voglia di....

Da La Repubblica : VERGOGNA ITALIANA


di GIUSEPPE D'AVANZO/> C'ERA anche un carabiniere "buono", quel giorno. Molti "prigionieri"> lo ricordano. "Giovanissimo". Più o meno ventenne, forse "di leva".> Altri l'hanno in mente con qualche anno in più. In tre giorni di> "sospensione dei diritti umani", ci sono stati dunque al più due> uomini compassionevoli a Bolzaneto, tra decine e decine di poliziotti,> carabinieri, guardie di custodia, poliziotti carcerari, generali,> ufficiali, vicequestori, medici e infermieri dell'amministrazione> penitenziaria. Appena poteva, il carabiniere "buono" diceva ai> "prigionieri" di abbassare le braccia, di levare la faccia dal muro,> di sedersi. Distribuiva la bottiglia dell'acqua, se ne aveva una a> disposizione. Il ristoro durava qualche minuto. Il primo ufficiale di> passaggio sgridava con durezza il carabiniere tontolone e di buon> cuore, e la tortura dei prigionieri riprendeva.>> Tortura. Non è una formula impropria o sovrattono. Due anni di> processo a Genova hanno documentato - contro i 45 imputati - che cosa> è accaduto a Bolzaneto, nella caserma Nino Bixio del reparto mobile> della polizia di Stato nei giorni del G8, tra venerdì 20 e domenica 22> luglio 2001, a 55 "fermati" e 252 arrestati. Uomini e donne. Vecchi e> giovani. Ragazzi e ragazze. Un minorenne. Di ogni nazionalità e> occupazione; spagnoli, greci, francesi, tedeschi, svizzeri, inglesi,> neozelandesi, tre statunitensi, un lituano.>> Studenti soprattutto e disoccupati, impiegati, operai, ma anche> professionisti di ogni genere (un avvocato, un giornalista...). I> pubblici ministeri Patrizia Petruzziello e Vittorio Ranieri Miniati> hanno detto, nella loro requisitoria, che "soltanto un criterio> prudenziale" impedisce di parlare di tortura. Certo, "alla tortura si> è andato molto vicini", ma l'accusa si è dovuta dichiarare impotente a> tradurre in reato e pena le responsabilità che hanno documentato con> la testimonianza delle 326 persone ascoltate in aula.> Il reato di tortura in Italia non c'è, non esiste. Il Parlamento non> ha trovato mai il tempo - né avvertito il dovere in venti anni - di> adeguare il nostro codice al diritto internazionale dei diritti umani,> alla Convenzione dell'Onu contro la tortura, ratificata dal nostro> Paese nel 1988. Esistono soltanto reatucci d'uso corrente da gettare> in faccia agli imputati: l'abuso di ufficio, l'abuso di autorità> contro arrestati o detenuti, la violenza privata. Pene dai sei mesi ai> tre anni che ricadono nell'indulto (nessuna detenzione, quindi) e> colpe che, tra dieci mesi (gennaio 2009), saranno prescritte (i tempi> della prescrizione sono determinati con la pena prevista dal reato).>> Come una goccia sul vetro, penosamente, le violenze di Bolzaneto> scivoleranno via con una sostanziale impunità e, quel che è peggio,> possono non lasciare né un segno visibile nel discorso pubblico né,> contro i colpevoli, alcun provvedimento delle amministrazioni> coinvolte in quella vergogna. Il vuoto legislativo consentirà a tutti> di dimenticare che la tortura non è cosa "degli altri", di quelli che> pensiamo essere "peggio di noi". Quel "buco" ci permetterà di> trascurare che la tortura ci può appartenere. Che - per tre giorni -> ci è già appartenuta.>> Nella prima Magna Carta - 1225 - c'era scritto: "Nessun uomo libero> sarà arrestato, imprigionato, spossessato della sua indipendenza,> messo fuori legge, esiliato, molestato in qualsiasi modo e noi non> metteremo mano su di lui se non in virtù di un giudizio dei suoi pari> e secondo la legge del paese". Nella nostra Costituzione, 1947,> all'articolo 13 si legge: "La libertà personale è inviolabile. È> punita ogni violenza fisica e morale sulle persone comunque sottoposte> a restrizione di libertà">> La caserma di Bolzaneto oggi non è più quella di ieri. Con un'accorta> gestione, si sono voluti cancellare i "luoghi della vergogna",> modificarne anche gli spazi, aprire le porte alla città, alle autorità> cittadine, civili, militari, religiose coltivando l'idea di farne un> "Centro della Memoria" a ricordo delle vittime dei soprusi. C'è un> campo da gioco nel cortile dove, disposti su due file, i "carcerieri"> accompagnavano l'arrivo dei detenuti con sputi, insulti, ceffoni,> calci, filastrocche come "Chi è lo Stato? La polizia! Chi è il capo?