sottoilsette

Racconti a tema (sempre lo stesso...)


Tempi di trasloco... e mi sono ricordato di questo raccontino di un pò di tempo fa... enjoy...
“No, no, no e no. Scordatelo”.Cercavo di assumere il mio tono da “non ci sono per nessuno”. Di solito funzionava. “Che posso fare per convincerti? In fondo non si tratta di un compito tanto gravoso.”“Chi sei? Io non ti conosco. Non compro enciclopedie, non rispondo a sondaggi e sono cattolico.” Ero determinato a non farmi fregare, stavolta. Niente tè, cene o numeri di telefono “momentaneamente non raggiungibili”. Stavolta niente di niente avrebbe potuto incastrarmi in un altro stupido trasloco. Assolutamente niente. Nulla avrebbe potuto…“Ma si tratta di dare una mano a Barbara…”Silenzio.“Pronto…? Sei ancora lì?”Ci sono dei momenti nella vita in cui bisogna essere più forti dei venti gelidi che sferzano in una dura tempesta invernale. Momenti in cui il sangue deve essere più freddo del ghiaccio. Momenti in cui si deve far vedere che un uomo è un uomo e non una marionetta che si può manovrare con facilità. Momenti in cui la parola deve rimanere scolpita sulla pietra.“A… a che ora?”Fregato.Avete mai fatto un trasloco? C’è gente che vive tutta la vita dentro le stesse mura senza mai comperare nemmeno un mobiletto per uno stereo, e persone che ricordi come emuli di Michelangelo, costantemente in canottiera, sporche in faccia di vernice, mani sempre nere, come se per vivere facessero solo quello, con la differenza, rispetto ai muratori, che le vedi così solo a casa loro o di amici e parenti.Di solito, persone così sono mosse da un’inguaribile desiderio di aiutare, di rendersi utili al prossimo, di sentire che il loro fare qualcosa li fa sentire vivi.Poi esiste un’altra categoria, quella di quei fessi il cui punto debole è conosciuto da tante di quelle persone che finiscono sempre con la scopa in mano quando termina la musica.E nel mio caso, il mio punto debole aveva morbidi capelli castani, splendidi occhi verdi, un sorriso disarmante, una voce melodiosa, e – last but not least – non fraintendetemi, so quello che intendete dire, un carattere d’oro e una sensibilità impressionante. Sì, certo, c’era quel piccolo dettaglio di quel corpo che faceva girare per strada dieci teste su nove, ma non era questo il punto.Il punto era che ero cotto. Perso. Due a zero a tavolino, ogni volta che giocavo su quel campo. Bastava nominarla e zac, il titolo del giornale del giorno dopo era “Maurizio perde un’altra volta sul campo del Barbara. La sua posizione di classifica si fa pericolosamente inquietante, e la serie B si avvicina a grandi passi.”E quei bastardi lo sapevano. Lo sapevano che bastava nominare la sua presenza per affibbiarmi compiti di elettricista, imbianchino, tassista, facchino, ogni cosa col miraggio di vedermela spuntare miracolosamente a fine lavori. Che poi finiva sempre per non arrivare mai, oppure la chiamavano quando ormai ero ridotto ad uno straccio umano, irriconoscibile sotto tonnellate di polvere, fango o chissà quale altra porcheria che mi avrebbe reso indiscutibilmente indesiderabile per qualsiasi femmina dell’universo, figuriamoci per lei. Finiva sempre che svenivo dal sonno o desideravo soltanto scomparire sotto una cascata di acqua ragia calda. Insomma, mi fregavano sempre. E. per quanto mi ripromettessi di non caderci più, ogni volta, come il genio della lampada, bastava nominarla e con un sorriso ebete finivo per essere pronto ad esaudire i tre desideri del padrone di turno.E anche stavolta non sarebbe stata diversa dalle precedenti: levataccia all’alba, discesa di tonnellate di mobil antichi (mai niente in kit, mi raccomando) in palazzi senza ascensore degli anni trenta, trasporto in cinque o sei viaggi con la mia macchina verso delle ridenti località a soli trenta minuti dal centro di Roma (seee…) e risalita degli stessi catafalchi in simpatici attichetti il cui ascensore è troppo piccolo per i mobili di cui sopra. Il tutto nella speranza di vederla prima di collassare per la stanchezza, il sudore e la sporcizia.Andai all’appuntamento con Corrado alla solita ora – le sette di domenica mattina – maledicendomi per essermi fatto abbindolare  ancora una volta, e illudendo il mio riflesso nello specchietto della macchina declamando che sarebbe stata l’ultima.Giugno. Inoltrato. Sarei dovuto andare al mare, ma fra tre ore. E invece ero lì, a fare ancora le nuvolette per il freddo. E Mentre io sarei stato a fare ‘lavori di concetto’, lei si sarebbe goduta i primi tepori al mare, cominciando ad abbronzarsi in spiaggia.Solito film… Corrado con la sua macchina sul deserto della Cristoforo Colombo di mattina presto. Il mio aguzzino. Già immaginavo la tiritera… “Maurizio, che uomo fortunato sei… siamo solo io e te ad aiutare Barbara….”“…e poi ci inviterà a cena nella sua casa nuova, solo noi quattro, io, te lei e Ale.”“Proprio quello che pensavo”, aggiunsi con il tono sarcastico di chi ascolta l’ennesima propaganda elettorale.