SORSI DI LUCE

L’immensa finitudine dell’uomo, tra limite e tempo


di Marco BenniciDa sempre il ‘limite’ di noi stessi ha ispirato la nostra fantasia. I personaggi delle grandi saghe epiche o i supereroi moderni non sono altro che un modo per esorcizzare la paura di doversi fermare prima o poi da qualche parte. Un limite che il nostro intelletto fatica ad accettare, fermarsi in quanto incapaci di procedere oltre un ostacolo più grande di noi. Sta nell’eterna contrapposizione tra ‘limite’ e ‘tempo’ tutto il mistero della vita dell’uomo. È rinchiuso tra queste due parole che sembrano contenere in sé tutto l’enigma del nostro esistere. La stessa etimologia del termine ‘limite’ racconta tutta la ‘sacralità’ che questo concetto porta in sé. I romani indicavano con il vocabolo ‘limiti’ quelle pietre che segnavano i confini, le quali erano sacre e non potevano rimuoversi senza delitto, essendo sotto la speciale protezione di una divinità detta ‘Limite’ o ‘Termine’. Il ‘limite’, quindi, è qualcosa di intoccabile, talmente connaturato alla nostra natura umana da non poter essere rimosso senza danno alla natura umana stessa. L’etimologia più accreditata del termine ‘tempo’, invece, è quella secondo cui la parola deriverebbe dal greco tem-no, cioè divido, separo. C’è dietro l’idea di sezione, periodo, epoca, stagione. C’è dietro l’idea di movimento, di scorrimento. Il tempo è quindi una dimensione dinamica che condivide con il ‘limite’ solo la caratteristica dell’impalpabilità. Nessuno dei due concetti ha una sua piena realizzazione concreta. Nella loro astrattezza indicano due fattori di cui possiamo cogliere solo le conseguenze, mai l’origine o qualsiasi forma, sia pur lontana, di ‘incarnazione’ e quindi di materializzazione degli stessi. Nella somiglianza di questi due concetti sta però anche la loro diversità. L’uomo in quanto essere ‘creato’ è chiamato a convivere con altre entità create.  Alcune forgiate dalle sue stesse mani e perciò in quanto tali prive di vita, altre preesistenti alla sua stessa creazione. ‘Tempo’ e ‘limite’ sono allora due concetti archetipici, frutto della stessa finitudine dell’uomo. A lui preesistono, in quanto ne determinano l’orizzonte di vita. È ‘limite’ per l’uomo, tutto quanto ne circoscrive l’essenza e la volontà. È ‘tempo’ per l’uomo il continuo fluire di istanti in cui la sua volontà ed essenza è circoscritta. Il ‘tempo’ è il contenuto di un contenitore che ha per limite le sue stesse pareti. Nello stesso momento, però, il tempo è un contenitore di infiniti istanti in cui si dispiega la vita di ogni essere umano. La pedagogia di questi due termini ci riporta alla concezione della nostra essenza di uomini. Abbiamo un tempo e un limite. Nella stessa misura, però, abbiamo infinite possibilità di giocarci il nostro tempo e il nostro limite. Nello stesso momento, però, la nostra mente ha come limite alla sua capacità di immaginare quella della nostra percezione. La nostra capacità di immaginazione in sostanza trova un limite nel fatto che siamo capaci di ‘fantasticare’ solo nel limite degli oggetti a disposizione dei nostri sensi. Quando ‘immaginiamo’ qualcosa non facciamo altro che ‘ricombinare’ elementi del nostro percepito quotidiano. Per paradosso se riuscissimo a concepire qualcosa di infinitamente diverso da ciò che possiamo vivere quotidianamente dovremmo arrenderci, comunque, di fronte al limite intrinseco della sua incomunicabilità. Semanticamente non sapremmo come esprimere ciò che abbiamo immaginato e, anche qualora riuscissimo a farlo, mancherebbe una semantica condivisa con i nostri interlocutori tale da rendere intellegibile il nostro ‘immaginato’. Si gioca tra questi paletti le nostra avventura umana. Limite, tempo e limitata capacità di percezione di tutto ciò che tra questi due ‘limiti supremi’ continuamente scorre. Anche l’arte soggiace alle perentorie esigenze di questi tre pilastri della finitudine umana. Non se ne salvano nemmeno gli artisti. L’unica capacità in più che ha un’artista non è quella di sfuggire a tutto questo, ma semmai quella di saper fermare l’occhio su alcuni particolari e, a volte, cogliere degli ‘spiragli’, degli spazi, delle fenditure attraverso cui arriva al suo ‘occhio’ qualcosa di nuovo, di diverso che misteriosamente sa sfuggire alle leggi del limite e del tempo. Questo qualcosa di nuovo diventa una nuova dimensione temporale che l’arte consente di dispiegare infinitamente oltre il limite e il tempo. È però nuovamente in questo infinito contrasto che ogni giorno ci accorgiamo di avere veramente un limite e un tempo.