> Mussolini!", cori di "Benvenuti ad Auschwitz".>> Dov'era il famigerato "ufficio matricole" c'è ora una cappella> inaugurata dal cardinale Tarcisio Bertone e nei corridoi, dove nel> 2001 risuonavano grida come "Morte agli ebrei!", ha trovato posto una> biblioteca intitolata a Giovanni Palatucci, ultimo questore di Fiume> italiana, ucciso nel campo di concentramento di Dachau per aver> salvato la vita a 5000 ebrei.>> Quel giorno, era venerdì 20 luglio, l'ambiente è diverso e il clima di> piombo. Dopo il cancello e l'ampio cortile, i prigionieri sono> sospinti verso il corpo di fabbrica che ospita la palestra. Ci sono> tre o quattro scalini e un corridoio centrale lungo cinquanta metri. È> qui il garage Olimpo. Sul corridoio si aprono tre stanze, una sulla> sinistra, due sulla destra, un solo bagno. Si è identificati e> fotografati. Si è costretti a firmare un prestampato che attesta di> non aver voluto chiamare la famiglia, avvertire un avvocato. O il> consolato, se stranieri (agli stranieri non si offre la traduzione del> testo).>> A una donna, che protesta e non vuole firmare, è mostrata la foto dei> figli. Le viene detto: "Allora, non li vuoi vedere tanto presto...". A> un'altra che invoca i suoi diritti, le tagliano ciocche di capelli.> Anche H. T. chiede l'avvocato. Minacciano di "tagliarle la gola". M.> D. si ritrova di fronte un agente della sua città. Le parla in> dialetto. Le chiede dove abita. Le dice: "Vengo a trovarti, sai". Poi,> si è accompagnati in infermeria dove i medici devono accertare se i> detenuti hanno o meno bisogno di cure ospedaliere. In un angolo si è,> prima, perquisiti - gli oggetti strappati via a forza, gettati in> terra - e denudati dopo. Nudi, si è costretti a fare delle flessioni> "per accertare la presenza di oggetti nelle cavità".>> Nessuno sa ancora dire quanti sono stati i "prigionieri" di quei tre> giorni e i numeri che si raccolgono - 55 "fermati", 252 "arrestati" -> sono approssimativi. Meno imprecisi i "tempi di permanenza nella> struttura". Dodici ore in media per chi ha avuto la "fortuna" di> entrarvi il venerdì. Sabato la prigionia "media" - prima del> trasferimento nelle carceri di Alessandria, Pavia, Vercelli, Voghera -> è durata venti ore. Diventate trentatré la domenica quando nella notte> tra 1.30 e le 3.00 arrivano quelli della Diaz, contrassegnati> all'ingresso nel cortile con un segno di pennarello rosso (o verde)> sulla guancia.>> È saltato fuori durante il processo che la polizia penitenziaria ha un> gergo per definire le "posizioni vessatorie di stazionamento o di> attesa". La "posizione del cigno" - in piedi, gambe divaricate,> braccia alzate, faccia al muro - è inflitta nel cortile per ore, nel> caldo di quei giorni, nell'attesa di poter entrare "alla matricola".> Superati gli scalini dell'atrio, bisogna ancora attendere nelle celle> e nella palestra con varianti della "posizione" peggiori, se> possibile. In ginocchio contro il muro con i polsi ammanettati con> laccetti dietro la schiena o nella "posizione della ballerina", in> punta di piedi.