. Ma i potenti
posavano più sicuri senza di me; o lo speravo.
Così il tempo passò
che sulla terra m'era stato dato.

Le forze erano misere. La meta
era molto remota.
La si poteva scorgere chiaramente, seppure anche per me
quasi inattingibile.
Così il tempo passò
che sulla terra m'era stato dato.

Voi che sarete emersi dai gorghi
dove fummo travolti
pensate
quando parlate delle nostre debolezze
anche ai tempi bui
cui voi siete scampati.

Andammo noi, più spesso cambiando paese che scarpe,
attraverso le guerre di classe, disperati
quando solo ingiustizia c'era, e nessuna rivolta.

Eppure lo sappiamo:
anche l'odio contro la bassezza
stravolge il viso.
Anche l'ira per l'ingiustizia
fa roca la voce. Oh, noi
che abbiamo voluto apprestare il terreno alla gentilezza,
noi non si potè essere gentili.

Ma voi, quando sarà venuta l'ora
che all'uomo un aiuto sia l'uomo,
pensate a noi
con indulgenza.

Bertolt Brecht, "A coloro che verranno", 1939
 
 

 

 

UNA GRANDE OPERAZIONE VERITA', CONTRO IL FASCISMO !

Post n°12 pubblicato il 27 Dicembre 2006 da socialismo2017
Foto di socialismo2017

La Corte d’Appello di Baghdad
ha confermato la condanna a morte del presidente Saddam Hussein, già emessa
dalla “giustizia” di un Paese sotto assedio, occupato e dilaniato dall’imperialismo
americano.



 



E’ l’ultimo atto di un dramma
senza fine, di una campagna barbara di devastazione di un paese sovrano,
occupato con metodi che ricordano molto da vicino quelli delle SS.



 



Abbiamo visto Falluja rasa al
suolo, come Varsavia sotto il fuoco hitleriano. Oggi, con la condanna del Presidente,
sul mondo si è affacciato esplicitamente il NUOVO FASCISMO, una Potenza
imperialista che, occupando un Paese sovrano sulla base di menzogne e di
teoremi infondati, sulla scia di una strategia della tensione (11 settembre)
elaborata per  definire una nuova fase di
dominio di mercati e risorse, ci parla oggi del più totale scollamento tra civiltà
umana,autodeterminazione dei popoli e presunti difensori della “democrazia”.



 



Oggi,mentre assistiamo alla
condanna a morte emessa da un tribunale diretto dagli Usa (talmente grottesco
da far insorgere larghi settori della comunità internazionale, pur non esenti
da gravi colpe e responsabilità, non certamente amici dell’Iraq Libero e
progressista di Saddam), viene cancellata dai notiziari di regime e di
propaganda, quella che è la sola espressione democratica e civile di un paese
distrutto: la partecipazione straordinaria ai movimenti di resistenza, di massa
e popolari, diffusi nella società; un fatto che ha raggiunto livelli inimmaginabili.
Questa democrazia reale, dal basso, grida “gloria” al suo Presidente. Perché ?



 



Perché in Saddam c’è la
storia di un percorso originale, progressista, laico, tollerante, il percorso
di un paese arabo che esprimeva un vicepresidente cristiano (in Italia sarebbe
possibile un vicepremier musulmano ? Dove sta la civiltà ?), un paese che è
stato osteggiato fin dall’inizio della sua rivoluzione progressista, dall’imperialismo,
perché vicino all’Urss, ai popoli liberi ed in lotta contro l’imperialismo.
Analisti poco attenti e di propaganda non hanno mai permesso agli uomini liberi
di guardare con serietà e rigore a quella storia. Vi sono state sempre storture,
sguardi superficiali, convinzioni tanto diffuse quanto errate. Come l’idea di
una presunta alleanza USA-Iraq contro l’Iran, salvo poi dimenticarsi dell’affare
Iran-Contras e delle armi vendute dagli Usa all’Iran contro l’Iraq (il tutto
rientrante in una strategia per favorire una guerra di distruzione trai due
paesi in chiave antiUrss). Saddam Hussein fu amico del socialismo. Guardò con
simpatia, nel 91, al tentativo dei militari comunisti sovietici di salvare l’Urss.
Fu aiutato, sostenuto da tutti i Paesi socialisti liberi, amato come un padre
in Palestina, dalle forze laiche, dalle sinistre.



 



 Ridotto dalla propaganda ad un brutale “gasatore”
di bambini.



Un modo di governare
coscienze, menti ed informazione da rimanere disgustati, da vomito.



 



 Perché chi costruiva queste menzogne ordinava ai
propri soldati di torturare un civile, di stuprare una bambina irakena, di
radere al suolo una città, un villaggio, magari bruciando vivi tutti gli
abitanti, di assassinare una persona o altre 10 o 30 o 50 (sono quasi un
milione i morti civili irakeni dall’inizio dell’occupazione)



 



Saddam Hussein ha un'unica colpa.
Quella di aver guidato un paese non allineato all’imperialismo. Saddam Hussein
non ha mai commesso i crimini di cui ci parla la propaganda Usa e di cui
sbraitano i nostri media. Il presunto massacro dei curdi per il quale dovrebbe
pagare con la vita non è MAI AVVENUTO. L’azione in questione, contro un
villaggio popolato da terroristi curdi, rientrava nell’ambito della legittima
difesa del governo della Repubblica dell’Iraq. Quel gruppo (l’azione causò la
morte di qualche decina di curdi…numero gonfiato dalla propaganda ) aveva
preparato ed eseguito attentati contro il Presidente e contro altri membri del
partito Baath.



 



Abbiamo chiamato questa
giustizia “fascista”. Quella degli Stati Uniti d’America è una strategia
terroristica di egemonia economico-politica del mondo. Il capitalismo è entrato
in uno stadio terroristico e barbarico. Le sue articolazioni sono tribunali
finti, occupazioni militari, governi fantoccio, nuove Falluja.



Questo è lo scenario nel
quale viene eseguita la condanna al Presidente di un paese libero.



Insorgano i popoli del mondo
! Dello sdegno di governi europei ed intellettuali contro la pena di morte, non
sappiamo cosa farcene ! Serve una grande operazione verità sulla storia dell’Iraq
di Saddam Hussein, per mostrare al mondo, alle giovani generazioni, che razza
di bugiardi e di delinquenti sono coloro che oggi avvelenano i popoli del mondo
e la pace.



