SORSI DI LUCE

Racconto: il mondo così com'è (Voltaire) - 2a parte


 Il giorno dopo, allo spargersi della voce che si era sul punto di concludere la pace, il generale persiano ed il generale indiano s’affrettarono a dar battaglia; essa fu sanguinosa. Babuc ne osservò tutti gli orrori e tutte le abominazioni; fu testimone delle manovre dei principali satrapi che fecero quanto poterono per far sconfiggere il loro capo. Vide ufficiali uccisi dalle proprie truppe; vide soldati che finivano di sgozzare i loro compagni morenti per sottrar loro qualche straccio insanguinato, strappato e coperto di fango. Entrò negli ospedali in cui si trasportavano i feriti, la maggior parte dei quali spirava per l’inumana negligenza di quelle stesse persone che il re di Persia pagava ad alto prezzo perché li soccorressero. “Ma questi sono uomini o belve? – esclamò Babuc – Ah, capisco bene che Persepoli sarà distrutta”.            Preso da quel pensiero, passò nel campo indiano. Vi fu ricevuto altrettanto bene che in quello persiano, secondo quanto gli era stato predetto; ma vi osservò tutti i medesimi eccessi che l’avevano riempito d’orrore. “Oh! oh! – disse fra sé – se l’angelo Ituriel vuole sterminare i Persiani, bisogna allora che anche l’angelo delle Indie distrugga gli Indiani”. Essendosi poi informato più particoleggiatamente di quel che era successo nell’uno e nell’altro esercito, apprese azioni di generosità, di grandezza d’animo, d’umanità che lo stupirono e lo fecero andare in visibilio. “Inesplicabili umani, - esclamò – come potete riunire tanta bellezza e tanta sublimità, tanta virtù a tanti delitti?”.            Frattanto fu dichiarata la pace. I capi dei due eserciti, nessuno dei quali aveva riportato la vittoria, ma che per il loro solo interesse avevano fatto versare il sangue di tanti uomini, loro simili,andarono alle loro corti a brigare ricompense. Si celebrò la pace in scritti pubblici che annunziavano soltanto il ritorno della virtù e della felicità sulla terra. “Dio sia lodato! – disse Babuc – Persepoli sarà il soggiorno dell’innocenza purificata; essa non sarà distrutta, come volevano quei geni malvagi: corriamo senza indugio nella capitale dell’Asia”.            Giunse nell’immensa città dalla porta vecchia, che era affatto barbara e la cui disgustosa rusticità offendeva agli occhi. Tutta quella parte della città risentiva del tempo in cui era stata costruita; perché nonostante l’ostinatezza degli uomini a lodare l’antico a detrimento del moderno, bisogna ammettere che in qualsiasi genere i primi saggi sono sempre rozzi.            Babuc si mescolò alla folla di un popolo composto di quanto c’era di più sporco e di più brutto nei due sessi. Questa folla si precipitava con aria inebetita in un recinto vasto e oscuro. Dal brusio continuo, dal movimento che vi notò, dal denaro che alcune persone davano ad altre per aver diritto di sedersi, credette di essere in un mercato in cui vendevano sedie di paglia; ma ben presto, vedendo che parecchie donne s’inginocchiavano, facendo le viste di guardare fisso davanti a sé e guardando sottecchi gli uomini, s’accorse di essere in un tempio. Voci stridule, roche, selvagge, discordanti, facevano rintronare la volta di suoni mal articolati. Egli si tappava le orecchie, ma fu sul punto di tapparsi anche gli occhi e il naso, quando vide entrare nel tempio alcuni operai con pinze e pale. Rimossero una larga pietra e gettarono a destra e a sinistra una terra dalla quale esalava un odore pestilenziale; poi vennero a deporre un morto in quell’apertura e rimisero la pietrasopra.