Amor vincit omnia

Pieni e vuoti


 
Lei se n’era andata senza nemmeno sbattere la porta. “Io non ci sto a colmare i tuoi vuoti. O almeno, non ci sto a colmare i tuoi vuoti se non posso colmare anche i pieni” aveva detto con quella voce chiara e distante dei suoi momenti peggiori. Sapeva simularla la freddezza, ma non con lui. Con lui non era mai riuscito l’algido inganno. Lui lo sentiva il fuoco covare sotto il gelo. E lei sapeva bene che non lo stava ingannando affatto. Semplicemente se ne stava andando. Con il cuore rotto e i sensi in subbuglio che lui sempre le lasciava. Se n’era andata senza nemmeno sbattere la porta, come al suo solito non sapeva perdere quella pazienza che lo sfiniva. Ché se avesse almeno sbattuto la porta lui avrebbe avuto di che incazzarsi, avrebbe potuto darle della stronza, dell’acida, dell’oca come sono sempre le donne. Sempre tranne le eccezioni. E lei era l’eccezione, ma non bastava lo stesso per lui. Lei aveva fatto centro andandosene: lui passava il suo tempo a riempire i vuoti, a farli diventare pieni occasionali e poco soddisfacenti cui seguivano vuoti peggiori dei primi. Non aveva mai imparato a convivere solo con se stesso. Si annoiava con se stesso, non ci trovava nulla di interessante in se stesso. E non aveva mai capito come lei potesse continuare a ripetergli che era bello. Non lo aveva mai neppure accettato. C’era poco da capire: lei era uguale a lui, passava il tempo a demolirsi e riempire i suoi vuoti, abbattersi e ricostruirsi, novella Penelope con la sua interminabile tela. Lei non aveva mai tentato di capirlo, non le interessava. Semplicemente lo aveva riconosciuto e quel che non aveva accettato era che lui non l’avesse riconosciuta. Allora non era vero quello che le avevano detto “le anime affini si riconoscono”!   Lui si sentiva spacciato. Lei ingannata. Entrambi odiavano le leggende che gli altri si raccontano per consolarsi.    Mentre mi volto indietro e svuoto la valigia