 

 
 
 

UNA PARTE DI QUELLO CHE I MEDIA DI REGIME E LA PROPAGANDA USA NON CI HANNO DETTO 

Post n°11 pubblicato il 27 Dicembre 2006 da socialismo2017
 
Foto di socialismo2017

IRAQ, MARINES TAGLIATORI DI TESTE?



di Stefano Chiarini (il manifesto)



 



Denuncia del «Tribunale di Bruxelles» (ex
Russel) per i crimini di guerra in Iraq. Un misterioso «gruppo 27» dei marines
avrebbe sgozzato due contadini e dato fuoco ai palmeti del villaggio di
Tarmiya. Le testimonianze dei sopravvissuti raccolte su video da un coraggioso
giornalista iracheno



 



17 aprile 2005
- Una misteriosa squadra speciale dei marines, chiamata dai locali «gruppo 27»,
un vero e proprio squadrone della morte i cui membri porterebbero sul petto un
particolare tatuaggio, avrebbe operato alcune settimane fa nella zona di
Tarmiya, sessanta chilometri a nord di Baghdad, sgozzando due contadini
sospettati di aiutare la resistenza locale, e dando fuoco alla fattoria dove
lavoravano e ai palmeti circostanti. L'hanno sostenuto davanti alla talecamera
di un giornalista iracheno gli abitanti del villaggio tra i quali un bracciante
sopravvissuto al massacro, perché creduto morto, e la famiglia di un'altra
vittima. Da mesi, da quando la scorsa estate si insediò a Baghdad il nuovo
ambasciatore Usa, John Negroponte, in Iraq si parla di un'«opzione Salvador»
per schiacciare la resistenza irachena, dell'uso di veri e propri squadroni
della morte e di una totale immunità per i soldati Usa quando uccidono, rubano,
torturano, stuprano. Non vi sono quasi mai testimoni e le vittime attanagliate
dal terrore non osano neppure denunciare le violenze subite. Chi lo fa dopo
essere uscito di prigione, come la busniesswoman Huda Hafez al Azawi,
imprigionata ad Abu Ghraib dal dicembre 2003 al luglio 2004, viene arrestato di
nuovo e di lui non si sà più nulla. Per questa ragione la testimonianza sullo
squadrone della morte di Tarmiya è un raggio di luce gettato sugli orrori di
una guerra di occupazione senza testimoni. Sia le generalità del giornalista
iracheno autore del servizio, sia quelle del sopravvissuto e degli altri
testimoni, per evidenti ragioni di sicurezza, sono state tenute segrete ma
depositate presso il «Tribunale di Bruxelles» erede del famoso «tribunale
Russel» per la guerra in Vietnam. I fatti oggetto della clamorosa denuncia hanno
avuto come sfortunati protagonisti tre braccianti impiegati in un allevamento
di polli. Uno di loro è proprio il testimone sopravvissuto. Circa 25 anni, con
due figli, il bracciante, che chiameremo Omar, quel giorno stava lavorando
nella sua fattoria quando vide arrivare una decina di soldati, tutti con
occhiali neri, «molto più armati dei militari che di solito si vedono in giro».
Uno dei marines lo colpisce subito in faccia con il calcio di una
mitragliatrice portatile e ancora sul petto e sullo stomaco gridandogli di
confessare se vi fossero armi nella fattoria. Omar gli grida: «togliete i polli
e guardate. Qui non ci sono mai state armi».



Il marines gli risponde sorridendo «Sei forte, sono sicuro che sei tu a
mettere le bombe sulla strada». Poi i soldati tirano fuori le baionette e
cominciano a passarsele sulle mani. Il comandante ordina loro di portare Omar e
un suo compagno, che chiameremo Saad, in un fitto palmeto vicino alla serra.
Qui, al riparo da sguardi indiscreti il capo del plotone «massiccio, non molto
alto con gli occhi verdi e un tatuaggio sul petto» si inginocchia accanto a
Omar, seduto a terra, e un altro marine, ancor più corpulento, vicino al suo
amico. «A questo punto - sostiene Omar - ho capito che stavano per ucciderci.
Con una mano il capo dei soldati mi ha preso per i capelli tirandomi indietro
la testa. Ho visto la baionetta andare verso il collo e tagliarmi la gola
dall'orecchio sinistro fino a quello destro. Ho sentito un gran dolore, mi sono
rivoltato e ho cercato di fermare il sangue con le mani». Quindi Omar vede
morire il suo amico: «Quello grasso ha messo la baionetta davanti alla gola di
(Saad) e gliel'ha tagliata. Poi gli ha messo lo scarpone dietro la nuca e
tirandogli indietro con forza la testa gli ha spezzato il collo. Il poveretto è
morto subito». Omar è a terra, semisvenuto, sanguinante quando il comandante
gli preme uno scarpone sul collo tagliato quasi soffocandolo e l'altro soldato,
gli da un altro colpo di baionetta sul fianco destro. I marines a questo punto,
convinti che entrambi siano morti, gettano i due corpi nelle acque basse del
fiume e appiccano il fuoco al palmeto e ai vicini campi. Omar però ripresosi a
contatto con l'acqua riesce a risalire sulla riva e li viene trovato e salvato
dal proprietario della fattoria accorso con alcuni poliziotti locali a spegnere
l'incendio. Portato a Baghdad il bracciante è riuscito a salvarsi, anche se è
ancora semiparalizzato. Omar non riesce a darsi una spiegazione per quel che
gli è accaduto e per la ferocia dei suoi aguzzini: «Non so perché ci hanno
fatto questo. Non so se vi era stato un qualche attacco contro di loro ma di
sicuro non dalle nostre parti. E poi non capisco perché, poco dopo, sono
tornati di nuovo per mutilare i nostri corpi. Ovviamente il mio non l'hanno trovato
e si sono accaniti su quello del mio collega. Hanno preso il suo cadavere e gli
hanno tirato fuori gli occhi, massacrato la faccia e il mento. Noi siamo
solamente dei lavoratori che gli abbiamo fatto?» Poi, cercando di trovare una
qualche spiegazione, Omar sostiene poi: «Forse volevano accusare qualcun altro
di averci sgozzato, forse volevano terrorizzarci mandando un messaggio a tutto
il paese, forse volevano mostrare la loro forza. Forse si è trattato di una
punizione collettiva. Sono rimasti nei palmeti per sei giorni e nessuno si è
potuto avvicinare». Prima di finire la sua intervista il contadino iracheno
parla poi di un altro episodio, terribile nella sua brutalità, che avrebbe
visto come protagonisti i marines del « gruppo 27»: «Noi siamo stati i primi ma
forse non gli ultimi a subire questo trattamento. Ho sentito qui in paese di
due giovani guidatori uccisi e mutilati sulla strada principale. Uno di loro è
stato squartato e gli hanno messo gli intestini attorno al collo. All'altro
hanno tirato fuori il cuore e l'hanno messo sulla schiena». Tutto naturalmente
«nel rispetto delle «regole di ingaggio».