>> Nelle celle, tutti sono picchiati. Manganellate ai fianchi. Schiaffi> alla testa. La testa spinta contro il muro. Tutti sono insultati: alle> donne gridato "entro stasera vi scoperemo tutte"; agli uomini, "sei un> gay o un comunista?" Altri sono stati costretti a latrare come cani o> ragliare come asini; a urlare: "viva il duce", "viva la polizia> penitenziaria". C'è chi viene picchiato con stracci bagnati; chi sui> genitali con un salame, mentre steso sulla schiena è costretto a> tenere le gambe aperte e in alto: G. ne ricaverà un "trauma> testicolare". C'è chi subisce lo spruzzo del gas> urticante-asfissiante. Chi patisce lo spappolamento della milza. A.>> D. arriva nello stanzone con una frattura al piede. Non riesce a stare> nella "posizione della ballerina". Lo picchiano con manganello. Gli> fratturano le costole. Sviene. Quando ritorna in sé e si lamenta, lo> minacciano "di rompergli anche l'altro piede". Poi, gli innaffiano il> viso con gas urticante mentre gli gridano. "Comunista di merda". C'è> chi ricorda un ragazzo poliomielitico che implora gli aguzzini di "non> picchiarlo sulla gamba buona". I. M. T. lo arrestano alla Diaz. Gli> viene messo in testa un berrettino con una falce e un pene al posto> del martello. Ogni volta che prova a toglierselo, lo picchiano. B. B.> è in piedi.>> Gli sbattono la testa contro la grata della finestra. Lo denudano. Gli> ordinano di fare dieci flessioni e intanto, mentre lo picchiano> ancora, un carabiniere gli grida: "Ti piace il manganello, vuoi> provarne uno?". S. D. lo percuotono "con strizzate ai testicoli e> colpi ai piedi". A. F. viene schiacciata contro un muro. Le gridano:> "Troia, devi fare pompini a tutti", "Ora vi portiamo nei furgoni e vi> stupriamo tutte". S. P. viene condotto in un'altra stanza, deserta. Lo> costringono a denudarsi. Lo mettono in posizione fetale e, da questa> posizione, lo obbligano a fare una trentina di salti mentre due agenti> della polizia penitenziaria lo schiaffeggiano. J. H. viene picchiato e> insultato con sgambetti e sputi nel corridoio. Alla perquisizione, è> costretto a spogliarsi nudo e "a sollevare il pene mostrandolo agli> agenti seduti alla scrivania". J. S., lo ustionano con un accendino.>> Ogni trasferimento ha la sua "posizione vessatoria di transito", con> la testa schiacciata verso il basso, in alcuni casi con la pressione> degli agenti sulla testa, o camminando curvi con le mani tese dietro> la schiena. Il passaggio nel corridoio è un supplizio, una forca> caudina. C'è un doppia fila di divise grigio-verdi e blu. Si viene> percossi, minacciati.>> In infermeria non va meglio. È in infermeria che avvengono le doppie> perquisizioni, una della polizia di Stato, l'altra della polizia> penitenziaria. I detenuti sono spogliati. Le donne sono costrette a> restare a lungo nude dinanzi a cinque, sei agenti della polizia> penitenziaria. Dinanzi a loro, sghignazzanti, si svolgono tutte le> operazioni. Umilianti. Ricorda il pubblico ministero: "I piercing> venivano rimossi in maniera brutale. Una ragazza è stata costretta a> rimuovere il suo piercing vaginale con le mestruazioni dinanzi a> quattro, cinque persone". Durante la visita si sprecano le battute> offensive, le risate, gli scherni. P.>> B., operaio di Brescia, lo minacciano di sodomizzazione. Durante la> perquisizione gli trovano un preservativo. Gli dicono: "E che te ne> fai, tanto i comunisti sono tutti froci". Poi un'agente donna gli si> avvicina e gli dice: "È carino però, me lo farei". Le donne, in> infermeria, sono costrette a restare nude per un tempo superiore al> necessario e obbligate a girare su se stesse per tre o quattro volte.> Il peggio avviene nell'unico bagno con cesso alla turca, trasformato> in sala di tortura e terrore. La porta del cubicolo è aperta e i> prigionieri devono sbrigare i bisogni dinanzi all'accompagnatore. Che> sono spesso più d'uno e ne approfittano per "divertirsi" un po'.>> Umiliano i malcapitati, le malcapitate. Alcune donne hanno bisogno di> assorbenti. Per tutta risposta viene lanciata della carta da giornale> appallottolata. M., una donna avanti con gli anni, strappa una> maglietta, "arrangiandosi così". A. K. ha una mascella rotta.