sottoilsette

Arte Moderna


Marco non sopportava le mostre. Era più forte di lui.Accompagnare Anna in cose che piacevano principalmente a lei era il frutto del classico compromesso uomo-donna: una partita di calcetto in cambio di una cena tra amiche, un film che piaceva a lui in cambio di una giornata di shopping, eccetera.Era un po' come una tessera a punti, ogni “beneficio” dell'uno doveva corrispondere a una piccola concessione all'altro, oppure una gaffe si doveva compensare con un regalino e così via.In fondo, quel gioco lo divertiva. Era un modo per giocare con la loro relazione che li aveva divertiti, fino ad oggi.Ecco. Fino ad oggi.Oggi avrebbe disintegrato a calci quella “bilancia” con cui era finito laggiù, a Via Nazionale, ad osservare oggetti di uso quotidiano spacciati per arte. Era passata mezz'ora da quando avevano pagato i biglietti e gli sembrava un'eternità.Non ne poteva più. Vagavano tra armadi senza porte, tazze con statue sedute sopra, finestre appese al soffitto, un tavolo con delle sedie appoggiate sopra senza le gambe, lampadari di foggia assurda con lampadine che si accendevano da sole... e Anna che andava in estasi e snocciolava nomi da un catalogo come se fossero vecchi amici, piantandosi per dieci minuti a elogiare oggetti assurdi, come un gruppo di candelabri di ferro annodati insieme e mezzi fusi. Bella roba! Se fossero andati a fare quattro passi da uno sfasciacarrozze sarebbe stata praticamente la stessa cosa. Per rendere più tollerabile si immaginò come guida turistica illustrando le meraviglie di un cofano arrugginito di una 127 blu, o le mirabili rotondità di una twingo incidentata, o ancora l'ardita linea di una Duna, sottolineando come nemmeno i carabinieri seppero apprezzare appieno le sue forme troppo avanti per quegli anni!–        Come hai detto, scusa?Doveva aver parlato sovrappensiero senza accorgersene. Brutto vizio.–        Se non ti andava di venire con me bastava dirlo. Avrei barattato questa giornata con due settimane di lavaggio piatti, ci venivo da sola e tanti saluti.- Ma no, dai... mi fa piacere.- Menti male. Te lo dico sempre.La strategia di stare zitti è sempre la migliore, per un uomo di fronte ad una donna indispettita. Soprattutto se la temperatura nel raggio di un metro arriva ai livelli di un pinguino. Marco la seguì alla perfezione, ovviamente.–        Come, sempre?- Certo, vieni “per farmi piacere” e poi hai un muso lungo un chilometro. Mi credi scema o cosa?- Senti, non ho voglia di discutere – rispose lui con un tono che sottintendeva esattamente il contrario – ma guarda dove mi hai portato...- Non è che un po' di cultura ti farebbe male, di tanto in tanto.Si stava finendo su una china pericolosa. Frenare, frenare subito.–        Parla “sex and the city” di cultura...? Ma guarda questa porcheria!E così facendo indicò con un ampio gesto del un grosso cubo di gelatina sopra un tavolino ikea al centro di uno spazio di quattro metri per quattro. Al suo interno un televisore  era fissato un un ipotetico fotogramma mentre veniva spaccato da un martello. I cocci rimanevano nello “spazio”  mentre sulle pareti c'erano delle gigantografie di facce con la bocca spalancata la “scena”.–        Ecco. Ecco. Guarda qua! Che cazzo dovrebbe significare questo?- Un concetto. Che non è detto che tutti afferrino.Inarcò leggermente la testa verso l'alto. Non era la voce di Anna. Anna era davanti a lui. E poi, tante cose si potevano dire di lei, ma non era nota per la sua aria mascolina. Si voltò temendo di essere stato appena “cazziato” da un sorvegliante o da un curatore della  mostra. Che giornata.–        Vedo che non le piace. Peccato. Mi ci sono impegnato tanto. Ma, si sa, tanta gente va alle prime solo per il buffet.L'uomo aveva i capelli bianchi, leggermente arruffati. Una giacca scompagnata col resto del vestito, occhiali tondi, barba appena accennata. Un'aria quasi da mendicante. Ma l'odore sicuramente non lo era. Gli tese la mano.–        Ruggero Calza, piacere. In un certo senso, oggi sono il padrone di casa.Marco non ricordava il nome sul biglietto comperato all'ingresso, perso come era a pugnalarsi metaforicamente nello stomaco. Ma un sesto senso gli diceva che sotto la scritta “museo di arte moderna” e il prezzo c'erano il nome e il cognome di quello strano tipo che aveva davanti a lui e al quale stava porgendo timidamente la mano.–        E così ha preferenze diverse? Magari, se vuole, può illustrarmele. Oppure, se preferisce, posso mettere una buona parola per farle restituire i soldi del biglietto. Magari fa ancora in tempo per lo spettacolo del multisala delle 22,30. Mi hanno detto che c'è un cinepanettone che fa spanciare dal ridere. Tette, culi e scuregge in quantità.Ora, in circostanze normali, di fronte a una figura del genere difficilmente si osa ribattere.  Il rischio di perdere e fare una figuraccia peggiore non è dietro l’angolo. Ce l’hai proprio davanti. Ragion per cui, il buonsenso suggeriva a Marco di tacere, incassare e salutare, sparendo velocemente verso l'uscita.–        Grazie, no – rispose stringendo la mano più forte – fatti non fummo per viver come bruti, ma per spartire virtù e conoscenza.Complimenti – gli rispose Calza – una buona risposta.- Non quanto delle buone scuse – ammise controvoglia Marco.- Fa spesso queste gaffe, signor...- Taddei. Marco Taddei. Purtroppo sì. E a volte le pago anche care, come oggi.- Signor Taddei, sarei insincero se non ammettessi di aver fatto una figura altrettanto orribile io stesso cercando di abbassare automaticamente il mio giudizio su di lei senza conoscerla. Direi che siamo pari. Del resto, dovrei essere abbastanza abituato alle critiche distruttive, col mio mestiere, ma non si finisce mai di conoscersi.- Ha ragione. Siamo pari, allora – fece Marco, prima di ricevere un meritato calcio nello stinco da parte di Anna e trattenendo un gemito.