 
 
 

SADDAM IN UN'INTERVISTA ESCLUSIVA

Post n°8 pubblicato il 27 Dicembre 2006 da socialismo2017
Foto di socialismo2017

tratto da "La Nazione Eurasia" , anno 2 , numero 2



28 dicembre
2004 - Si tratta di un'intervista pubblicata sul giornale egiziano
"Al-ousboua " (la settimana) dall'editore Mustapha Bakri, nella quale
Douleïmi, avvocato di Saddam, fornisce particolari circa il suo incontro di
quattro ore e mezzo con Saddam Hussein.



Nella prima
intervista dal suo arresto, il presidente iracheno Saddam Hussein ha espresso
al suo avvocato Khalil Douleïmi la sua fiducia nella resistenza. Saddam,
secondo la descrizione di Douleïmi, è in buona salute, sereno ed è convinto che
Bush lascerà l'Iraq dalla porta di servizio.



Saddam ha
iniziato l'intervista recitando una poesia, con grande stupore di Douleïmi, chi
gli ha chiesto se era sua.



 



Saddam: Sì, è mia, l'ho scritta
all'interno del carcere. Il carcere non può infrangere la determinazione di un
militante arabo .



 



Douleïmi : Signor presidente, sono il
rappresentante del comitato di difesa. Avete qualcosa da dirmi?



 Saddam:
Prima di tutto, vorrei sapere qual è stato l'effetto della mia apparizione
davanti alla corte.



 



 Ha avuto un grande effetto sull'opinione
pubblica araba ed irachena. Secondo l'opinione unanime, non eravate voi ad
essere giudicato, ma coloro che sostenevano di giudicarvi.



 Questa
corte non è legale, è il prodotto dell'occupazione (...), è una ridicola
messinscena (...) Gli Americani sono venuti in Iraq per distruggere lo Stato
iracheno e tutte le altre asserzioni di Bush sono soltanto pura menzogna.



 



 Le affermazioni di Bush si sono dimostrate
tutte false. Questo va a vostro favore...



 Quando
abbiamo detto che l'Iraq non aveva armi di distruzione di massa, era la verità.
Per questo abbiamo aperto il territorio iracheno agli ispettori. Desideravamo
mostrare al mondo intero che volevamo cooperare. Ma, ahimè, gli Stati Uniti se
ne sono infischiati di tutto questo e hanno occupato l'Iraq senza alcuna prova
legale.



 



 A tal proposito, ci sono le osservazioni di
Kofi Annan che ha dichiarato che questa occupazione è illegale.



 Questa
è una cosa importante, ed è necessario conservare i documenti per la storia.
Kofi Annan non può più accettare le menzogne americane. Se Dio vuole, Bush
resterà solo dopo che il mondo intero saprà che è un bugiardo. Lascerà l'Iraq
dalla porta di servizio perché la resistenza irachena è ottimamente addestrata.
È stata preparata ben prima alla guerra. Avevo unito il comando militare e
politico e noi avevamo predisposto questa nuova pagina della guerra contro gli
Americani. Quanto accade oggi non è frutto del caso.



 



 Il
presidente Saddam Hussein mi ha interrogato sul modo con cui i mezzi di
informazione hanno trattato la questione irachena. Per la verità, ho parlato a
lui di tre esempi, Mustapha Bakri, editore di "Al Ousboû" (la
settimana), Abdelbari Atwan, editore di "Al Qods Al Arabi" e Fahd Al
Rimawi, editore di "Al Majd", della Giordania.



Mustapha Bakri
è una brava persona, non cambia mai posizione e gli vorrei trasmettere i miei
saluti. Anche Abdelbari Atwan è una persona molto coraggiosa, come Fahd Rimawi.
E non dimentichi di trasmettere i miei saluti a George Gallaway, che ha fatto
tutto per difendere l'Irak, Ramsey Clark, Mahatir Mohamed, a Nelson Mandela e
tutti gli arabi liberi. Dite loro che Saddam è imperturbabile ed ottimista ed è
convinto che la vittoria è vicina. Sono preoccupato per la Siria. Come l'Iraq,
questo paese è nel mirino. Inoltre, ho ripetuto in numerose occasioni che
l'intera nazione araba è sotto tiro. È una crociata, una guerra razzista mirata
nello stesso tempo contro gli arabi e contro l'Islam. Per questo motivo erano
infuriati contro l'Iraq, questo paese di antica civiltà. Si direbbe che
desiderino vendicarsi. Hanno cospirato contro il legittimo governo iracheno e
si sono appropriati del potere con la forza. E se ancora rimangono in Iraq, significa
che che il loro obiettivo è diverso dal solo rovesciamento del regime di
Saddam.



 



 Mi ha
chiesto se è ancora in corso l'attacco contro Fallujah. Ho risposto di sì, e
lui ha ribattuto:



 Ero
sicuro, Fallujah non cederà mai. So di che cosa è capace la resistenza in
questa città. La maggior parte dei comandanti della resistenza appartiene al
vecchio esercito Al Qods. E sono perfettamente addestrati.



 Mi
ha interrogato sull'Intifadha. Ho detto che va bene. Ma ho evitato di parlargli
della morte di Arafat.



 I
Palestinesi sono determinati, possa Iddio benedirli.