> L'accompagnano in bagno. Mentre è accovacciata, la spingono in terra.> E. P. viene percossa nel breve tragitto nel corridoio, dalla cella al> bagno, dopo che le hanno chiesto "se è incinta". Nel bagno, la> insultano ("troia", "puttana"), le schiacciano la testa nel cesso, le> dicono: "Che bel culo che hai", "Ti piace il manganello".>> Chi è nello stanzone osserva il ritorno di chi è stato in bagno. Tutti> piangono, alcuni hanno ferite che prima non avevano. Molti rinunciano> allora a chiedere di poter raggiungere il cesso. Se la fanno sotto,> lì, nelle celle, nella palestra. Saranno però picchiati in infermeria> perché "puzzano" dinanzi a medici che non muovono un'obiezione. Anche> il medico che dirige le operazioni il venerdì è stato "strattonato e> spinto".>> Il giorno dopo, per farsi riconoscere, arriva con il pantalone della> mimetica, la maglietta della polizia penitenziaria, la pistola nella> cintura, gli anfibi ai piedi, guanti di pelle nera con cui farà poi il> suo lavoro liquidando i prigionieri visitati con "questo è pronto per> la gabbia". Nel suo lavoro, come gli altri, non indosserà mai il> camice bianco. È il medico che organizza una personale collezione di> "trofei" con gli oggetti strappati ai "prigionieri": monili, anelli,> orecchini, "indumenti particolari". È il medico che deve curare L. K.>> A L. K. hanno spruzzato sul viso del gas urticante. Vomita sangue.> Sviene. Rinviene sul lettino con la maschera ad ossigeno. Stanno> preparando un'iniezione. Chiede: "Che cos'è?". Il medico risponde:> "Non ti fidi di me? E allora vai a morire in cella!". G. A. si stava> facendo medicare al San Martino le ferite riportate in via Tolemaide> quando lo trasferiscono a Bolzaneto. All'arrivo, lo picchiano contro> un muretto. Gli agenti sono adrenalinici. Dicono che c'è un> carabiniere morto. Un poliziotto gli prende allora la mano. Ne> divarica le dita con due mani. Tira. Tira dai due lati. Gli spacca la> mano in due "fino all'osso". G. A. sviene. Rinviene in infermeria. Un> medico gli ricuce la mano senza anestesia. G. A. ha molto dolore.> Chiede "qualcosa". Gli danno uno straccio da mordere. Il medico gli> dice di non urlare.>> Per i pubblici ministeri, "i medici erano consapevoli di quanto stava> accadendo, erano in grado di valutare la gravità dei fatti e hanno> omesso di intervenire pur potendolo fare, hanno permesso che quel> trattamento inumano e degradante continuasse in infermeria".>> Non c'è ancora un esito per questo processo (arriverà alla vigilia> dell'estate). La sentenza definirà le responsabilità personali e le> pene per chi sarà condannato. I fatti ricostruiti dal dibattimento,> però, non sono più controversi. Sono accertati, documentati, provati.> E raccontano che, per tre giorni, la nostra democrazia ha superato> quella sempre sottile ma indistruttibile linea di confine che protegge> la dignità della persona e i suoi diritti. È un'osservazione che già> dovrebbe inquietare se non fosse che - ha ragione Marco Revelli a> stupirsene - l'indifferenza dell'opinione pubblica, l'apatia del ceto> politico, la noncuranza delle amministrazioni pubbliche che si sono> macchiate di quei crimini appaiono, se possibile, ancora più> minacciose delle torture di Bolzaneto.>> Possono davvero dimenticare - le istituzioni dello Stato, chi le> governa, chi ne è governato - che per settantadue ore, in una caserma> diventata lager, il corpo e la "dimensione dell'umano" di 307 uomini e> donne sono stati sequestrati, umiliati, violentati? Possiamo davvero> far finta di niente e tirare avanti senza un fiato, come se i nostri> vizi non fossero ciclici e non si ripetessero sempre "con lo stesso> cinismo, la medesima indifferenza per l'etica, con l'identica allergia> alla coerenza"?