come seta al vento

Otto mesi


E’ il 15 di agosto…Il vento soffia forte e mi porta il suono delle urla in spiaggia, l’odore delle braci che ardono in campagna e la frenesia delle comitive che si organizzano nei parcheggi dei supermercati prima delle partenze poco strategiche.Tutto arriva da lontano, nitido ed indifferente, mentre procedo pigramente con il mio personale piano per la giornata; tiro su la sedia a rotelle che da otto mesi raccoglie polvere e l’indirizzo verso la cantina, è cosi inusualmente leggera, vuota: oggi è il giorno che ho scelto per impacchettare un po’ di passato, il 15 agosto per l’appunto.Il vento non da sollievo contro il sole alto che a contatto con la pelle crea una sottile patina di sudore che si mescola con le lacrime che scendono copiose da un po’.Quanti cassetti ci sono nella mia vita?  Quanto amore può una persona sola impacchettare meticolosamente e riporre ordinatamente nel cuore? La sedia a rotelle stava lì, “Qualche giorno” mi ero detta appena ero tornata dalla camera mortuaria, “Qualche settimana” avevo incalzato tra me e me poco dopo, e invece sono passati mesi, otto.Che senso aveva tenerla lì? Me lo chiedevo ogni tanto, non sarebbe servita certo a farla tornare, né mi avrebbe aiutata a superare prima quell’ultimo anno di odissea e odore di ospedale che mi si era cucito addosso come una seconda pelle. Non avrebbe curato il mio cuore che aveva imparato a battere a ritmi a lui sconosciuti, con accelerate incontrollate ed arresti cosi lunghi da temere di non sentirlo più: stava lì come un trofeo amaro dell’ennesima sconfitta della vita contro la morte.Oggi mentre quasi tutti erano intenti a festeggiare, ho smontato la sedia e l’ho riposta con cura; volevo essere sola, eppure sola non ero, troppi i ricordi che affollavano la testa, lei era lì che da un angolo di chissà quale luogo del cuore mi guardava con i suoi occhi azzurri e quell’assenza era la compagnia più invadente. Gli ultimi giorni la portavo al mare, spingevo le ruote sul pontile e mi alimentavo di brezza marina e di illusioni, la stessa ostinata convinzione che ce l’avremmo fatta con cui ogni giorno calmavo le sue paure. Mentre la spingevo verso quel tramonto che per tanti anni avevamo camminato incontro mano nella mano, la guarigione smetteva di essere sogno e diventava tangibile realtà, davanti a tutto quell’amore era impensabile considerare qualsiasi altro finale, e per quel breve tempo, gli ospedali, le terapie, il cancro stesso, si dissolvevano per lasciare spazio all’unica certezza: saremmo tornate una a fianco dell’altra mano nella mano.Otto mesi per riporre la sedia, per togliere alla vista quell’ennesimo feticcio di un passato tanto doloroso ed intenso da aver cambiato per sempre il ritmo del mio cuore.Otto mesi per accettare che quel sogno non si realizzerà più, che la sedia ormai è vuota e la vita è andata avanti mentre lei  aspettava un finale diverso e invece prendeva solo polvere.