 Ho
chiesto al presidente in che modo è stato catturato, raccontandogli tutte le
diverse versioni.



 Quando
si tratta di dire bugie, queste sono davvero enormi. Ero sicuro che avrebbero
fatto di tutto per umiliarmi davanti al mio popolo. Quello che hanno mostrato
non è altro che un film di cow boy, e per di più di pessima fattura. La realtà
è che ero con un amico nella località di Saladin. Era la fine della giornata e
stavo leggendo il Corano. Quando mi sono alzato in piedi per recitare le
preghiere, sono stato sorpreso improvvisamente dagli Americani che mi
circondavano. Ero disarmato e non potevo difendermi. Poi sono stato messo in
carcere e sono stato torturato selvaggiamente il primo e secondo giorno. Ma,
per quanto posso dirle, non so se è stato il mio amico a tradirmi, o se è stato
sottoposto a pressioni.



 






 
 
 

PROFFERTE E MERCANTEGGIAMENTI RESPINTI DA SADDAM HUSSEIN

Post n°7 pubblicato il 27 Dicembre 2006 da socialismo2017
 
Foto di socialismo2017

di Salah al-Mukhtar


E' giunto il
momento di dire tutto? Forse sì. Ci siamo rifiutati di parlare delle qualità
del leader e legittimo Presidente dell'Iraq, Saddam Hussein - possa Iddio
restituirgli la libertà - quando le onde sataniche dei Sionisti-Safavidi si
abbattevano sul paese: temevamo di metterci in una posizione non certo
invidiabile, apparendo sulla difensiva. Ma ora che la Rivoluzione armata
irachena sta bussando alla porta di una vittoria decisiva, nell'immediato
futuro - se Dio vuole -, e ora che l'America e i neo-Safavidi stanno per essere
sconfitti e i punti su cui poggiano le forze sataniche sono esposti alla luce
ardente della verità - esempio recente ne è lo smascheramento delle menzogne su
Halabja e sui "massacri" nel Sud dell'Iraq - è venuto il momento di dire
tutto quanto è accaduto negli ultimi anni. E' venuto il momento di dire tutto
sulle profferte fatte dagli Stati Uniti e dai sionisti al Presidente Saddam
Hussein, nella speranza di poter risolvere per mezzo di grandi doni alcuni dei
contrasti con il popolo iracheno. Ci siamo decisi a dire tutto questo ora,
perchè la maggior parte dei testimoni è ancora viva e desideriamo sentire la
loro testimonianza davanti alle masse arabe prima che muoiano - pur sperando
che abbiano una lunga vita.



Siamo stati
indotti a scrivere questo resoconto da quanto ha detto il Presidente Saddam
Hussein durante il suo incontro con l'avvocato Khalil ad-Dulaymi. Saddam
Hussein ha dichiarato "La questione della Palestina è una questione di
tutto il mondo arabo. Chiunque non ne abbia considerazione è come chi non ha
considerazione per il proprio onore e la propria dignità. Hanno fatto molti
tentativi con me. Mi hanno inviato lettere per mezzo di leader arabi e
internazionali e di personalità pubbliche. Dicevano: 'Tutto ciò che vogliamo da
voi non è altro che una parola, non abbiamo bisogno di raggiungere subito un
accordo'. Volevano che mi mostrassi disponibile a riconoscere il loro
cosiddetto Stato di 'Israele'. Ma io ho rifiutato con tutte le mie forze,
nonostante mi avessere detto che il riconoscimento di 'Israelè avrebbe
signficato la fine dell'embargo e il ritorno a rapporti normali con gli Stati
Uniti. Ma mi rendo conto che chiunque non abbia considerazione per il paese e
il territorio farà lo stesso con ogni cosa, con il suo onore e la sua dignità.
Dopo di ciò, non ci sarà per lui alcuna linea rossa. E' una catena a reazione
mortale. C'è solo bisogno di un punto di partenza, e dopo il cammino delle
concessioni andrà avanti senza fine".



Alla luce di
tutto questo si è reso necessario fornire alcune informazioni sulle profferte
fatte su un piatto d'argento al leader della Rivoluzione armata, Saddam
Hussein, proferte che ha respinto con orgoglio e dignità.





Una lettera recapitata per mezzo di un
sacerdote



 



Un sacerdote
proveniente dal Vaticano, nel 1994 - se ben ricordo -, chiese di poter venire
in Iraq poiché aveva una missiva per il Presidente Saddam Hussein. Così fu
invitato, in quanto i dirigenti iracheni pensavano che portasse un messaggio da
parte del Papa. Ma dopo il suo arrivo a Baghdad apparve chiaro che recapitava
una lettera del governo americano, non del Papa! Quando il Presidente Saddam
Hussein lo ricevette, il sacerdote disse "Io porto all'Eccellenza Vostra
una lettera da parte del Presidente americano, che afferma che siamo pronti a
togliere le sanzioni all'Iraq e ad aiutare l'Iraq a risolvere i suoi problemi
se cessa di opporsi alla pace con 'Israele'. Questo non significa che voi
dobbiate riconoscere 'Israele', ma solo che dovete smettere di opporvi e di
fare pressioni su chi desidera farlo".



Saddam Hussein
per un istante lo guardò con i suoi penetranti occhi color miele e poi gli
disse: "Se Saddam Hussein facesse questo, non sarebbe più Saddam Hussein.
Non lo riconoscerebbero più nè il suo popolo nè la nazione araba". E
aggiunse, con voce profonda e potente: "Dite a chiunque vi abbia dato
questo messaggio che il popolo iracheno mi rovescerebbe domani se accettassi
quanto mi chiedete". E pose fine all'incontro con un'espressione famosa:
"Dite loro che se noi ricevessimo da 'Israelè l'aria per respirare,
preferiremmo che ci venisse tagliata".



Il sacerdote se
ne andò avvilito e confuso, dicendo: "Ringrazio Sua Eccellenza il
Presidente per avermi ricevuto e per aver ascoltato quanto avevo da
dirgli". E il Presidente rispose: "Sì, certo, dovete ringraziarmi
davvero per aver ascoltato la vostra proposta". Dopo la fine
dell'incontro, il Presidente ordinò che questo fosse trasmesso in televisione.
Il popolo iracheno udì così il proprio leader rifiutare la proposta di
abbandonare la Palestina in cambio della sospensione delle sanzioni per cui
stavano soffrendo - sanzioni che, secondo le statistiche ONU, uccidevano dai
250 ai 300 iracheni al giorno, a causa della malnutrizione, della mancanza di
medicinali e dell'uso di uranio impoverito.





