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Racconti di vita - Con le suore della Purificazione


Racconti di vitaCon le suore della Purificazionedi AlessandraVenerdì 2 marzo sono venute a trovarci on Oratorio tre suore della Purificazione di Savona. Si sono messe a sfogliare il nostro giornalino chiedendoci i motivi che maggiormente ci legano ad esso. L’incontro è stato guidato dalla voce di suor Luciana. Con canti e piccoliballi di gruppo, ci ha spiegato che per fare esperienze di fede bisogna saperascoltare. Ci siamo soffermati su tre verbi che corrispondono a tre atteggiamenti: sperimentare, ascoltare e condividere. Molto spesso facciamo il segno della croce senza pensare al vero senso profondo che rappresenta. Il Padre è il creatore, il Figlio, Gesù, uomo creato che ha offerto la sua vita per noi e lo Spirito Santo che si manifesta sotto molte forme nelle Bibbia.Ci troviamo sempre davanti a delle scelte e non è facile accogliere quella giusta. Per esempio, ci sono il calcio e la messa alla stesa ora. Che scelta devo fare? Andare a calcio non è un peccato, ma ci sono cose più importanti.Suor Luciana ci ha dato delle lettere, scritte su dei cartoncini, con cui dovevamo creare delle frasi che raccontassero delle esperienze di fede.A turno, abbiamo letto i nostri spunti e unendo tutte le lettere è uscita la parola “ascolto”. Qualunque esperienza che facciamo nella scuola, quando balliamo, quando andiamo alla spiaggia dobbiamo associarlo alla nostra vita e pensare che siamo giovani di Dio. Tutto quello che siamo e facciamo ci serve come evento per crescere.Bisogna stare attenti con le parole e i loro significati. Un po’ come i virus che ti portano a degli eventi e quindi a delle conseguenze.Tutto quello che ha significato ha importanza, soprattutto nelle relazioni. Se si cerca solo di avere, si svia dall’essere. Lo stesso vale per le amicizie su internet, perché non sono vere. Dobbiamo dare significato alla vita e immaginarla come il girotondo che c’è all’entrata delle nostre Opere parrocchiali.Il mondo della Chiesa spesso ci sembra lontano. Sono tutte persone con i loro abiti cristiani con un forte amore verso Dio. Non tutti sono credenti, figuriamoci dedicare la propria vita. Io stessa, a volte, non comprendo fino in fondo questa scelta, ma suor Luciana mi ha resa curiosa e meno distaccata.Ci ha raccontato che durante l’adolescenza, la chiesa doveva stare lontana da lei e anche la sua famiglia non pregava. A quindici anni, quando abitava ancora in Brasile, faceva parte di un gruppo di otto ragazzi con cui faceva dei graffiti sui muri detti “piscia sau”. Era arte, ma molti lo chiamavano vandalismo. Facevano le sfide con le altre bande e ognuno aveva il proprio soprannome. Prendevano le pietre e le lanciavano. Quando li vedevano si nascondevano. Andavano al fiume e dalle chiome degli alberi si buttavano in acqua vicino ai vortici che si creavano, anche se non sapevano nuotare. I ragazzi, poi , andavano a salvarle. Oppure bloccavano le assi degli aratri dei signori, saltavano sopra i carretti facendogli paura. Nelle ballate entravano senza pagare perché erano un gruppo e si facevano forza a vicenda.La svolta è arrivata un pomeriggio qualunque. Si erano radunati per andare a rubare, in una casa ricca, una pianta rara. Appena scavalcato il recinto con il filo spinato qualcuno si era messo a sparare. Il gruppo era diviso. Una parte avanti e una indietro. Il mezzo c’era sua sorella che era entrata a far parte, quel giorno, nella banda. Erano state le foglie secche a tradirli. Suor Luciana in quel momento si era chiesta: “Che valore sto dando alla mia vita?”.Avevano passato tutto il pomeriggio nel buco che gli dava protezione. Alcuni piangevano, altri stavano in silenzio. Dopo tanto, sono scappati e ancora oggi hanno i segni di quel filo spinato sulle gambe. La cicatrice è il simbolo della carne riconciliata cioè: mi è successo qualcosa e me lo ricordo. Intanto era anche arrivata la notizia del papà che stava male e che poi era deceduto.Il dolore non si può descrivere con le sole parole. E lei ha pensato: “Saremmo potute morire anche io e mia sorella quello stesso giorno”. Nonostante questo, avevano continuato a fare i vandali e la polizia cercava il capo. Il padre di suor Luciana non c’era più e se fosse andata in prigione avrebbe dato un gran dispiacere alla madre. Partecipando alla messa in suo ricordo si era messa a piangere.La figura della suora non voleva vederla nemmeno in sogno. Poi, però, partecipando agli incontri aveva trovato la vocazione. Ha colpito la frase: “In un cadere dal cavallo qualcuno mi ha tirata per i capelli perché la mano non volevo dargliela”. Ha detto alla madre della sua decisione che le ha risposto: “Tu vuoi farti suora perché non vuoi lavorare”. Solo la sorella l’ha appoggiata. In Brasile si deve avere la benedizione per poter uscire di casa. Per tre volte le ha chiesto la benedizione e vedendo che la madre non accennava di cambiare idea le aveva preso le mani, baciandola. La risposta era stata: “Io da oggi non ho più undici figli, ma dieci”. Dire di no, non voleva dire non volere bene alla mamma. Quando si entrava in convento, il fine settimana si poteva tornare in famiglia per non sentire così tanto lo stacco. Lei andava e chiudevano tutte le porte. Le suore le chiedevano: “Hai parlato con la tua famiglia?”, ma solo dopo sei mesi hanno cominciato a partecipare alla messa e quindi a rispettarla.Questa è stata una delle attività più interessanti che abbiamo fatto sia per i contenuti sia per il modo in cui è stata articolata.Ci sono persone che con semplicità riescono a coinvolgerti a pieno con i propri ricordi. Ancora riesco a vedere i visi dei bambini che entusiasti ascoltavano il racconto di vita di suor Luciana. Una donna che ha vissuto un’infanzia e un’adolescenza come tutti e poi è arrivata ad avere la vocazione.