“Che! – esclamò Babuc – questi popoli sotterrano i loro morti negli stessi luoghi in cui adorano la Divinità! Che! I loro templi son lastricati di cadaveri! Non mi meraviglio più delle malattie pestilenziali che devastano spesso Persepoli. Il marciume dei morti, insieme con quello di tanti vivi riuniti e accalcati nello stesso luogo, è capace di avvelenare il globo terrestre. Ah! Che brutta città Persepoli! Probabilmente gli angeli vogliono distruggerla per ricostruirne una più bella e per popolarla di abitanti meno sudici e che cantino meglio. La Provvidenza può avere le sue ragioni; lasciamola fare.”Frattanto il sole si avvicinava alla sommità della sua corsa. Babuc doveva andare a pranzo all’altro capo della città, in casa di una signora per la quale il marito, ufficiale dell’esercito, gli aveva dato alcune lettere. Prima fece parecchi giri in Persepoli; vide altri templi costruiti meglio e decorati meglio, pieni d’una folla educata e risonanti di musica armoniosa; notò fontane pubbliche, le quali, quantunque mal collocate, attiravano l’attenzione per la loro bellezza; piazze dove, nel bronzo, sembravano respirare i migliori re che avessero governato la Persia; altre piazze in cui si udiva il popolo esclamare:”Quando vedremo qui il signore da noi beneamato?”. Ammirò i magnifici ponti innalzati sul fiume, i lungofiume splendidi e comodi, i palazzi costruiti a destra e a sinistra, una casa immensa nella quale migliaia di vecchi soldati feriti e vincitori rendevano grazie ogni giorno al Dio degli eserciti. Infine entrò nella casa della signora che l’aspettava a pranzo con una compagnia di gente dabbene. La casa era pulita ed adornata, il pasto delizioso, la signora giovane, bella, spiritosa, attraente, la compagnia degna di lei; e Babuc diceva tra sé ad ogni momento: “L’angelo Ituriel si burla della gente a voler distruggere una città così deliziosa”.            Tuttavia si accorse che la signora, che aveva cominciato col chiedergli teneramente notizie del marito, parlava più teneramente ancora, verso la fine del pasto, a un giovane Mago. Venne un magistrato che, in presenza della moglie, stringeva con ardore una vedova, e questa vedova indulgente teneva una mano attorno al collo del magistrato, mentre tendeva l’altra a un giovane cittadino bellissimo e modestissimo. La moglie del magistrato si alzò per prima da tavola, per andare ad intrattenere in un salottino adiacente il suo direttore spirituale, che arrivava in gran ritardo, e che era stato atteso a pranzo; il direttore, uomo eloquente, le parlò in quel salottino con tanta veemenza e tanta devota persuasiva che la signora aveva, quando tornò, gli occhi umidi, le gote in fiamme, il passo malsicuro, la voce tremante. Allora Babuc cominciò a temere che il genio Ituriel avesse ragione. La dote che possedeva di attirare la fiducia lo introdusse quel giorno stesso nei segreti della signora; questa gli confidò la sua simpatia per il giovane mago e l’assicurò che in tutte le case di Persepoli avrebbe trovato l’equivalente di quanto aveva visto nella sua. Babuc concluse che una simile società non poteva sussistere; che la gelosia, la discordia, la vendetta dovevano affliggere tutte le case; che le lacrime ed il sangue dovevano colare ogni giorno; che certamente i mariti avrebbero ucciso gli spasimanti delle loro mogli o sarebbero stati da loro uccisi; E che infine Ituriel faceva molto bene a distruggere in un sol colpo una città abbandonata a continue dissolutezze.Egli era immerso in queste idee funeste, quando si presentò alla porta un uomo grave, in mantello nero, che chiese umilmente di di parlare al giovane magistrato. Questi, sena alzarsi, senza guardarlo, gli diede alteramente e con aria distratta alcune carte, e lo congedò. Babuc domandò chi fosse quell’uomo. La padrona di casa gli rispose a bassa voce: - si tratta di uno dei migliori avvocati della città; da cinquant’anni studia le leggi. Il signore, che ha soltanto venticinque anni e che è satrapo di legge (cosigliere al parlamento) da due giorni, gli dà da fare l’estratto d’un processo ch’egli deve giudicare e che non ha ancora esaminato.- Quel giovane sventato agisce saggiamente, - disse Babuc – chiedendo consiglio a un vecchio; ma perché non spetta al vecchio essere giudice?