“Come?”“Niente, niente.”Salimmo sulla mia vecchia Golf, destinazione Prati. Che-te-lo-dico-a-fà. Finsi persino la sorpresa…“Non dovremmo andare a casa sua?”“No, pensa che strano, una sua vecchia zia che nemmeno si ricordava di avere è passata a miglior vita, regalandole il suo mobilio per la casa nuova. Che coincidenza, eh? Appena prima di comperare casa…”“Eh no… che coincidenza….” risposi. Qualcosa di maligno stava ribollendo, in fondo allo stomaco, al ricordo delle volte in cui il mio ‘caro amico’ mi aveva riempito di panzane simili per convincermi che stavamo facendo un piacere a Barbara e non a qualche sua amica a cui faceva favori per poi andare a batter cassa, se capite cosa intendo dire.Qualcosa che tra i consueti cinque-piani-senza-ascensore cominciava a prendere una strana forma….Ci recammo ovviamente lungo l’Autostrada verso i Castelli Romani (poteva essere altrimenti?) con la mia povera auto, carica come poche. E bolliva, oh se bolliva…Al termine del secondo viaggio, verso l’ora di pranzo, dopo aver sbattuto la testa, pestato un piede, sudato come un maiale, ma soprattutto dopo l’ennesimo “fortunato amico mio” indirizzato al sottoscritto, indiscutibile unico destinatario della riconoscenza della ragazza più preziosa della capitale, guardandomi allo specchio di quella casa ormai potevo vedere un ghigno mefistofelico dipinto sul mio volto. Vidi il telefono sul pavimento. Mi chiamai sul telefonino, memorizzando il numero di quella casa. Poi ci indirizzammo verso la casa della “vecchia ex zia” e mi fermai due volte agli autogrill, arricchendo la già florida architettura dei bagni degli uomini di simpatici annunci in cui venivano reclamizzate le prestazioni dell’amica di Corrado. Caricai la mia povera compagna a quattro ruote del suo ultimo carico e mi diressi verso quello splendido attichetto, fermandomi altrettante volte, e ripetendo l’operazione pubblicitaria negli autogrill dell’altra corsia. Salii i gradini della casa nuova a tre a tre, rinfrancato dal nuovo spirito che il mio diabolico piano mi aveva regalato.Seminai oggettini sul pavimento in modo apparentemente casuale, ma nascosti in modo da essere inevitabili. Il tocco di classe fu il telefono spostato in modo da far inciampare anche uno dei marines. Cominciai con cose semplici, tipo alcuni soprammobili di legno che mi caddero nella tromba delle scale. Una bella partita di shangai da quattro piani.  Finsi persino di cadere per dare inizio alle danze vere e proprie. Il rumore di un servizio da dodici trasformato in uno da centocinquanta sottolineò la mia goffaggine. “Ma che combini….? Barbara ci ammazzerà…” “Sono un pasticcione, scusa…” cercavo di sembrare mortificato.  Non fece in tempo a rispondermi. Pochi centimetri più in là del dovuto, un comodino fece volare il televisore dalle braccia di Corrado, verso il pavimento. Finsi anche di allungarmi. Che attore.“Accidenti….”“Vado a prendere una scopa….”Il filo del telefono svolse egregiamente il suo compito. Si aggrappò ai pensili della cucina, appena appena svitati dal sottoscritto, e ruzzolò trascinandosi dietro il lavello, pieno degli altri piatti, che fecero la fine dei precedenti. Dopo poche sapienti mosse alla Mister Bean l’appartamento era un campo di battaglia. Corrado era esterrefatto. Seduto per terra, sicuramente stava pensando ad una notte brava andata in fumo. Per conto mio, non potevo essere più soddisfatto. Sorrisi, mentre mi accendevo una sigaretta e gliene porgevo una.Esplose. “Ma come fai ad essere così tranquillo…?”“Fuma, fuma, che stavolta non te la potrai fare ‘dopo’, la sigaretta…” risposi sarcastico.Mi guardò con gli occhi e la bocca spalancati. “In che senso…?”“Nel senso”, replicai, “che stavolta non te la spasserai un’altra volta a mie spese. Stavolta il gabbatore è rimasto gabbato. La tua amichetta ti farà a pezzi…”Le sue labbra si richiusero, mentre una mano indicava qualcosa alle mie spalle. Svogliatamente, mi girai. E desiderai istantaneamente non averlo fatto.“Solo una piccola domanda. Chi. Come. Perché.”Una parte di me desiderava svegliarsi. Non poteva essere vero. Non esisteva una possibilità su un miliardo. Assolutamente impossibile. Bofonchiai qualcosa girandomi verso Corrado.“Tu… non hai… tu…”“No. Non ho mentito. Assolutamente no. Ma penso che ormai te ne sarai reso conto da solo, amico mio.”Davanti a me, ciò che meno al mondo mi sarei aspettato di vedere. Quel viso meraviglioso, solitamente l’immagine della gioia e della dolcezza, con gli occhi pieni di una furia controllata a malapena, mentre controllava ciò che rimaneva del suo ex nuovo appartamento. Insomma, Barbara. Che ci mise 0,00003 secondi a capire chi, come e anche perché, temo. Deglutii. Agitai le mani e aprii la bocca, cercando di trovare una parola, una sola, che potesse salvare quella disastrosa situazione.Fu in quel momento che il telefono cominciò a squillare.