ITALIA DEMOCRATICA.

Privatizzazione AUTOSTRADE


Quando nel 1997 il veicolo “Schema28“, con alla testa la famiglia Benetton, partecipò alla privatizzazione di Autostrade con un’Opa, fu aiutato da una pletora di istituzioni finanziarie internazionali, poco interessate ad intervenire in prima persona nella gestione della concessionaria, molto più ad alimentare lo sforzo finanziario, fatto da un gruppo di investitori (Benetton, Generali, Unicredito, Fondazione Crt) per acquisire un monopolio naturale, condito con meccanismi tariffari molto vantaggiosi.L’errore è stato di credere che una convenzione basata su dei privilegi di questo genere potesse resistere all’infinito, mentre invece un giorno, tra un governo e l’altro, un certo Antonio Di Pietro ha deciso che così non si poteva andare avanti. Di sicuro il giudizio sulla propensione imprenditoriale di Schema28 e di Autostrade non può essere positivo. Nel 1997 Autostrade acquisisce la convenzione ed è la più importante concessionaria europea. Il suo fatturato è di 1.762 milioni di euro. Nel 2005 i suoi ricavi sono arrivati a 2.957 milioni di euro, esclusivamente grazie a quella concessione “milionaria“, un meccanismo di calcolo degli adeguamenti tariffari che non ha eguali in Europa. Detta in altro modo, la crescita di Autostrade si è materializzata mettendo all’incasso una serie di “cedole” derivanti dalla concessione.Nello stesso periodo, Abertis si sviluppa in modo diverso. Dai 385 milioni di fatturato del 1997, passa a 2.973 milioni, grazie ad una crescita ottenuta con fusioni, investimenti ed acquisizioni. In somma, gli italiani hanno “incassato“, gli spagnoli hanno investito nella crescita.Nel 2005, Autostrade ha avuto la possibilità di fare il grande balzo, potendo acquisire le “Autoroutes Paris Rhin-Rhone“, ma a questa opportunità comunque rischiosa, il gruppo italiano ha preferito la più sicura strada della fusione con Abertis. Tuttavia non è nel giudizio sui comportamenti imprenditoriali dei soci di Schema 28 che vanno individuati i principali problemi.La convenzione stipulata all’atto della privatizzazione di Autostrade, prevedeva una scaletta di investimenti da effettuare nel tempo. Investimenti in infrastrutture, miglioramenti della rete in concessione ecc. Tutte cose delle quali, oltre alla stessa società, avrebbero beneficiato soprattutto gli utilizzatori, gli utenti, gli automobilisti ed i camionisti insomma, in ultima analisi, il paese. Un paese già penalizzato pesantemente dal ritardo sulla quantità e la qualità delle proprie infrastrutture.Se il programma di investimenti fosse stato rispettato, ad oggi Autostrade avrebbe dovuto investire circa 6,5 miliardi ma ne ha realizzati meno della metà, 3 miliardi. In compenso ha distribuito ai soci nel periodo, circa 2 miliardi di dividenti ordinari e, soprattutto, avrebbe dovuto distribuirne ulteriori 2 miliardi sotto forma di un dividendo straordinario all’atto della fusione.La domanda che si è posto il Ministro Di Pietro è stata: perché lo Stato, titolare attraverso l’Anas dei diritti derivanti dal suo status di concedente, deve guardare senza intervenire se una società incassa gli aumenti tariffari a spese dell’utenza, non effettua gli investimenti previsti dal contratto di concessione, usa questi soldi per distribuire 2 miliardi ai soci e poi cede il controllo ad un gruppo straniero? A nostro avviso il suo ragionamento e la decisione di mettersi di traverso, liberalismo o meno, ci sembra impeccabile nell’interesse e nella tutela dei cittadini di questo paese.Il risultato di opposte politiche imprenditoriali, si vede nelle quotazioni di borsa. Nel quinquennio 2001-2006 il valore di borsa di Abertis è passato da 4,5 miliardi a 25,7 attuali, quello di Autostrade da 10,4 a 21,3. Sia sul piano economico che giuridico, Autostrade si è rivelata perdente.D’altra parte queste cose possono succedere a chi come i Benetton, dopo avere scritto la storia imprenditoriale italiana, fatta di coraggio, creatività e rischio, passa al nemico, investendo in settori protetti, come la gestione in monopolio naturale delle reti stradali e le telecomunicazioni.