Una lettera trasmessa da parte del Re
Hussein"



 



Un emissario
personale del defunto Re Hussein di Giordania nel 1994 arrivò a Baghdad con un
messaggio per il Presidente. Il ministro Tareq Aziz - possa Iddio restituirgli
la libertà - lo incontrò e gli chiese: "Perchè volete vedere il
Presidente?" L'ospite giordano, che era un amico personale del Presidente
e di Abu Ziyad (Tareq Aziz), rispose: "La lettera è strettamente privata,
e Sua Maestà il Re ha chiesto che venga consegnata al Presidente in persona!"
L'inviato giordano aggiunse:"Sono inoltre amico del Presidente, e
desidererei salutarlo". Aziz gli chiese:"La lettera riguarda il
baratto della fine delle sanzioni in cambio dell'appoggio ad una soluzione
pacifica con Israele e del suo riconoscimento?" L'emissario giordano
rispose: "Sì, come fate a saperlo?". L'ospite giordano era stupefatto
che Tareq Aziz fosse informato sul contenuto di tale missione 'top secret'.
Aziz replicò: "Non sono stato io a scoprirlo; è stato il Presidente in
persona a prevederlo. Mi ha chiesto di interrogarvi a tal proposito e mi ha
detto di negarvi il permesso di incontrarlo se era questo il motivo per cui
eravate venuto". E difatti l'emissario giordano non incontrò il Presidente
Saddam Hussein.





La mediazione di Amin Jummayyil



 



Il terzo - ma
non l'ultimo - tentativo di mediazione avvenne durante la visita in Iraq di
Amin Jumayyil, l'ex-Presidente del Libano, circa un anno prima dell'invasione.
Egli recava con sè una lettera da parte di George Bush Junior, con il medesimo
contenuto delle due precedenti missive portate dal sacerdote e dall'inviato
giordano. Ma la più importante proposta della lettera di Bush era questa:
"Potete restare al potere, annulleremo la legge che richiede il
rovescimento del vostro regime e porremo fine alle sanzioni, a condizione che
voi veniate a patti con 'Israelè e lo riconosciate, e permettiate ad aziende
statunitensi di investire in Iraq". Il Presidente Saddam Hussein
acconsentì a stitpulare contratti con aziende statunitensi e permettere loro di
investire nel campo della ricostruzione delle infrastrutture dell'industria
petrolifera nazionale, distrutte dall'Aggressione delle Trenta Nazioni nel
1990-1991. Ma il Presidente Saddam Hussein rifiutò risolutamente di riconoscere
Israele.



Jumayyil si
recò una seconda volta in Iraq due settimane prima dell'invasione degli Stati
Uniti, recapitando la seguente minaccia da parte di Bush al Presidente Saddam
Hussein: "Se non riconoscete 'Israelè e non chiedete scusa per aver
tentato di assassinare mio padre, io vi distruggerò". Al che il Presidente
Saddam Hussein rispose: "Dite a Bush che non accettiamo minacce da parte
nessuno".





Una mediazione da parte di un senatore
americano



 



Prima di
quest'ultimo messaggio, ma dopo la fine della guerra con l'Iran e dopo che
l'Iraq era apparso come l'unica grande potenza dell'area, un senatore americano
si era recato in visita in Iraq. Egli iniziò improvvisamente il suo colloquio
con il Presidente dicendo: "Il Primo Ministro di Israele mi ha chiesto di
comunicarvi questo messaggio: 'riducete i vostri armamenti, riconosceteci e vi
garantiamo che potrete impadronirvi di tutti gli Stati del Golfo'".
Proprio come le parole di quel senatore colsero di sorpresa il Presidente, allo
stesso modo il Presidente Saddam Hussein sorprese il senatore dicendo:
"Che cosa io vorrei fare secondo voi con gli Stati del Golfo e perchè
dovrei impadronirmene?" E pose fine al più presto all'incontro, e
l'espressione del suo volto mostrava che era profondamente irritato.





Cose di grande importanza simbolica



 



Dopo aver letto
queste storie, alla fine ci si ritrova di fronte alla domanda chiave: "Che
cosa significa il rifiuto da parte del Presidente Saddam Hussein di tutte
queste profferte statunitensi e israeliane?" Significa precisamente che
l'Iraq di Saddam Hussein ha rifiutato ogni mercanteggiamento sulla questione
palestinese, anche in cambio della sospensione delle sanzioni e di un aiuto
finanziario, tecnologico e politico per l'Iraq. Saddam Hussein ha dimostrato di
essere un uomo di saldi principi, non una persona che agisce per il potere o il
vantaggio personale, benchè si rendesse pienamente e completamente conto del
pericolo che il rifiuto di tale proposte implicava. Si è comportato come
dovrebbe comportarsi un leader iracheno, arabo ed islamico - responsabile delle
sue azioni davanti a Dio e alla nazione.



Se avesse
creduto che resa e cedimenti siano ciò di cui è fatta la politica e che il
compito dei governanti sia cercare di ingraziarsi gli altri, Saddam Hussein
avrebbe potuto diventare "il re degli Arabi e dei Persiani", se
soltanto avesse detto di sì ad 'Israele', se soltanto avesse acconsentito ad
essere trattato "come la coda e non come la testa", come ha detto
all'avvocato. Chiunque guardi la biografia di Saddam - e mi sia concesso lasciar
cadere il suo cognome, perchè non ne ha bisogno, ora che è diventato l'imam dei
mujahideen, che è una gloria ben più grande di ogni carica politica, per quanto
elevata - chiunque guardi la biografia di Saddam comprende immediatemente che
sta leggendo la descrizione di una versione contemporanea dei Compagni del
Profeta. Una persona splendida, che ha lasciato il mondo e tutto quanto c'è in
esso, determinata a sacrificare tutto quanto possa essere richiesto - persino i
suoi figli e la sua piccola famiglia - per la sua famiglia più grande, la
grande Patria araba e la gloriosa Comunità islamica mondiale. È stato e rimane
un simbolo di onore, di patriottismo, di fedeltà al nazionalismo arabo e di
impegno nell'Islam. Tutto questo si incarna per lui in una parola: Palestina.