- volete scherzare, - gli dissero, - quelli che sono invecchiati negli impieghi laboriosi e subalterni non raggiungono mai la dignità. Quel giovane ha un importante incarico perché suo padre è ricco, e perché qui il diritto di amministrare la giustizia si compra come un masseria.- O costumi! O città sciagurata! – esclamò Babuc, - questo è il colmo della dissolutezza; senza dubbio coloro che hanno comprato così il diritto di giudicare vendono i loro giudizi; qui vedo soltanto abissi d’iniquità.Siccome egli esprimeva così il proprio dolore e il proprio stupore, un giovane guerriero, che era arrivato il giorno stesso dall’esercito, gli disse:- Perché non volete che si comprino le cariche della magistratura? Ho comprato io il diritto di affrontare la morte alla testa di duemila uomini che comando; a me quest’anno è costato quarantamila dariche d’oro dormire per terra trenta notti di seguito in giubba rossa e buscarmi poi due belle frecciate di cui mi ricordo ancora. Se io mi rovino per servire l’imperatore persiano, che non ho mai visto, il signor satrapo della magistratura può ben pagare qualcosa per avere il piacere di dare udienza a dei litiganti.Babuc, indignato, non potè fare a meno di condannare in cuor suo un paese in cui erano messe all’incanto la dignità della pace e della guerra; concluse precipitosamente che vi si dovevano ignorare assolutamente la guerra e le leggi e che, quand’anche Ituriel non dovesse sterminare quei popoli, essi sarebbero periti per la loro detestabile amministrazione.La sua cattiva opinione aumentò ancora all’arrivo d’un omone il quale dopo aver salutato molto familiarmente tutta la compagnia, s’accostò al giovane ufficiale e gli disse: - Posso prestarvi soltanto cinquantamila dariche d’oro, perché, in verità, quest’anno le dogane dell’impero me ne hanno fruttato solo trecentomila.Babuc s’informò chi fosse costui che si lamentava di guadagnare così poco; seppe che a Persepoli c’erano quaranta re plebei che avevano in appalto l’impero di Persia e che del ricavato restituivano una piccolezza al monarca.Dopo il pranzo si recò in uno dei più splendidi templi della città; si sedette in mezzo a un branco di donne e di uomini che erano andati là per passare il tempo. Apparve un Mago sopra una macchina elevata e parlò a lungo del vizio e della virtù. Il mago divise in molte parti ciò che non aveva bisogno di essere diviso; provò metodicamente tutto ciò che era chiaro, insegnò tutto quel che si sapeva. Si appassionò freddamente, e uscì sudando e senza fiato. Tutta l’assemblea allora si svegliò e credette di aver assistito di aver assisitito a un’istruzione. Babuc disse: “quest’uomo ha fatto del suo meglio per annoiare due o trecento suoi concittadini; ma l’intenzione era buona e non vedo in questo un motivo per distruggere Persepoli”.All’uscita dall’assemblea lo condussero a vedere una festa pubblica che si dava tutti i giorni dell’anno; si faceva in una specie di basilica, in fondo alla quale si vedeva un palazzo. Le più belle cittadine di Persepoli, i più ragguardevoli satrapi, disposti con ordine, costituivano uno spettacolo così bello che Babuc dapprima credette che in ciò cosistesse tutta la festa. Due o tre persone, che sembravano re e regine, apparvero ben presto nel vestibolo di quel palazzo; il loro linguaggio era differentissimo da quello del popolo; era misurato, armonioso e sublime. Nessuno dormiva, si ascoltava in profondo silenzio, che era interrotto soltanto dalle testimonianze della sensibilità  e dell’ammirazione pubblica. Il dovere dei re, l’amore della virtù, i pericoli delle passioni erano espressi con tocchi così vivi e così commoventi che Babuc versò qualche lacrima. Non ebbe dubbi che quegli eroi e quelle eroine, quei re e quelle regine che aveva allora udito fossero i predicatori dell’impero; si propose persino d’indurre Ituriel a venire ad ascoltarli, ben certo che un simile spettacolo lo avrebbe riconciliato per sempre con la città.Non appena la festa fu finita volle vedere la principale regina, che aveva sciorinato nel bel palazzo una morale così nobile e così pura; si fece