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La Caporetto della minoranza Pd


 Con degli avversari così, vincerebbe quasi chiunque. E’ spianata la strada che trova davanti a sé Matteo Renzi alla direzione del Pd di lunedì. E’ un gioco per il segretario/premier ottenere quello che vuole: una rapida e imponente approvazione del documento sul Jobs Act.E anche per questo che Matteo Renzi può sorridere a fine serata: con questi avversari la sua leadership ha poco da temere. Infatti, sia l’intervento di Massimo D’Alema, sia quello di Pier Luigi Bersani, più che politici erano interventi pieni di risentimento personale.Soprattutto quello dell’ex Presidente del Consiglio è sembrato un intervento pieno di livore, enunciato più per cercare di gettare addosso a Renzi il suo sarcasmo che per mantenere fede ai propri principi. E sotto questo profilo, per esempio, la differenza con l’intervento di Gianni Cuperlo, più orgoglioso e politico, è stata piuttosto notevole.Mentre i “giovani turchi” votavano, come d’abitudine ormai, con il Premier, Bersani, D’Attorre, D’Alema, Civati e i suoi votavano contro il documento presentato da Renzi, invece il capogruppo Roberto Speranza, bersaniano, preferiva la via dell’astensione.Una minoranza, quella interna al PD, che sembra impotente non tanto e non solo per lo strapotere dei numeri del Premier, ma perchè sembra in qualche modo prigioniera della sconfitta personale dei suoi (ex) leader. Diciamoci la verità: ogni volta che D’Alema, Bindi o Bersani si scagliano contro Renzi, il segretario democratico vede aumentare i propri consensi. E’ ormai diventato impossibile riconoscere, o meglio tenere separate, le critiche politiche dell’ex gruppo dirigente democratico, dalla sete di rivincita.