Questo suo
atteggiamento peculiare è stato uno dei due motivi principali dell'invasione e
distruzione dell'Iraq. L'altro motivo era il petrolio.



Una nazione in
cui vi è un leader come Saddam si solleva contro il nemico. Non può che conseguire
la vittoria, per quanto forti siano i suoi avversari. In Saddam vedete
simbolizzata la sfida di Al-Fallujah, di Mossul, di Bassora, di an- Najaf
Al-Ashraf. Ciò è provato dal modo con cui egli lancia messaggi che fanno
tremare i dirigenti anglo-sassoni. Saddam - possa Iddio presto restituirgli la
libertà - ci riporta alla mente i nostri grandi antenati, in particolare il
primo di tutti i martiri, l'Imam Husayn - che Iddio sia soddisfatto di lui.
Saddam ha scelto la via del martirio come la via necessaria per la resurrezione
e la rinascita. Questo non significa altro che seguire il sentiero di Husayn,
che ha anch'egli rifiutato di negoziare con Yazid e con i funzionari corrotti
del suo tempo, pur sapendo che lui e tutti membri della famiglia del Profeta che
erano con lui sarebbero stati uccisi - che Iddia sia di loro soddisfatto.



Così come la
prontezza di Husayn per il martirio lo ha reso l'esempio più grande del
sacrificio per gli ideali sacri, al medesimo modo il rifiuto di Saddam a
trattare con i tiranni della nostra induce gli Arabi e i Musulmani a rammentare
che siamo i depositari dell'eredità del martirio di Husayn. Ci ricorda che la
vittoria non verrà mai senza sacrificio e martirio. Non ci deve piegare alla
resa, alla capitolazione o alla ricerca di favori.



Certo, il padre
dei martiri poteva restare presidente piegandosi alle condizioni poste
dall'America e da Israele. Ma se lo avesse fatto, non sarebbe rimasto Saddam,
l'Husayn per scelta, il Baathista nel carattere. Non sarerebbe stato che un
capo di stato come gli altri - e possa Iddio impedire che Saddam Hussein
diventi un capo di stato come gli altri. Nessuno conosce la maggior parte dei
nomi dei Califfi che hanno ricoperto la carica dopo Husayn. Quanti capi di
stato sono saliti al trono per diventare famosi come la luna ,ma la cui la fama
è svanita dopo che, come la luna, sono usciti di scena eclissandosi!



Ma Saddam prima
di cadere in prigionia ha generato e cresciuto il suo terzo figlio - la
Resistenza armata. Salve, terzo figlio di Saddam, dalla cui mano Gilgamesh
mangerà il frutto della vita eterna irachena, e taglierà la testa del serpente
che vuole rubarlo.



 

 
 
 

LE SCIOCCHEZZE DI SOFRI E RAMPOLDI

Post n°6 pubblicato il 27 Dicembre 2006 da socialismo2017
 
Foto di socialismo2017





di Giulietto Chiesa



Quando il gioco si fa duro Repubblica non risparmia pagine. Di sciocchezze.
Affidandole ai suoi sciocchezzatori di punta. Caratteristica principale dello
sciocchezzatore – quando non si libri nel vasto cielo delle bugie - è quella
di aggrapparsi al dettaglio per divagare nel grande mare delle analogie.


Specialista di queste virtù è il noto Garton Ash, quello che credette
sinceramente a tutte le panzane di Rumsfeld e di Colin Powell prima della
guerra irachena, ricamandovi sopra intere vagonate di sciocchezze, per poi
riconoscere l'abbaglio, ma anche per accusare contestualmente Saddam Hussein,
reo (oltre che novello Hitler) di averci tutti tratti in inganno per non aver
dichiarato per tempo che non le aveva, le armi di distruzione di massa.






 






Ma questa volta, si presume, Garton Ash non ha ancora scritto, e dunque ci
si affida agli sciocchezzatori nostrani, cui si è aggiunto occasionalmente
anche l'inedito Michele Serra. Per altro Sofri e Rampoldi fecero parte
attiva, ai tempi delle guerre precedenti, nell'additare Saddam Hussein, come
l'Hitler di turno. E non risulta che alcuno di loro si sia levato anche solo
a suggerire che, magari, quella fialetta memorabile sollevata dal Colin al
Consiglio di Sicurezza dell'ONU fosse piena d'inchiostro, o d'altre sostanze
coloranti innocue di quelle che servono per rendere attraenti gli shampoo o
le caramelle.


Sofri esordisce volando come un bombardiere, contro Gino Strada,
ricordandoci che l'intervento della NATO fu “autorizzato e ora implorato
dall'ONU”. Si è dimenticato che appena nel 1999, per strana ma provvida
coincidenza, le regole della NATO furono cambiate a Washington, senza che nemmeno
i parlamenti degli alleati fossero informati. Quello italiano nemmeno ne
discusse. E non si trattava di un cambiamento da poco. Vogliamo
ricordarglielo: la NATO estendeva, con le nuove regole, il suo campo d'azione
a tutto il pianeta e, al contempo, si autorizzava a svolgere funzioni
preventive (cioè ad agire solidarmente non più solo in caso di attacco contro
uno dei membri, ma a prescindere, in base a valutazioni di altro genere,
sicurezza, prevenzione, peace keeping, peace enforcing etc ). Si è dimenticato,
lo sciocchezzatore Sofri, che l'intervento in Afghanistan fu deciso
dall'Amministrazione Bush prima che l'ONU lo autorizzasse, anzi, per la
precisione, ben prima dell'11 settembre 2001. E si è dimenticato anche che
l'offensiva si chiamava inizialmente (quale lapsus!) “ Infinite War
e poi “ Enduring Freedom ”. La tardiva autorizzazione dell'ONU non
ha mai riguardato la partecipazione della NATO a Enduring Freedom .
Infatti la NATO, di cui non tutti i membri sono gonzi, si limitò a inviare un
contingente che aveva, all'inizio, funzioni di polizia limitate alla regione
di Kabul e non abilitato a partecipare ad azioni di guerra. Senza dimenticare
che noi non viviamo nell'empireo dei buoni sentimenti e che le Nazioni Unite,
in questi anni, sono state bistrattate e violentate dai membri permanenti del
Consiglio di Sicurezza, per cui le loro decisioni sono anch'esse soggette
allo scrutinio di legittimità. E può accadere (perché è accaduto più di una
volta) che l'ONU abbia preso decisioni che contrastano perfino con il suo
statuto.