introdurre presso sua Maestà; lo introdussero presso una scaletta al secondo piano in un appartamento mal ammobiliato, dove trovò una donna mal vestita che gli disse con aria nobile e patetica: - questo mestiere non mi dà di che vivere; uno dei principi che avete visto mi ha ingravidata; presto partorirò; sono priva di denaro e senza di denaro non si partorisce.Babuc le diede cento dariche d’oro, dicendo: “Se ci fosse soltanto questo male nella città, Ituriel avrebbe torto ad adirarsi tanto”.Di lì andò a passare la serata presso i mercanti di magnificenze inutili. Ve lo condusse un uomo intelligente, col quale aveva fatto conoscenza: comprò quel che gli piacque, che gli fu venduto con garbo con prezzo molto più caro di quanto non valesse. L’amico, di ritorno a casa, gli fece osservare quanto quanto lo imbrogliavano. Babuc mise nel suo taccuino il nome del mercante per farlo riconoscere da Ituriel il giorno della punizione della città. Mentre scriveva bussarono alla porta: era il mercante in persona che veniva a riportargli la borsa, che Babuc aveva inavvertitamente lasciato sul suo banco. - come può essere – esclamò Babuc – che siete tanto corretto e tanto generoso, dopo che non aveve avuto vergogna di vendermi delle cianfrusaglie a quattro volte più del loro valore?- non esiste negoziante un po’ conosciuto in questa città – gli rispose il mercante – che non sarebbe venuto a riportarvi la borsa; ma vi hanno ingannato quando vi Hanno detto che vi avevo venduto ciò che avete preso da me quattro volte più di quanto no valga: ve l’ho venduto a dieci volte di più, tanto è vero che, se fra un mese volete rivenderlo, non ne prenderete nemmeno quel decimo. Ma non vi è niente di più giusto: è la fantasia degli uomini che stabilisce il prezzo di quelle cose frivole; è codesta fantasia che fa vivere cento operai che io impiego, è lei che mi dà una bella casa, un carro comodo, dei cavalli, è lei che stimola l’industria, che mantiene il gusto, la circolazione e l’abbondanza. Vendo alle nazioni vicine le medesime gabatelle più caro che a voi, e con ciò sono utile all’impero.Babuc, dopo aver meditato, lo cancellò dal taccuino.Assai incerto su quello che doveva pensare diPersepoli, Babuc risolse di vedere i Magi e i letterati: gli uni infatti studiano la saggezza e gli altri la religione; e si lusingò che costoro avrebbero ottenuto la grazia per il resto del popolo. Sin dalla mattina dopo si recò in un collegio di Magi. L’archimandrita gli confessò di avere centomila scudi di rendita per avere fatto voto di povertà e di esercitare un potere alquanto esteso in virtù del suo voto d’umiltà; dopo di che affidò Babuc nelle mani di un fratino, che gli fece gli onori. Mentre il frate gli mostrava le magnificenze di quella casa di penitenza, si sparse la voce ch’egli fosse venuto per riformare tutte quelle case. Immediatamente ricevette memoriali da ognuna di esse; e in sostanza i memoriali dicevano tutti: “Conservate noi e distruggete tutte le altre”. A sentire le loro apologie, quelle società erano tutte necessarie. A sentire le loro reciproche accuse, meritavano tutte di essere annientate. Egli notava con meraviglia come non ce ne fosse nemmeno una che, per edificare l’universo, non volesse averne l’imperio. Allora si fece avanti un ometto che era un mezzo Mago e che gli disse: - Capisco bene che l’opera sta per compiersi: Zoroastro è infatti tornato sulla terra; le fanciullone profetizzano, facendosi dare delle pinzettate davanti e delle frustate didietro. Perciò vi chiediamo protezione contro il Gran Lama.- Come! – disse Babuc, - contro quel pontefice re che risiede nel Tibet?- Proprio contro di lui.- Gli fate dunque guerra e arrolate eserciti contro di lui?- No, ma egli dice che l’uomo è libero, e noi non ci crediamo affatto; scriviamo contro di lui degli opuscoli che non legge; ha sentito appena parlare di noi; ci ha solamente fatti condannare come un padrone ordina che si levino i bruchi dagli alberi dei suoi giardini.