SORSI DI LUCE

Invito al cinema: HAPPY FAMILY


Il film è ispirato da un omonimo spettacolo teatrale scritto da Alessandro Genovesi, che in concomitanza con l'uscita del film è diventato un libro, pubblicato da Mondadori.La simmetria per incrinare un equilibrio     di Luca Alvino «Il mare non pensa, ed è lì da sempre. Noi invece pensiamo e moriamo». Come a dire che la vita - quando si ferma a ripensare se stessa e si cristallizza in una forma - cessa di essere eterno divenire, e si raffredda in statico simulacro di sé, astrazione sclerotizzata, museificata, rigida pietra tombale. È questo il messaggio più importante di Happy Family, la surreale commedia di Gabriele Salvatores, concepita ossimoricamente come film contro la forma filmica, astrazione armata contro la metafisica, simmetria per incrinare un equilibrio. L'attenzione alla simmetria straborda in ogni dettaglio della confezione cinematografica; nella composizione dell'inquadratura, spesso statica e in campo medio, in cui la disposizione delle figure umane nello spazio è studiato con estrema compostezza e misura; nell'eccellente fotografia firmata da Italo Petriccione, in cui ciascuna sequenza si compone intorno a un colore dominante, che ne determina il timbro e il movimento; nella colonna sonora, impreziosita dalla musica di Simon e Garfunkel, che sottolinea ogni episodio con estrema raffinatezza. E poi, certamente, nella storia. La famiglia formata da Vincenzo (Fabrizio Bentivoglio) e Anna (Margherita Buy), borghese e benestante, probabilmente non è una happy family, ma per certo è una famiglia perfettamente simmetrica. Entrambi i coniugi hanno un figlio da un precedente matrimonio: una femmina lui (Caterina) e un maschio lei (Filippo). Lo stesso nome di lei, Anna, è un nome palindromo - e dunque anch'esso simmetrico - e ricorre ossessivamente nel film, essendo stato anche il nome della prima moglie di Vincenzo e dell'anziana madre. Ma la simmetria è tanto più sorvegliata quanto più, al di sotto di essa, si percepisce la pulsazione entropica del divenire, di ciò che si fatica ad accettare, o che non si solidifica in una forma comprensibile: la malattia per Vincenzo, l'omosessualità latente per Filippo, l'insicurezza per Anna e per Caterina. Assai poetica in tal senso la scena del notturno urbano, in cui un'incantata lunarità milanese incornicia scene di commovente realismo, evocate dalla struggente melodia di Chopin, in un bianco e nero che stride con i colori satinati della sala da concerto, dalla cui rappresentazione si origina la sequenza. La lezione di Salvatores è - coerentemente con la sua precedente produzione cinematografica - un invito al viaggio, reso credibile da un Abatantuono in grande spolvero, che interpreta un personaggio irresistibile nel suo scanzonato disincanto, grottesco, nella sua dipendenza dalla marijuana ben oltre la soglia dei cinquant'anni; e che tuttavia è l'unico che fin dall'inizio riesce a modulare il proprio sentire sulla fluidità dell'evenienza. E che indica la direzione verso cui la storia trova il suo explicit, a suggerire una modalità dell'esistenza che sa incardinarsi in una forma senza affezionarsi a essa; sa impersonare un ruolo senza temere di rimanervi intrappolato; accettare una conclusione senza percepirla come un fallimento.Un film di Gabriele Salvatores. Con Fabio De Luigi, Diego Abatantuono, Fabrizio Bentivoglio, Margherita Buy, Carla Signoris.Valeria Bilello, Corinna Agustoni, Gianmaria Biancuzzi, Alice Croci, Sandra MiloCommedia, durata 90 min. - Italia 2010.