Stiamo assistendo, per esempio, all'aggressione militare su larga scala da
parte di Israele contro il Libano sovrano. E l'ONU cosa fa? Fa il Ponzio
Pilato, di fronte alla violazione del suo statuto. E' questa la giusta posizione,
cui fare riferimento? Niente affatto, non appena si capisca che l'ONU è
costretta a riflettere anch'essa i rapporti di forza. E se, in queste
condizioni, pronuncia un verdetto, dobbiamo sapere che esso altro non è che
l'effetto dei rapporti di forza, non la verità ultima e inappellabile.


Adriano Sofri non lo sa? Ma se non lo sa perché scrive di cose che non sa?
E se lo sa perché mescola criteri etici astratti a considerazioni di realismo
politico spicciolo, usando gli uni e le altre come meglio gli fa comodo,
volta a volta, per esercizio polemico?


La prima sciocchezza di Sofri è dunque palese. Parla di cose che non
conosce, per sentito dire. Come gli sciocchi, appunto.


E che dire del titolo che il giornale ha dato all'intera paginata di
Sofri? “Cari pacifisti, sulla guerra vi sbagliate”. E su cosa dovrebbero i
pacifisti essere nel giusto o nel torto, se non sulla guerra? E se si
sbagliano sulla guerra e sulla pace, che è il loro pane quotidiano, cosa
resta loro se non il suicidio? Ma lasciamo perdere perché ci sarebbe da
morire dal ridere se dovessimo fare il fascio completo delle bugie e delle
sciocchezze e di tutti i loro autori.


Proseguiamo nell'arduo percorso. Subito dopo la prima perla, Sofri salta
il fosso e passa apertamente sul terreno della destra più sfegatata: come mai
non manifestaste contro i taliban? Solita scemenza di quelli che non
manifestano mai, della maggioranza silenziosa dei menefreghisti più
incalliti, che pensano solo ai fatti loro. Ma anche un furbesco ammiccare
all'accusa del tipo di quelle che piacciono tanto a “Betulla”: voi siete
amici, complici dei terroristi. Siamo già alle soglie del maccartismo.


Domanda, a lui e a Rampoldi: avete mai manifestato contro i taliban? Per
quanto riguarda me, e molti altri pacifisti, la risposta è sì. Quando
scrivemmo, ben prima della guerra afgana, che i taliban erano stati
organizzati dai servizi segreti pakistani, che a loro volta agivano in
combutta con la Unocal e la Delta Oil, compagnie petrolifere rispettivamente
americana e saudita, che progettavano di far passare oleodotti e gasdotti dal
Turkmenistan al Golfo Persico, via Afghanistan.


Di che si occupavano allora Sofri e Rampoldi? Non ricordo di avere letto
loro infuocati commenti contro i servizi segreti pakistani e americani. Ma
aggiungo un'altra domanda ai due sciocchezzatori: avete mai manifestato
contro i mujaheddin? Sì, contro gli eroi democratici come Gulbuddin
Hekhmatiar che eroicamente combatterono, con le armi e i dollari americani,
per cacciare l'invasore sovietico? Questi li ricordo bene: gl'inni alla
“resistenza popolare” afgana “contro il comunismo”. Salvo che poi, quando i
sovietici se ne andarono, l'oblio più totale cadde sull'Afghanistan e nessuno
si accorse (e naturalmente manifestò nelle piazze) del fatto che i mujaheddin
si stavano scannando tra di loro, che ammazzavano i loro compatrioti come le
mosche, che Kabul venne rasa al suolo dai cannoni delle diverse fazioni, che
le donne che portavano la gonna sopra le caviglie venivano fucilate in
piazza, eccetera, eccetera. Adesso Sofri ci parla del regime talibano come di
una “tirannide oscena”, e accusa Strada di preferire i taliban a Karzai.
Falsa, ovviamente l'accusa. Ma bugiarda l'argomentazione, perché Sofri salta
a piè pari i misfatti dei mujaheddin, mettendo tutto in un sacco buio. Quando
invece dovrebbe essere chiaro che i taliban arrivarono al potere, nel 1996,
dopo quattro anni di scempi, i cui autori non furono i taliban, creati dagli
americani, ma i mujaheddin (tra cui Osama bin Laden) alleati degli americani.
Dov'erano Sofri e Rampoldi in quel periodo? Di quali farfalle si occupavano?
E sono a conoscenza del fatto che alcuni di quei massacratori (pre-taliban)
sono adesso al governo con il democraticissimo Ahmid Karzai, ex dipendente
della Unocal? Non parliamo del crociato Rampoldi, che si spinge ad accusare i
pacifisti (Fini o Calderoli non saprebbero fare di meglio) di volere che i
talibani si riprendano l'Afghanistan e che Al Qaeda “riassuma il controllo
delle più grandi piantagioni di papavero da oppio del pianeta, ricavandone
abbastanza per finanziare il terrorismo ovunque”. Untorello che non si
accorge di scrivere quello che esattamente sta accadendo adesso, quando il
governo Karzai sta in piedi fino a che farà comodo ai signori della guerra,
controllori delle grandi piantagioni di papavero. E poiché dietro agli uni e
all'altro sta l'ISI pakistano, possiamo essere certi che una parte grande di
quei denari vada proprio a finanziare il terrorismo che gli Stati Uniti
fingono di combattere. Ma, vien da chiedersi, questo Rampoldi, che pare non
sapere come gira il mondo, ci fa o ci è? I pacifisti - per lo meno quelli che
conosco io, ma forse Rampoldi ne frequenta altri - non hanno alcun bisogno di
“volere a tutti i costi che la guerra americana si concluda con una sconfitta”.
Non siamo noi a determinare l'esito della guerra americana, bastano gli
americani stessi. Il nostro problema è che questi Stati Uniti, armati fino ai
denti e determinati a vincere, rischiano di finire male loro stessi e,
insieme, di far finire male tutti noi. Ecco la nostra preoccupazione.


Altra costante di tutti questi ragionamenti (si fa per dire), che
accomunano Sofri e Rampoldi alla larga schiera di commentatori di destra e di
centro, è l'accusa ai pacifisti di essere degli inguaribili moralisti, capaci
soltanto di posizioni di principio, incapaci dunque di ogni realismo. Ma la
cosa più curiosa è che questi fustigatori del moralismo sono poi i moralisti
a oltranza, che leggono la politica mondiale come una successione di puri
principi, dove s'invoca (di nuovo Sofri) l'uso di una “forza legittima e
proporzionata e trasparente; il contrario della potenza tracotante e
smisurata e opaca della guerra”. Come se non sapessero, ad esempio, chi ha
armato l'UCK in Kosovo, preparando la guerra “umanitaria”; come non sapessero
in che modo è stata preparata la guerra irachena; come non avessero mai
sentito parlare dei dubbi, sempre più pesanti con il passare del tempo, su
quell'11 settembre 2001 (per meglio dire: sulla versione ufficiale
dell'evento tragico) che cambiò la storia del mondo e avviò la guerra
infinita contro il cosiddetto terrorismo internazionale. Chi è il moralista
ipocrita, qui? Chi ritiene, con ben fondati motivi, che ci troviamo nel bel
mezzo, come scrive inorridito Sofri, di “una guerra globale asservita agli
Stati Uniti”, oppure chi, anima bella, sembra ritenere che gli Stati Uniti
stanno guidando il mondo verso la democrazia e la giustizia universale a
colpi di cannone e di missile?


Ma Sofri, che predica realismo, pensa che viviamo nel mondo della “forza
legittima e proporzionata e trasparente”. Proprio mentre è in corso, in
Libano e in Palestina, sotto i nostri occhi, l'uso di una forza illegittima,
sproporzionata, menzognera. Mentre i forti, che ammazzano i deboli che
cercano di difendersi, vengono assolti per legittima difesa e, al massimo, si
fa loro presente, con timidezza, che forse sarebbe utile che reagissero con
meno violenza, ammazzando un po' meno civili innocenti, bambini, vecchi e
donne.


Ci vuole davvero una bella faccia tosta per fare prediche ai pacifisti in
una situazione come questa. Solo Magdi Allam potrebbe fare di peggio.


Nessuno o pochi, tra i pacifisti di mia conoscenza, dice o scrive che la
Kabul di oggi è “peggio” di quella dei taliban. Ma è qui il trucco: nel
proporre questo confronto. Siete voi che affermate che la Kabul di oggi “è
meglio” di quella dei taliban. E qui vi sbagliate, o mentite, o, peggio
ancora, vi arrogate il diritto di decidere prima e meglio degli afgani. Vi ricordo
che un anno fa l'Afghanistan era dato per pacificato e le elezioni farsa che
vi si tennero erano presentate come un grande passo avanti verso la
democrazia. Oggi nemmeno voi riuscireste a fare un'affermazione del genere.
Perché anche voi sapete che le cose stanno andando male, molto male, per gli
occupanti. Dunque abbiate la prudenza di aspettare a formulare giudizi. Poi
si vedrà qual'è l'Afghanistan “più fasullo”: quello di Gino Strada o quello
di Guido Rampoldi. Potreste trovarvi presto nella condizione di Fassino, che
esaltò la grande vittoria democratica delle elezioni irachene, con “oltre
otto milioni e mezzo di votanti” (e ancora adesso c'è da chiedersi chi gli
diede quella cifra). Con il solo, piccolo problema che ora l'Irak è in preda
alla guerra civile e che, nel solo mese di giugno di quest'anno (cifre
riferite da Le Figaro) si sono verificati oltre 1200 attacchi militari,
mentre i media italiani, tra cui quello per cui voi scrivete, continuano a
raccontarci solo la favole di Al Qaeda e dei suoi kamikaze.


Del governo e della sua sopravvivenza non voglio neppure parlare. Se non
per ricordare a Sofri e a Rampoldi che il risultato elettorale dice una cosa
inequivocabile: la vittoria contro Berlusconi è il frutto di una battaglia
comune, alla quale hanno preso parte tutti, inclusi naturalmente i pacifisti.
I numeri, invero risicati, dicono che ogni voto è stato utile anzi
necessario. E, quindi, la responsabilità della tenuta del governo grava in
misura eguale su tutte le sue componenti. Non c'è qualcuno “più responsabile”
e qualcuno “meno responsabile” . Tanto meno la responsabilità può essere
assegnata in modo inversamente proporzionale alla quantità di deputati, per
cui coloro che sono in minoranza dentro la maggioranza dovrebbero cedere e
accettare le valutazioni della maggioranza nella maggioranza. E chi ha mai
stabilito questa regola?


E in base a quale criterio, imperante un sistema maggioritario demenziale
che ha chiuso la bocca agli elettori, la minoranza pacifista (che, appunto
stando ai recentissimi sondaggi d'opinione, è larga maggioranza nel paese),
contraria al rifinanziamento della missione afgana, dovrebbe cedere, mentre
gli altri, impegnati esclusivamente a garantirsi la benevola approvazione di
Washington, non cercano neppure la strada di un compromesso?


Infine una piccola e banale considerazione. Il voto della destra, identico
a quello del centro sinistra alla Camera dei Deputati, dice più e meglio di
ogni altra considerazione che sul tema della guerra e della pace questo
governo di centro sinistra ha mantenuto una continuità con quello di centro
destra. So bene che, anche quando Berlusconi era al governo, e anche prima
che vi arrivasse, spesso e volentieri, su queste questioni, i leader del
centro sinistra adottarono una politica bipartisan, appoggiando, quando non
promuovendo, opzioni belliche. Male allora, male adesso, quando la destra
vota con il centro sinistra. Male per tutti, cari Sofri e Rampoldi. Male
anche per voi, che siete così impegnati a giustificare le azioni del potere. Viene
da chiedersi: ma pensate davvero che ve ne verrà gloria e merito?






 






 




 
 
 
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